Medioevo Storico

Gli assedi nel Medioevo

 

Un po’ di storia

La tecnica dell’assedio è forse il ramo più difficile di quell’arte che gli antichi romani chiamavano “res militaris”. Fin dalla preistoria l’uomo ha sempre scelto posizioni strategiche per difendersi dagli animali feroci e, in breve tempo, l’essere umano ha imparato a fortificare i luoghi in cui viveva. Già le palizzate, diffuse in tutte le regioni costiere del mondo all’epoca in cui l’uomo utilizzava attrezzi di pietra e cominciava appena a forgiare i metalli, rappresentano il primo esempio di fortificazione.

In seguito, come ben sappiamo, tutte le grandi civiltà del passato, a partire dalla Mesopotamia, dotarono le loro città di strutture difensive. Tuttavia, fino all’ascesa di Roma, le battaglie si svolgevano in campo aperto e raramente avvenivano attacchi diretti alle città, principalmente perché per quel tempo superare un muro di mattoni alto svariati metri sotto il tiro nemico era un’impresa praticamente impossibile. Fino alla venuta di Roma, dunque, le battaglie si combatterono sui campi, in aperte pianure. Anche nella storia romana le battaglie più frequenti furono quelle combattute fuori dalle porte delle città, tuttavia era già nata quella “filosofia”, se così si può definire, che avrebbe condotto alla nascita dei castelli. I Romani infatti, già micidiali negli scontri sul campo, erano espertissimi nell’assedio contro i “castri” nemici. Dotatisi in breve di macchine da guerra atte al superamento o allo scalzamento delle mura, erano in grado di sopraffare efficientemente qualsiasi fortificazione. L’esempio più famoso di un assedio al tempo di Roma è sicuramente l’assedio di Alesia, narrata nel “De bello gallico” di Cesare. Sappiamo, sempre dallo stesso Cesare, che anche i “barbari” sconfitti dallo stesso Cesare erano capaci di conquistare un fortino, con la seguente tecnica: con nugoli di frecce facevano fuggire i difensori di un tratto di muro; poi, con scale, corde o anche arrampicandosi, scalavano il tratto di mura liberato dai nemici e penetravano nel fortino. Non era certo un modo di dare l’assedio sviluppato come quello romano (che prevedeva già l’uso dell’ariete, delle catapulte e delle baliste), tuttavia, come ammette lo stesso Cesare, aveva una buona probabilità di successo.

Dunque, l’origine dell’arte dell’assedio è romana, come pure romani sono i nomi “castello” (da “castellum”, che è il diminutivo di “castrum, i”, nome che indicava al singolare una città fortificata e al plurale l’accampamento fortificato dell’esercito), “assedio” (da “obsidio, is”), balista e balestra (dal latino “balista, ae”), cancello (dal latino “cancelli”, usato solo al plurale, diminutivo di “cancer, i”, che vuol dire, tra le altre cose, “graticcio”). Basta insomma prendere in mano un qualsiasi dizionario etimologico per rendersi conto che la res militaris romana è la madre dell’assedio.

Tuttavia, finché l’impero romano esistette, l’assedio rimase comunque un tipo di combattimento “secondario”: questa pratica diventerà infatti predominante dopo la caduta dell’impero romano d’occidente (476 d.C.), e più precisamente attorno al 569, quando i Longobardi invasero l’Italia.

I Longobardi erano un popolo formatosi nel corso di una migrazioni secolare con la quale, partendo forse dalla Scandinavia o dall’area della foce dell’Elba, si erano diretti, sotto la spinta di altri popoli, sempre più ad ovest, fino a stabilirsi, attorno al 520-530, nell’ex provincia romana della Pannonia. Da qui, nel 568, i Longobardi cominciarono la loro migrazione verso l’Italia.

Come sappiamo, l’invasione di questo popolo portò in Italia grande distruzione (stragi, devastazioni, razzie), addirittura più delle invasioni barbariche che seguirono la caduta di Roma. Una delle più importanti conseguenze dell’invasione Longobarda in Italia, tuttavia, fu il tracollo delle città, che secondo molti storici si spopolarono in breve tempo, dato che i nuovi invasori preferivano vivere in campagna. È vero che le città vennero abbandonate? Tale teoria, in passato ritenuta per lo più valida, è stata soppiantata da una nuova teoria, che ci interessa da vicino: i Longobardi non provocarono lo spopolamento di tutte le città, ma soltanto di quelle in posizione poco strategica. Al contrario, molte città più piccole ma site in posizioni altamente strategiche, durante l’occupazione Longobarda conobbero un grande sviluppo, e la popolazione cominciò così ad abbandonare le campagne e a ritirarsi in tali borghi sulle colline, facendo il primo passo nella strada dell’incastellamento, ovvero la pratica dei signori del luogo di costruire un castello per offrire protezione alla popolazione, trovatasi disarmata di fronte alle razzie dei briganti e degli invasori, in cambio di prestazioni: la coltivazione dei campi, la manutenzione del castello stesso e, molto spesso, il servizio militare. Tale fenomeno per la verità non interessò l’epoca del dominio Longobardo in Italia, ma cominciò ad affermarsi con la discesa di Carlo Magno in Italia, e l’istituzione dei Vassalli, fedeli collaboratori e amici del Re, sapevano servire e nello stesso tempo guidare le popolazioni sotto la loro tutela. Con l’espandersi dei Regni il ruolo dei Vassalli fu sempre più importante, anche perché l’esercito del Re non poteva difendere tutto il territorio, ma si impegnava solo nelle guerre più grandi. Il resto della difesa, contro le piccole incursioni o scorribande, era affidata ai Vassalli ed al loro esercito, composto per lo più ed inizialmente da loro sudditi; soltanto molto più tardi si ritrovano soldati mercenari. Ma anche i Vassalli ben presto videro i loro domini espandersi e dovettero a loro volta concedere terre a Valvassori e Valvassini, ovvero persone di fiducia che amministravano piccole porzioni del territorio per conto del Vassallo: dal Re al Valvassino dunque c’era una gerarchia ben precisa, ed un potere ben definito territorialmente.
Con il clima di violenza di quegli anni, castelli e fortificazioni nacquero ovunque: tale fenomeno, che lo storico francese Pierre Toubert per primo chiamò incastellamento, avrebbe radicalmente modificato l’arte della guerra. Sconfiggere sul campo un esercito nemico era molto diverso da doverlo stanare dai bastioni di una fortezza. Per conquistare un territorio ora non bastava più invaderlo, perché la popolazione si rifugiava dentro le mura del castello, dove poteva sopravvivere anche per anni ed anni. Insomma, per il controllo di ogni fazzoletto di terra si era costretti a cercare di conquistare il castello del luogo. Questo ebbe  importantissime conseguenze sull’arte di fare la guerra: gli eserciti dovettero dotarsi di nuove armi (catapulte, arieti, torri mobili) adatte a superare o distruggere le mura. I cavalieri, potentissimi in pianura, non potevano certo caricare un muro di mattoni, e vennero quindi sostituiti in modo sempre maggiore dalla fanteria, e tenuti da parte (in numero minore) per utilizzarli laddove le macchine da guerra avessero aperto una breccia nelle mura, in modo da sfondare i ranghi nemici e consentire alle proprie fanterie di irrompere nella fortezza.

Per poter spiegare come avveniva un assedio, bisogna però conoscere a fondo quello che era il “teatro” della battaglia: il castello.

 

Cos’è un castello?

Quando diciamo “castello” pensiamo tutti a mura di pietra merlate, torrioni quadrangolari o circolari, feritoie, ponte levatoio e tutto il resto. In realtà la parola “castello” indica una categoria molto più vasta di costruzioni, che spaziano dal semplice villaggio fortificato alla residenza fortificata del Signore alla motta, un monticello, di solito artificiale, su cui veniva costruita la fortificazione, di solito usando il legno invece che la pietra.

Tale varietà di costruzioni è dovuta al fatto che le varie civiltà svilupparono moltissimi tipi di fortificazioni, e si evolsero in maniere differenti, di modo ché la stessa costruzione poteva sembrare un prodigio di architettura ad alcuni e un banalissimo fortilizio ad altri. Tuttavia, se questa varietà di costruzioni era ovunque diffusa nel X e nell’XI secolo, la stessa cosa non si può dire nei secoli successivi, quando i castelli assunsero caratteristiche comuni e cominciarono ad “uniformarsi”, assomigliando sempre più all’immagine che oggigiorno colleghiamo alla parola “castello”.

 

 

Il castello di Fénis in Val d’Aosta

 

 

Non dobbiamo dimenticare che, qualsiasi fosse la loro forma, i castelli non erano unicamente una postazione fortificata: erano infatti il luogo dal quale il signore del territorio emanava gli editti, ordinava la riscossione delle tasse, il luogo quindi dove veniva amministrato il territorio. Il castello dunque non era soltanto un luogo ove rifugiarsi in caso di attacco nemico: era esso stesso un simbolo di potere.

 

Il castello erano anche basi protette da cui si poteva controllare militarmente il territorio circostante. Un invasore doveva perciò distaccare notevoli forze per espugnarli o bloccarli, oppure correre il rischio di vedere tagliate le proprie linee di comunicazione.

 

 

Come è fatto un castello

Sebbene ogni castello abbia caratteristiche proprie, quasi tutti i castelli erano dotati di alcuni elementi in comune. Scopriamo quali:

 

 

Il Mastio:

Il mastio, o maschio, è il cuore del castello medioevale. E’ di solito la torre più imponente del castello, e in essa si ritirano i difensori quando il resto del castello cade in mano al nemico. Oltre a questa importantissima funzione difensiva, il mastio ne svolgeva un’altra, forse persino più importante: esso infatti ospitava la sala del banchetto e le stanze private del signore del castello, i due luoghi sede del potere che il castello rappresentava. Di pianta di solito quadrangolare, non mancano però esempi (come quello della foto) di strutture poligonali o circolari.

 

 

 

Il pozzo:

Non è decisamente una cosa a cui si pensa spesso quando si pensa ad un castello, ma il pozzo è forse l’unico elemento che è sempre presente in un castello. Facile intuire perché. Tutti gli assedi duravano molto tempo, e di certo non si poteva far affidamento su rifornimenti esterni. L’unico modo per garantirsi acqua potabile era dunque avere, nei propri cortili, anche più di un pozzo.

 

 

Il corpo di guardia:

Il primo attacco ad un castello era sempre portato all’entrata, che quindi era protetta da due grandi torrioni, a pianta quadrangolare o semicircolare, che prendono il nome di corpo di guardia. Tali bastioni, per resistere ai colpi delle catapulte e, più tardi, dell’artiglieria pesante erano, eccetto il mastio, le due torri più resistenti di tutto il castello.

 

L’ingresso:

L’ingresso era il luogo più vulnerabile del castello, anche quando era protetto dal corpo di guardia. Doveva infatti fronteggiare una miriade di minacce: gli arieti, le catapulte, persino gli incendi che venivano a volte appiccati alle porte. Per questa ragione molti ingressi erano dotati di un foro dal quale gettare acqua in caso di incendio. Le porte inoltre, costruite con il legno più resistente, erano rafforzate da borchie di metallo e protette da saracinesche.

 

 

La saracinesca:

Era forse una delle più importanti parti del portone. Laddove infatti per sfondare i portoni bastavano pochi colpi di ariete, per divellere una saracinesca occorreva molto più tempo. Le saracinesche infatti non erano di legno, ma di durissimo ferro. Inoltre, a differenza delle porte, che si flettevano sotto i colpi, potevano muoversi soltanto in alto o in basso scorrendo su apposite scanalature sulla pietra. Tutto ciò opponeva una resistenza che neppure la porta più resistente poteva offrire. A volte addirittura i difensori aprivano i cancelli, lasciavano entrare una parte dei nemici e poi calavano la saracinesca: in questo modo quelli che erano entrati rimanevano isolati dai loro compagni e venivano facilmente sopraffatti.

 

 

 

 

 

Il ponte levatoio:

Quasi tutti i castelli erano dotati di fossato, e il ponte levatoio era il modo migliore per oltrepassarlo. Esso infatti in caso di attacco poteva essere velocemente alzato: in questo modo i nemici dovevano colmare il fossato prima di poter impiegare l’ariete e il lavoro doveva essere fatto sotto il tiro incessante dei difensori! Inoltre il ponte levatoio era la prima cosa che la testa dell’ariete incontrava: un ulteriore ostacolo che rallentava ancora di più il già difficile lavoro degli assalitori.

 

 

 

 

 

Il fossato:

Quasi tutti i castelli erano circondati da un profondo fossato. Questo infatti era il mezzo più semplice per difendersi dagli arieti e dalle torri d’assedio, che spesso erano le armi vincenti in un assedio.

I nemici cercavano di riempirlo usando botti, fanghiglia o qualsiasi cosa capitasse sottomano, e per rendere più difficile il loro compito gli abitanti del castello ripulivano periodicamente il fossato, utilizzando la fanghiglia rimossa come fertilizzante per le campagne!

 

 

Le mura:

Ogni castello che si rispetti ha la sua cinta di mura. Essa è composta sempre da tratti di mura vere e proprie intervallate da torri, la cui pianta può variare a seconda dei casi. Le mura, larghe attorno ai 2,5 metri, nelle torri arrivavano a raggiungere anche i 3 metri e mezzo, se non di più. Specialmente con la comparsa dell’artiglieria, il loro spessore aumentò considerevolmente, per poter resistere ai colpi di cannone. Tutte le mura hanno una struttura “a sandwich”: blocchi di pietra squadrata costituivano l’interno e l’esterno, tra questi due si trovava uno strato di pietrisco, tenuto insieme dalla malta.

 

 

Le feritoie:

Si tratta di piccole finestre di forma rettangolare, molto strette, utilizzate dagli arcieri e dai balestrieri per tirare all’esterno senza rischiare di essere colpiti: anche ad un arciere esperto occorrevano infatti cinque o sei tentativi per far passare una freccia attraverso le feritoie. Con l’avvento delle armi a polvere da sparo, le feritoie cambiarono forma: alla base infatti venne aggiunto un foro circolare per permettere agli archibugieri – o ai cannoni laddove possibile – di sparare. Le feritoie delle balestre invece presentavano la tipica forma “a croce” per facilitare il tiro.

 

 

 

Le armi d’assedio:

Abbiamo visto finora i vari accorgimenti con cui si cercava di difendersi da un assedio. Come fare dunque per eludere questi “sistemi di sicurezza” o per sopraffarli? Per la verità gli assedianti avevano a disposizione una vera e propria miriade di strumenti, a volte costruiti su misura per quel particolare castello. In molti casi, i generali mandavano a chiamare grandi ingegneri o scultori per farsi progettare sempre nuove armi da impiegare: persone come Leonardo da Vinci, Brunelleschi, Arnolfo di Cambio, Giotto, Andrea Pisano. Legate a questi nomi sono infatti le opere di difesa di molte città nonché molte originalissime macchine da guerra, richieste dai comandanti che volevano avere i loro “assi nella manica” da giocare. Capitava a volte che i grandi sbagliassero, come capitò allo stesso Brunelleschi, durante l’assedio di Lucca, nel 1430. Quest’ultimo infatti voleva deviare il corso del Serchio per trasformare la città in un isola! Purtroppo per il grande genio, un argine cedette e invece di allagare la città nemica fu l’accampamento “di casa” ad essere allagato. Chiaramente l’episodio venne fatto passare sotto silenzio, e chissà quante altre storie simili a queste giacciono dimenticate in qualche buia segreta!

Geni e scienziati a parte tutti i generali bene o male facevano uso di alcune macchine da guerra

 

 

Il trabucco:

Il trabucco era la più grande delle armi a tiro indiretto a disposizione degli assedianti. Tale macchina da guerra era in grado di lanciare proiettili a una grande altezza (in modo da superare le mura) fino alla considerevole distanza di 300 metri! Le munizioni utilizzate erano assolutamente variabili: poteva trattarsi di pietre levigate come pure di semplici macigni. A volte, per incrinare il morale dei difensori, venivano lanciate teste umane, mentre altre volte, nella speranza di provocare epidemie, venivano lanciate carcasse infette di animali.

 

 

 

 

Il mangano:

Molto più piccolo del trabucco, aveva anche un altro obiettivo: abbattere le mura. Tale macchina da guerra infatti lanciava proiettili con grande violenza e con una traiettoria pressoché lineare, in modo da ottenere il massimo impatto contro le mura. Era inoltre l’unico tipo di catapulta che era possibile posizionare sopra una torre o ad un muro, in quando i trabucchi erano decisamente troppo pesanti perché le mura potessero sorreggerli. Con l’avvento dell’artiglieria il mangano non venne più usato, mentre il trabucco ebbe una vita più lunga.

 

 

 

La balista:

Quest’arma ha una storia antichissima: veniva infatti utilizzata addirittura dai romani. Veniva utilizzata spesso dagli attaccanti e alcune volte anche dai difensori del castello. La balista può essere considerata come una gigantesca balestra (difatti i due nomi vengono dalla stessa parola latina, “balista, ae”). Come la sua “sorella” più piccola infatti, lancia dardi in linea retta ad una grande potenza. I proiettili potevano raggiungere la lunghezza di quasi due metri, e penetravano con facilità qualsiasi corazza. La balista per la verità venne usata finché le mura dei castelli furono di legno: quando si cominciò ad impiegare la pietra, quest’arma perse importanza e venne abbandonata.

 

L’ariete:

Fu una delle armi d’assedio più utilizzate. Constava in origine in un tronco di legno con il quale si cercava di sfondare un cancello, facendo oscillare il tronco e mandando a sbattere un’estremità contro la porta stessa. In seguito, per proteggere i soldati che lo azionavano dal tiro nemico, venne costruito attorno un tetto protettivo. La punta del tronco inoltre fu ornata con teste di ariete o di altri animali in ferro, in modo da aumentarne la potenza. Il risultato finale lo vedete nella foto. 

 

 

La torre d’assedio:

Le mura rappresentavano un ostacolo che una semplice scala a pioli non poteva superare: bastava che un difensore la spingesse giù per uccidere tutti quelli che stavano tentando di scalare il muro. Ben più complicato era respingere una torre d’assedio: era una torre di legno semovente. Al suo interno, attraverso una serie di scale i soldati raggiungevano la sommità, alta quanto le mura del castello. Di lassù, una volta che la torre si era accostata ad un tratto di mura, veniva calato un ponte levatoio e gli occupanti della torre potevano così sciamare sugli spalti senza difficoltà. La copertura in legno inoltre proteggeva gli attaccanti dal tiro nemico, anche se la rendeva vulnerabile alle frecce incendiarie.

 

 

 

 

 

 

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Le mine:

Le mine del medioevo non c’entrano nulla con gli ordigni esplosivi che si usano oggigiorno. Non erano una vera e propria arma d’assedio, ma una tecnica usata persino dai romani. Si tratta di scavare una galleria fin sotto alle mura. Una volta fatto ciò, si da fuoco ai puntelli provocando il crollo della galleria. In questo modo il terreno sotto le mura cede sotto il loro peso e spesso torri intere crollano sotto l’effetto delle mine. L’assedio di San Giovanni d’Acri, l’ultima roccaforte cristiana in Palestina, si concluse proprio quando gli arabi, con una mina, provocarono una breccia nelle mura.

 

 

 

 

 

I mantelletti:

Si tratta di piccole palizzate semoventi, dotate di feritoie, con le quali gli attaccanti potevano tirare ai difensori sulle mura al riparo dal tiro nemico. A volte i mantelletti venivano usati persino per raggiungere la base delle mura e scalzarle pietra dopo pietra. A questo proposito è interessante come fu vinto un assedio che durava da troppo tempo, nel 1300 circa. Il re ordinò infatti di portare, nascoste sotto ad un mantelletto, una grande quantità di pietre simili a quelle delle mura del castello nemico. Facendole gettare gradualmente fuori, fece credere ai nemici di aver quasi completamente scalzato un muro. I nemici così si arresero, e si accorsero troppo tardi dell’inganno in cui erano caduti.

 

 

Se non era possibile circondare un castello e affamare i difensori fino a indurli alla resa, era giocoforza ricorrere alla forza per espugnare la fortificazione. Si poteva sì innanzitutto tentare di scavare una galleria fin sotto le cortine dell'edificio, così da farne franare una parte, oppure da sbucare all'improvviso nel cuore della fortezza.

A questo i difensori rispondevano sistemando grandi bacili d'acqua sul terreno, così che ogni attività di scavo producesse delle increspature sulla superficie del liquido. Una volta avuto sentore dell'opera, effettuavano uno scavo di "contromina", cercando di sbucare nella galleria avversaria e ingaggiando con gli avversari una feroce lotta sotterranea.

Gli attacchi potevano allora battere le mura con proiettili delle artiglierie nevrobalistiche (mangani, catapulte), o con un ariete, avvicinato alle cortine con la protezione di scudi mobili.

I difensori a loro volta ricorrevano a grandi uncini calati dalle mura per rovesciare l'ariete, o a materassi per attutirne i colpi. L'ultima risorsa degli assedianti stava nell'assalto diretto alle mura, usando le scale: una soluzione assai pericolosa, cui i difensori reagivano cercando, con pali biforcuti, di ribaltare all'indietro le scale.

Gli assedianti non erano gli unici a possedere un esercito, era infatti fondamentale, durante l'assedio, avere una numerosa guarnigione a difesa del castello.

Nei castelli primitivi era norma, specialmente nei periodi di disordini, che questi uomini fossero cavalieri, che vivevano permanentemente al seguito del loro signore feudale. in cambio dell'ospitalità essi combattevano per il signore e ne difendevano il castello. Poco alla volta però la maggior parte dei cavalieri tese a riesedere stabilmente sulle proprie terre, e il servizio al castello venne assicurato con un sistema di rotazione: un cavaliere prestava servizio di guarnigione per un certo periodo, poi veniva rimpiazzato da un collega. Infine, nel  XIV e XV  secolo, si diffuse l'usanza di assoldare per la guarnigione milizie mercenarie. E fu forse anche per questo che le camere del signore vennero talvolta disposte sopra il portone d'accesso, così da minimizzare i rischi di un eventuale tradimento.

In tempo di pace i castelli avevano una guarnigione ridotta all'osso, e anche in caso di guerra gli effettivi si contavano più spesso  a decine che a centinaia. Sovente poi la guarnigione di un castello doveva distaccare al servizio del signore, dovunque fosse, un congruo numero di cavalieri, di armigeri e di scudieri. Nè i suoi compiti si limitavano al tempo di guerra. Occorreva assicurare le scorte ai mercanti, soprattutto nelle zone boscose, e il servizio di pattuglia contro i briganti. Ecco perchè l'arrivo di rinforzi, in qualsiasi momento era sempre salutato con grande gioia e squilli di tromba.

 

La difesa

Il punto debole di ogni fortificazione era naturalmente la porta: perciò spesso la si proteggeva con un "rivellino", cioè con una piccola fortificazione avanzata che bisognava espugnare prima di avvicinarsi all'ingresso vero e proprio. come ulteriore, l'accesso era difeso dal ponte levatoio e da una saracinesca. Quest'ultima consisteva in una pesante griglia di ferro, o di legno rinforzato di ferro, che scorreva verticalmente in due scanalature ricavate nel muro. Un argano, situato nella stanza sovrastante l'andito, ne consentiva la manovra. In caso di pericolo, l'argano poteva essere disinserito e la porta calava rapidamente e con violenza. I ponti levatoi potevano essere di vario tipo, dalla semplice passerella che veniva ritirata se si profilava un pericolo alla piattaforma incernierata mossa da due catene manovrate da argani. Attraverso l'andito, tramite le cosiddette "buche traditore", si poteva buttare di sotto acqua per spegnere eventuali incendi, oppure scagliare sul nemico liquidi bollenti (olio o pece solitamente), sabbia rovente, o altre simili sostanze offensive.

Un altro importante accorgimento fu quello di rafforzare la base del castello: i torrioni sono così rivestiti da una "incamiciatura", o "falsabraga", cioè da un muro esterno che ne amplia notevolmente la parte bassa. Il muro è a sua volta fortemente "scarpato", cioè inclinato verso l'esterno, così che le pietre lanciate dall'alto, rimbalzando, schizzino all'infuori verso il nemico. Questo rinforzo basamentale proteggeva la torre da eventuali opere di mina, dall'azione degli arieti, e dai colpi delle artiglierie. Castel Nuovo, a Napoli, venne infatti riedificato tra il 1442 e il 1458, quando le armi da fuoco cominciavano a comparire sui campi da battaglia, e fu uno dei primi esempi di risposta al nuovo problema.

Alla merlatura, si aggiunse il cosiddetto"apparato a sporgere". Il parapetto è appoggiato su mensole (i "beccatelli") che lo fanno sporgere rispetto alla cortina. Tra un beccatello e l'altro sono praticate delle buche (le "caditoie") attraverso le quali si gettavano sul nemico pietre, acqua bollente, sabbia arroventata, calce viva (l'olio bollente, con buona pace dei registi cinematografici, non era mai usato). Tale tipo di difesa era detta a "piombante".

Molti castelli, inoltre, sono forniti di cortine rinserrate da torri molto sporgenti che consentono un efficace tiro laterale (o "di fiancheggiamento") contro i nemici scalanti le mura.

 

 

 

 

L'artiglieria pesante

Le armi che abbiamo mostrato finora furono utilizzate per tutto il medioevo, sino al rinascimento. Quando infatti l’uso della polvere da sparo prese piede in Europa, trabucchi, mangani, baliste ed arieti lasciarono lentamente il passo all’artiglieria, che costrinse tra l’altro i castelli a modificarsi profondamente, a fortificare le proprie mura e a dotarsi di bastioni in grado di sostenere cannoni, seppure di piccolo calibro. Avvenne in pratica una vera rivoluzione del sistema di combattere, e forse il vero “assedio” medioevale morì con il primo colpo di cannone sparato. In ogni caso, sono di seguito illustrate i vari “pezzi d’artiglieria” che vennero utilizzati negli ultimi secoli del medioevo

 

 

 

 

 

Il cannone:

Fu il primo pezzo d’artiglieria “pesante”, e ebbe lunga vita: lo utilizziamo ancora oggi! All’inizio i cannoni erano di piccolo calibro, come quello mostrato nella foto, in modo da poter essere trasportati con facilità. Erano armi altamente inaffidabili: capitava non di rado che uno di questi pezzi d’artiglieria esplodesse, con effetti devastanti per gli utilizzatori, provocando non pochi applausi tra i nemici. Anche se erano così piccoli, si dovettero rinforzare i bastioni, o crearne di nuovi, perché potessero sostenere il peso di queste nuove, micidiali macchine da guerra

 

 

L’archibugio:

Si trattava all’inizio di una specie di “cannone portatile”, un’arma per la verità messa in mano ai soldati più spericolati perché uccideva un archibugiere ogni due nemici! L’evoluzione di quest’arma, che all’inizio sparava poco più di palline di piombo, portò all’archibugio che vediamo in mano ai soldati spagnoli del 1700 e poi al fucile moderno.

In un certo senso si può definirlo il discendente della balestra: entrambe queste due armi infatti, già molto efficaci contro la fanteria, erano micidiali quando le si puntava contro la cavalleria.

 

 

 

Il mortaio:

Se il cannone sostituì il mangano, il mortaio sostituì il trabucco. Questo potente pezzo d’artiglieria infatti poteva lanciare proiettili oltre le mura e sfondare i tetti delle case. Poteva oppure lanciare proiettili che esplodevano in letali schegge di ferro, uccidendo chiunque nell’arco di cinque o sei metri!

 

 

 

Le fasi di un assedio

Formalmente l’assedio cominciava quando gli assalitori aprivano il fuoco contro il castello. Prima di quel momento il castellano poteva consegnare la fortezza e la popolazione agli assalitori senza disonore e con la garanzia di aver salva la vita. Se il castellano rifiutava di arrendersi, l’attacco cominciava. Il primo ostacolo che l'eventuale assalitore incontrava era il fossato: che fosse riempito d'acqua o secco, il fossato rendeva estremamente difficile portare a ridosso delle mura le macchine d'assedio. Se era secco, poteva anche essere guarnito con pali o altri ostacoli che rallentassero l'avvicinamento del nemico e ne aumentassero la vulnerabilità. I nemici circondavano l’edificio nemico e montavano le macchine da guerra, poi bombardavano il castello con le catapulte, per indebolirne le difese e demoralizzarne i soldati. Infine, veniva dato l’assalto vero e proprio, con scale, corde, rampini, torri d’assedio, arieti e ogni altro equipaggiamento descritto sopra. Se i difensori resistevano, gli assedianti potevano scegliere di prendere per fame la fortezza, o aspettare il diffondersi di una carestia. Questa era in effetti la tattica più tremenda: innanzitutto gli assedianti bloccavano tutti i rifornimenti al castello. Una delle risorse che per prime venivano fermate era l'acqua, questa infatti giungeva al castello spesso tramite un fiume sotterraneo sia che fosse naturale o costruito appositamente. Per riuscire a rintracciare il corso d'acqua intorno al castello si impiegava una tecnica alquanto strana: si usava non fare bere ad un cavallo per giorni così che appena lasciato libero avrebbe subito cercato dell'acqua scavando nella terra dove ne sentiva l'odore. Ma se gli attaccanti erano respinti, spesso i difensori organizzavano una sortita: le porte del castello si spalancavano all’improvviso e i cavalieri della fortezza uscivano a colpire di sorpresa i nemici. A volte invece l’assalto alle mura continuava per giorni e giorni, senza sosta, fino a quando uno dei due eserciti non era completamente annientato o fino a quando uno dei due condottieri non si arrendeva. Di solito il castellano preferiva, quando capiva di non avere speranze, arrendersi: l’alternativa era combattere fino alla morte, perché nella maggior parte dei casi veniva graziato soltanto chi si arrendeva.

Se al contrario gli assedianti erano sconfitti, di solito il castellano organizzava una spedizione per inseguire i rimasugli dei nemici e distruggerli completamente. In ogni caso si cercava di fare prigionieri più cavalieri possibili, in modo da poter chiedere riscatti per il loro rilascio. A volte infatti riscattare un cavaliere, specialmente se di alto rango sociale, significava dover pagare somme che, convertite, a volte superavano milioni di euro!

 

 

 

 

 

 

 

La fine di un’era

Il rinascimento in un certo senso segnò la fine degli assedi. L’ormai potentissima ed affidabile artiglieria era diventata in grado di radere al suolo qualsiasi castello senza problemi, e le fortezze stesse si trasformarono, per diventare esse stesse postazioni fortificate per l’artiglieria. Cominciava dunque a nascere un nuovo modo di fare la guerra, sempre più affidato alle armi da tiro. Stava nascendo la guerra come la intendiamo oggi.

Ma questa… è un’altra storia!

 

Fonti Bibliografiche:

-         “Dentro le cose”, di Stephen Biesty, Fabbri Editori

-         “Dentro le cose – Il castello”, di Stephen Biesty e Richard Platt, edizioni Dorling Kindersley

-         “Storia del medioevo”, Hobby & Work

-         “Noi e il lontano passato”, di Carlo Enrico Rol, edizioni Il Capitello

-         “Medioevo” (N°7 – luglio 2003), De Agostini – Rizzoli Periodici

-         "In primo piano - I castelli medievali", De Agostini

 

BrightBlade & Atis

 

 

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Gli assedi nel Medioevo