Gli assedi nel Medioevo
La tecnica dell’assedio
è forse il ramo più difficile di quell’arte che gli antichi romani
chiamavano “res militaris”. Fin dalla preistoria l’uomo ha sempre scelto
posizioni strategiche per difendersi dagli animali feroci e, in breve tempo,
l’essere umano ha imparato a fortificare i luoghi in cui viveva. Già le
palizzate, diffuse in tutte le regioni costiere del mondo all’epoca in cui
l’uomo utilizzava attrezzi di pietra e cominciava appena a forgiare i metalli,
rappresentano il primo esempio di fortificazione.
In seguito, come ben
sappiamo, tutte le grandi civiltà del passato, a partire dalla Mesopotamia,
dotarono le loro città di strutture difensive. Tuttavia, fino all’ascesa di
Roma, le battaglie si svolgevano in campo aperto e raramente avvenivano attacchi
diretti alle città, principalmente perché per quel tempo superare un muro di
mattoni alto svariati metri sotto il tiro nemico era un’impresa praticamente
impossibile. Fino alla venuta di Roma, dunque, le battaglie si combatterono sui
campi, in aperte pianure. Anche nella storia romana le battaglie più frequenti
furono quelle combattute fuori dalle porte delle città, tuttavia era già nata
quella “filosofia”, se così si può definire, che avrebbe condotto alla
nascita dei castelli. I Romani infatti, già micidiali negli scontri sul campo,
erano espertissimi nell’assedio contro i “castri” nemici. Dotatisi in
breve di macchine da guerra atte al superamento o allo scalzamento delle mura,
erano in grado di sopraffare efficientemente qualsiasi fortificazione.
L’esempio più famoso di un assedio al tempo di Roma è sicuramente
l’assedio di Alesia, narrata nel “De bello gallico” di Cesare. Sappiamo,
sempre dallo stesso Cesare, che anche i “barbari” sconfitti dallo stesso
Cesare erano capaci di conquistare un fortino, con la seguente tecnica: con
nugoli di frecce facevano fuggire i difensori di un tratto di muro; poi, con
scale, corde o anche arrampicandosi, scalavano il tratto di mura liberato dai
nemici e penetravano nel fortino. Non era certo un modo di dare l’assedio
sviluppato come quello romano (che prevedeva già l’uso dell’ariete, delle
catapulte e delle baliste), tuttavia, come ammette lo stesso Cesare, aveva una
buona probabilità di successo.
Dunque, l’origine
dell’arte dell’assedio è romana, come pure romani sono i nomi
“castello” (da “castellum”, che è il diminutivo di “castrum, i”,
nome che indicava al singolare una città fortificata e al plurale
l’accampamento fortificato dell’esercito), “assedio” (da “obsidio, is”),
balista e balestra (dal latino “balista, ae”), cancello (dal latino
“cancelli”, usato solo al plurale, diminutivo di “cancer, i”, che vuol
dire, tra le altre cose, “graticcio”). Basta insomma prendere in mano un
qualsiasi dizionario etimologico per rendersi conto che la res militaris romana
è la madre dell’assedio.
Tuttavia, finché
l’impero romano esistette, l’assedio rimase comunque un tipo di
combattimento “secondario”: questa pratica diventerà infatti predominante
dopo la caduta dell’impero romano d’occidente (476 d.C.), e più
precisamente attorno al 569, quando i Longobardi invasero l’Italia.
I Longobardi erano un
popolo formatosi nel corso di una migrazioni secolare con la quale, partendo
forse dalla Scandinavia o dall’area della foce dell’Elba, si erano diretti,
sotto la spinta di altri popoli, sempre più ad ovest, fino a stabilirsi,
attorno al 520-530, nell’ex provincia romana della Pannonia. Da qui, nel 568,
i Longobardi cominciarono la loro migrazione verso l’Italia.
Come sappiamo,
l’invasione di questo popolo portò in Italia grande distruzione (stragi,
devastazioni, razzie), addirittura più delle invasioni barbariche che seguirono
la caduta di Roma. Una delle più importanti conseguenze dell’invasione
Longobarda in Italia, tuttavia, fu il tracollo delle città, che secondo molti
storici si spopolarono in breve tempo, dato che i nuovi invasori preferivano
vivere in campagna. È vero che le città vennero abbandonate? Tale teoria, in
passato ritenuta per lo più valida, è stata soppiantata da una nuova teoria,
che ci interessa da vicino: i Longobardi non provocarono lo spopolamento di
tutte le città, ma soltanto di quelle in posizione poco strategica. Al
contrario, molte città più piccole ma site in posizioni altamente strategiche,
durante l’occupazione Longobarda conobbero un grande sviluppo, e la
popolazione cominciò così ad abbandonare le campagne e a ritirarsi in tali
borghi sulle colline, facendo il primo passo nella strada dell’incastellamento,
ovvero la pratica dei signori del luogo di costruire un castello per offrire
protezione alla popolazione, trovatasi disarmata di fronte alle razzie dei
briganti e degli invasori, in cambio di prestazioni: la coltivazione dei campi,
la manutenzione del castello stesso e, molto spesso, il servizio militare. Tale
fenomeno per la verità non interessò l’epoca del dominio Longobardo in
Italia, ma cominciò ad affermarsi con la discesa di Carlo Magno in Italia, e
l’istituzione dei Vassalli, fedeli collaboratori e amici del Re, sapevano
servire e nello stesso tempo guidare le popolazioni sotto la loro tutela. Con
l’espandersi dei Regni il ruolo dei Vassalli fu sempre più importante, anche
perché l’esercito del Re non poteva difendere tutto il territorio, ma si
impegnava solo nelle guerre più grandi. Il resto della difesa, contro le
piccole incursioni o scorribande, era affidata ai Vassalli ed al loro esercito,
composto per lo più ed inizialmente da loro sudditi; soltanto molto più tardi
si ritrovano soldati mercenari. Ma anche i Vassalli ben presto videro i loro
domini espandersi e dovettero a loro volta concedere terre a Valvassori e
Valvassini, ovvero persone di fiducia che amministravano piccole porzioni del
territorio per conto del Vassallo: dal Re al Valvassino dunque c’era una
gerarchia ben precisa, ed un potere ben definito territorialmente.
Con il clima di violenza di quegli anni, castelli e fortificazioni nacquero
ovunque: tale fenomeno, che lo storico francese Pierre Toubert per primo chiamò
incastellamento, avrebbe radicalmente modificato l’arte della guerra.
Sconfiggere sul campo un esercito nemico era molto diverso da doverlo stanare
dai bastioni di una fortezza. Per conquistare un territorio ora non bastava più
invaderlo, perché la popolazione si rifugiava dentro le mura del castello, dove
poteva sopravvivere anche per anni ed anni. Insomma, per il controllo di ogni
fazzoletto di terra si era costretti a cercare di conquistare il castello del
luogo. Questo ebbe importantissime
conseguenze sull’arte di fare la guerra: gli eserciti dovettero dotarsi di
nuove armi (catapulte, arieti, torri mobili) adatte a superare o distruggere le
mura. I cavalieri, potentissimi in pianura, non potevano certo caricare un muro
di mattoni, e vennero quindi sostituiti in modo sempre maggiore dalla fanteria,
e tenuti da parte (in numero minore) per utilizzarli laddove le macchine da
guerra avessero aperto una breccia nelle mura, in modo da sfondare i ranghi
nemici e consentire alle proprie fanterie di irrompere nella fortezza.
Per poter spiegare come
avveniva un assedio, bisogna però conoscere a fondo quello che era il
“teatro” della battaglia: il castello.
Quando diciamo
“castello” pensiamo tutti a mura di pietra merlate, torrioni quadrangolari o
circolari, feritoie, ponte levatoio e tutto il resto. In realtà la parola
“castello” indica una categoria molto più vasta di costruzioni, che
spaziano dal semplice villaggio fortificato alla residenza fortificata del
Signore alla motta, un monticello, di solito artificiale, su cui veniva
costruita la fortificazione, di solito usando il legno invece che la pietra.
Tale varietà di
costruzioni è dovuta al fatto che le varie civiltà svilupparono moltissimi
tipi di fortificazioni, e si evolsero in maniere differenti, di modo ché la
stessa costruzione poteva sembrare un prodigio di architettura ad alcuni e un
banalissimo fortilizio ad altri. Tuttavia, se questa varietà di costruzioni era
ovunque diffusa nel X e nell’XI secolo, la stessa cosa non si può dire nei
secoli successivi, quando i castelli assunsero caratteristiche comuni e
cominciarono ad “uniformarsi”, assomigliando sempre più all’immagine che
oggigiorno colleghiamo alla parola “castello”.
Il
castello di Fénis in Val d’Aosta
Non dobbiamo dimenticare
che, qualsiasi fosse la loro forma, i castelli non erano unicamente una
postazione fortificata: erano infatti il luogo dal quale il signore del
territorio emanava gli editti, ordinava la riscossione delle tasse, il luogo
quindi dove veniva amministrato il territorio. Il castello dunque non era
soltanto un luogo ove rifugiarsi in caso di attacco nemico: era esso stesso un
simbolo di potere.
Il castello erano anche
basi protette da cui si poteva controllare militarmente il territorio
circostante. Un invasore doveva perciò distaccare notevoli forze per espugnarli
o bloccarli, oppure correre il rischio di vedere tagliate le proprie linee di
comunicazione.
Come è fatto un
castello
Sebbene ogni castello
abbia caratteristiche proprie, quasi tutti i castelli erano dotati di alcuni
elementi in comune. Scopriamo quali:
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Il Mastio: Il mastio, o
maschio, è il cuore del castello medioevale. E’ di solito la torre più
imponente del castello, e in essa si ritirano i difensori quando il resto
del castello cade in mano al nemico. Oltre a questa importantissima
funzione difensiva, il mastio ne svolgeva un’altra, forse persino più
importante: esso infatti ospitava la sala del banchetto e le stanze
private del signore del castello, i due luoghi sede del potere che il
castello rappresentava. Di pianta di solito quadrangolare, non mancano però
esempi (come quello della foto) di strutture poligonali o circolari. |
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Il pozzo: Non è decisamente
una cosa a cui si pensa spesso quando si pensa ad un castello, ma il pozzo
è forse l’unico elemento che è sempre presente in un castello. Facile
intuire perché. Tutti gli assedi duravano molto tempo, e di certo non si
poteva far affidamento su rifornimenti esterni. L’unico modo per
garantirsi acqua potabile era dunque avere, nei propri cortili, anche più
di un pozzo. |
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Il corpo di
guardia: Il primo attacco ad
un castello era sempre portato all’entrata, che quindi era protetta da
due grandi torrioni, a pianta quadrangolare o semicircolare, che prendono
il nome di corpo di guardia. Tali bastioni, per resistere ai colpi delle
catapulte e, più tardi, dell’artiglieria pesante erano, eccetto il
mastio, le due torri più resistenti di tutto il castello. |
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L’ingresso: L’ingresso era il
luogo più vulnerabile del castello, anche quando era protetto dal corpo
di guardia. Doveva infatti fronteggiare una miriade di minacce: gli
arieti, le catapulte, persino gli incendi che venivano a volte appiccati
alle porte. Per questa ragione molti ingressi erano dotati di un foro dal
quale gettare acqua in caso di incendio. Le porte inoltre, costruite con
il legno più resistente, erano rafforzate da borchie di metallo e
protette da saracinesche. |
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La saracinesca: Era forse una delle
più importanti parti del portone. Laddove infatti per sfondare i portoni
bastavano pochi colpi di ariete, per divellere una saracinesca occorreva
molto più tempo. Le saracinesche infatti non erano di legno, ma di
durissimo ferro. Inoltre, a differenza delle porte, che si flettevano
sotto i colpi, potevano muoversi soltanto in alto o in basso scorrendo su
apposite scanalature sulla pietra. Tutto ciò opponeva una resistenza che
neppure la porta più resistente poteva offrire. A volte addirittura i
difensori aprivano i cancelli, lasciavano entrare una parte dei nemici e
poi calavano la saracinesca: in questo modo quelli che erano entrati
rimanevano isolati dai loro compagni e venivano facilmente sopraffatti. |
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Il ponte
levatoio: Quasi tutti i
castelli erano dotati di fossato, e il ponte levatoio era il modo migliore
per oltrepassarlo. Esso infatti in caso di attacco poteva essere
velocemente alzato: in questo modo i nemici dovevano colmare il fossato
prima di poter impiegare l’ariete e il lavoro doveva essere fatto sotto
il tiro incessante dei difensori! Inoltre il ponte levatoio era la prima
cosa che la testa dell’ariete incontrava: un ulteriore ostacolo che
rallentava ancora di più il già difficile lavoro degli assalitori. |
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Il fossato: Quasi tutti i
castelli erano circondati da un profondo fossato. Questo infatti era il
mezzo più semplice per difendersi dagli arieti e dalle torri d’assedio,
che spesso erano le armi vincenti in un assedio. I nemici cercavano
di riempirlo usando botti, fanghiglia o qualsiasi cosa capitasse
sottomano, e per rendere più difficile il loro compito gli abitanti del
castello ripulivano periodicamente il fossato, utilizzando la fanghiglia
rimossa come fertilizzante per le campagne! |
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Le mura: Ogni castello che si
rispetti ha la sua cinta di mura. Essa è composta sempre da tratti di
mura vere e proprie intervallate da torri, la cui pianta può variare a
seconda dei casi. Le mura, larghe attorno ai 2,5 metri, nelle torri
arrivavano a raggiungere anche i 3 metri e mezzo, se non di più.
Specialmente con la comparsa dell’artiglieria, il loro spessore aumentò
considerevolmente, per poter resistere ai colpi di cannone. Tutte le mura
hanno una struttura “a sandwich”: blocchi di pietra squadrata
costituivano l’interno e l’esterno, tra questi due si trovava uno
strato di pietrisco, tenuto insieme dalla malta. |
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Le feritoie: Si tratta di piccole
finestre di forma rettangolare, molto strette, utilizzate dagli arcieri e
dai balestrieri per tirare all’esterno senza rischiare di essere
colpiti: anche ad un arciere esperto occorrevano infatti cinque o sei
tentativi per far passare una freccia attraverso le feritoie. Con
l’avvento delle armi a polvere da sparo, le feritoie cambiarono forma:
alla base infatti venne aggiunto un foro circolare per permettere agli
archibugieri – o ai cannoni laddove possibile – di sparare. Le
feritoie delle balestre invece presentavano la tipica forma “a croce”
per facilitare il tiro. |
Le armi d’assedio:
Abbiamo visto finora i
vari accorgimenti con cui si cercava di difendersi da un assedio. Come fare
dunque per eludere questi “sistemi di sicurezza” o per sopraffarli? Per la
verità gli assedianti avevano a disposizione una vera e propria miriade di
strumenti, a volte costruiti su misura per quel particolare castello. In molti
casi, i generali mandavano a chiamare grandi ingegneri o scultori per farsi
progettare sempre nuove armi da impiegare: persone come Leonardo da Vinci,
Brunelleschi, Arnolfo di Cambio, Giotto, Andrea Pisano. Legate a questi nomi
sono infatti le opere di difesa di molte città nonché molte originalissime
macchine da guerra, richieste dai comandanti che volevano avere i loro “assi
nella manica” da giocare. Capitava a volte che i grandi sbagliassero, come
capitò allo stesso Brunelleschi, durante l’assedio di Lucca, nel 1430.
Quest’ultimo infatti voleva deviare il corso del Serchio per trasformare la
città in un isola! Purtroppo per il grande genio, un argine cedette e invece di
allagare la città nemica fu l’accampamento “di casa” ad essere allagato.
Chiaramente l’episodio venne fatto passare sotto silenzio, e chissà quante
altre storie simili a queste giacciono dimenticate in qualche buia segreta!
Geni e scienziati a parte
tutti i generali bene o male facevano uso di alcune macchine da guerra
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Il trabucco: Il trabucco era la
più grande delle armi a tiro indiretto a disposizione degli assedianti.
Tale macchina da guerra era in grado di lanciare proiettili a una grande
altezza (in modo da superare le mura) fino alla considerevole distanza di
300 metri! Le munizioni utilizzate erano assolutamente variabili: poteva
trattarsi di pietre levigate come pure di semplici macigni. A volte, per
incrinare il morale dei difensori, venivano lanciate teste umane, mentre
altre volte, nella speranza di provocare epidemie, venivano lanciate
carcasse infette di animali. |
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Il mangano: Molto più piccolo
del trabucco, aveva anche un altro obiettivo: abbattere le mura. Tale
macchina da guerra infatti lanciava proiettili con grande violenza e con
una traiettoria pressoché lineare, in modo da ottenere il massimo impatto
contro le mura. Era inoltre l’unico tipo di catapulta che era possibile
posizionare sopra una torre o ad un muro, in quando i trabucchi erano
decisamente troppo pesanti perché le mura potessero sorreggerli. Con
l’avvento dell’artiglieria il mangano non venne più usato, mentre il
trabucco ebbe una vita più lunga. |
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La balista: Quest’arma ha una
storia antichissima: veniva infatti utilizzata addirittura dai romani.
Veniva utilizzata spesso dagli attaccanti e alcune volte anche dai
difensori del castello. La balista può essere considerata come una
gigantesca balestra (difatti i due nomi vengono dalla stessa parola
latina, “balista, ae”). Come la sua “sorella” più piccola
infatti, lancia dardi in linea retta ad una grande potenza. I proiettili
potevano raggiungere la lunghezza di quasi due metri, e penetravano con
facilità qualsiasi corazza. La balista per la verità venne usata finché
le mura dei castelli furono di legno: quando si cominciò ad impiegare la
pietra, quest’arma perse importanza e venne abbandonata. |
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L’ariete: Fu una delle armi
d’assedio più utilizzate. Constava in origine in un tronco di legno con
il quale si cercava di sfondare un cancello, facendo oscillare il tronco e
mandando a sbattere un’estremità contro la porta stessa. In seguito,
per proteggere i soldati che lo azionavano dal tiro nemico, venne
costruito attorno un tetto protettivo. La punta del tronco inoltre fu
ornata con teste di ariete o di altri animali in ferro, in modo da
aumentarne la potenza. Il risultato finale lo vedete nella foto.
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La torre
d’assedio: Le mura
rappresentavano un ostacolo che una semplice scala a pioli non poteva
superare: bastava che un difensore la spingesse giù per uccidere tutti
quelli che stavano tentando di scalare il muro. Ben più complicato era
respingere una torre d’assedio: era una torre di legno semovente. Al suo
interno, attraverso una serie di scale i soldati raggiungevano la sommità,
alta quanto le mura del castello. Di lassù, una volta che la torre si era
accostata ad un tratto di mura, veniva calato un ponte levatoio e gli
occupanti della torre potevano così sciamare sugli spalti senza difficoltà.
La copertura in legno inoltre proteggeva gli attaccanti dal tiro nemico,
anche se la rendeva vulnerabile alle frecce incendiarie. |
Immagine non
disponibile |
Le mine: Le mine del medioevo
non c’entrano nulla con gli ordigni esplosivi che si usano oggigiorno.
Non erano una vera e propria arma d’assedio, ma una tecnica usata
persino dai romani. Si tratta di scavare una galleria fin sotto alle mura.
Una volta fatto ciò, si da fuoco ai puntelli provocando il crollo della
galleria. In questo modo il terreno sotto le mura cede sotto il loro peso
e spesso torri intere crollano sotto l’effetto delle mine. L’assedio
di San Giovanni d’Acri, l’ultima roccaforte cristiana in Palestina, si
concluse proprio quando gli arabi, con una mina, provocarono una breccia
nelle mura. |
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I mantelletti: Si tratta di piccole
palizzate semoventi, dotate di feritoie, con le quali gli attaccanti
potevano tirare ai difensori sulle mura al riparo dal tiro nemico. A volte
i mantelletti venivano usati persino per raggiungere la base delle mura e
scalzarle pietra dopo pietra. A questo proposito è interessante come fu
vinto un assedio che durava da troppo tempo, nel 1300 circa. Il re ordinò
infatti di portare, nascoste sotto ad un mantelletto, una grande quantità
di pietre simili a quelle delle mura del castello nemico. Facendole
gettare gradualmente fuori, fece credere ai nemici di aver quasi
completamente scalzato un muro. I nemici così si arresero, e si accorsero
troppo tardi dell’inganno in cui erano caduti. |
Se non era possibile
circondare un castello e affamare i difensori fino a indurli alla resa, era
giocoforza ricorrere alla forza per espugnare la fortificazione. Si poteva sì
innanzitutto tentare di scavare una galleria fin sotto le cortine dell'edificio,
così da farne franare una parte, oppure da sbucare all'improvviso nel cuore
della fortezza.
A questo i difensori
rispondevano sistemando grandi bacili d'acqua sul terreno, così che ogni
attività di scavo producesse delle increspature sulla superficie del liquido.
Una volta avuto sentore dell'opera, effettuavano uno scavo di "contromina",
cercando di sbucare nella galleria avversaria e ingaggiando con gli avversari
una feroce lotta sotterranea.
Gli attacchi potevano
allora battere le mura con proiettili delle artiglierie nevrobalistiche
(mangani, catapulte), o con un ariete, avvicinato alle cortine con la protezione
di scudi mobili.
I difensori a loro volta
ricorrevano a grandi uncini calati dalle mura per rovesciare l'ariete, o a
materassi per attutirne i colpi. L'ultima risorsa degli assedianti stava
nell'assalto diretto alle mura, usando le scale: una soluzione assai pericolosa,
cui i difensori reagivano cercando, con pali biforcuti, di ribaltare
all'indietro le scale.
Gli assedianti non erano
gli unici a possedere un esercito, era infatti fondamentale, durante l'assedio,
avere una numerosa guarnigione a difesa del castello.
Nei castelli primitivi era
norma, specialmente nei periodi di disordini, che questi uomini fossero
cavalieri, che vivevano permanentemente al seguito del loro signore feudale. in
cambio dell'ospitalità essi combattevano per il signore e ne difendevano il
castello. Poco alla volta però la maggior parte dei cavalieri tese a riesedere
stabilmente sulle proprie terre, e il servizio al castello venne assicurato con
un sistema di rotazione: un cavaliere prestava servizio di guarnigione per un
certo periodo, poi veniva rimpiazzato da un collega. Infine, nel
XIV e XV secolo, si diffuse
l'usanza di assoldare per la guarnigione milizie mercenarie. E fu forse anche
per questo che le camere del signore vennero talvolta disposte sopra il portone
d'accesso, così da minimizzare i rischi di un eventuale tradimento.
In tempo di pace i
castelli avevano una guarnigione ridotta all'osso, e anche in caso di guerra gli
effettivi si contavano più spesso a
decine che a centinaia. Sovente poi la guarnigione di un castello doveva
distaccare al servizio del signore, dovunque fosse, un congruo numero di
cavalieri, di armigeri e di scudieri. Nè i suoi compiti si limitavano al tempo
di guerra. Occorreva assicurare le scorte ai mercanti, soprattutto nelle zone
boscose, e il servizio di pattuglia contro i briganti. Ecco perchè l'arrivo di
rinforzi, in qualsiasi momento era sempre salutato con grande gioia e squilli di
tromba.
La difesa
Il punto debole di ogni
fortificazione era naturalmente la porta: perciò spesso la si proteggeva con un
"rivellino", cioè con una piccola fortificazione avanzata che
bisognava espugnare prima di avvicinarsi all'ingresso vero e proprio. come
ulteriore, l'accesso era difeso dal ponte levatoio e da una saracinesca.
Quest'ultima consisteva in una pesante griglia di ferro, o di legno rinforzato
di ferro, che scorreva verticalmente in due scanalature ricavate nel muro. Un
argano, situato nella stanza sovrastante l'andito, ne consentiva la manovra. In
caso di pericolo, l'argano poteva essere disinserito e la porta calava
rapidamente e con violenza. I ponti levatoi potevano essere di vario tipo, dalla
semplice passerella che veniva ritirata se si profilava un pericolo alla
piattaforma incernierata mossa da due catene manovrate da argani. Attraverso
l'andito, tramite le cosiddette "buche traditore", si poteva buttare
di sotto acqua per spegnere eventuali incendi, oppure scagliare sul nemico
liquidi bollenti (olio o pece solitamente), sabbia rovente, o altre simili
sostanze offensive.
Un altro importante
accorgimento fu quello di rafforzare la base del castello: i torrioni sono così
rivestiti da una "incamiciatura", o "falsabraga", cioè da
un muro esterno che ne amplia notevolmente la parte bassa. Il muro è a sua
volta fortemente "scarpato", cioè inclinato verso l'esterno, così
che le pietre lanciate dall'alto, rimbalzando, schizzino all'infuori verso il
nemico. Questo rinforzo basamentale proteggeva la torre da eventuali opere di
mina, dall'azione degli arieti, e dai colpi delle artiglierie. Castel Nuovo, a
Napoli, venne infatti riedificato tra il 1442 e il 1458, quando le armi da fuoco
cominciavano a comparire sui campi da battaglia, e fu uno dei primi esempi di
risposta al nuovo problema.
Alla merlatura, si
aggiunse il cosiddetto"apparato a sporgere". Il parapetto è
appoggiato su mensole (i "beccatelli") che lo fanno sporgere rispetto
alla cortina. Tra un beccatello e l'altro sono praticate delle buche (le
"caditoie") attraverso le quali si gettavano sul nemico pietre, acqua
bollente, sabbia arroventata, calce viva (l'olio bollente, con buona pace dei
registi cinematografici, non era mai usato). Tale tipo di difesa era detta a
"piombante".
Molti castelli, inoltre,
sono forniti di cortine rinserrate da torri molto sporgenti che consentono un
efficace tiro laterale (o "di fiancheggiamento") contro i nemici
scalanti le mura.
L'artiglieria pesante
Le armi che abbiamo
mostrato finora furono utilizzate per tutto il medioevo, sino al rinascimento.
Quando infatti l’uso della polvere da sparo prese piede in Europa, trabucchi,
mangani, baliste ed arieti lasciarono lentamente il passo all’artiglieria, che
costrinse tra l’altro i castelli a modificarsi profondamente, a fortificare le
proprie mura e a dotarsi di bastioni in grado di sostenere cannoni, seppure di
piccolo calibro. Avvenne in pratica una vera rivoluzione del sistema di
combattere, e forse il vero “assedio” medioevale morì con il primo colpo di
cannone sparato. In ogni caso, sono di seguito illustrate i vari “pezzi
d’artiglieria” che vennero utilizzati negli ultimi secoli del medioevo
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Il cannone: Fu il primo pezzo
d’artiglieria “pesante”, e ebbe lunga vita: lo utilizziamo ancora
oggi! All’inizio i cannoni erano di piccolo calibro, come quello
mostrato nella foto, in modo da poter essere trasportati con facilità.
Erano armi altamente inaffidabili: capitava non di rado che uno di questi
pezzi d’artiglieria esplodesse, con effetti devastanti per gli
utilizzatori, provocando non pochi applausi tra i nemici. Anche se erano
così piccoli, si dovettero rinforzare i bastioni, o crearne di nuovi,
perché potessero sostenere il peso di queste nuove, micidiali macchine da
guerra |
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L’archibugio: Si trattava
all’inizio di una specie di “cannone portatile”, un’arma per la
verità messa in mano ai soldati più spericolati perché uccideva un
archibugiere ogni due nemici! L’evoluzione di quest’arma, che
all’inizio sparava poco più di palline di piombo, portò
all’archibugio che vediamo in mano ai soldati spagnoli del 1700 e poi al
fucile moderno. In un certo senso si
può definirlo il discendente della balestra: entrambe queste due armi
infatti, già molto efficaci contro la fanteria, erano micidiali quando le
si puntava contro la cavalleria. |
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Il mortaio: Se il cannone
sostituì il mangano, il mortaio sostituì il trabucco. Questo potente
pezzo d’artiglieria infatti poteva lanciare proiettili oltre le mura e
sfondare i tetti delle case. Poteva oppure lanciare proiettili che
esplodevano in letali schegge di ferro, uccidendo chiunque nell’arco di
cinque o sei metri! |
Formalmente l’assedio
cominciava quando gli assalitori aprivano il fuoco contro il castello. Prima di
quel momento il castellano poteva consegnare la fortezza e la popolazione agli
assalitori senza disonore e con la garanzia di aver salva la vita. Se il
castellano rifiutava di arrendersi, l’attacco cominciava. Il primo ostacolo
che l'eventuale assalitore incontrava era il fossato: che fosse riempito d'acqua
o secco, il fossato rendeva estremamente difficile portare a ridosso delle mura
le macchine d'assedio. Se era secco, poteva anche essere guarnito con pali o
altri ostacoli che rallentassero l'avvicinamento del nemico e ne aumentassero la
vulnerabilità. I nemici circondavano l’edificio nemico e montavano le
macchine da guerra, poi bombardavano il castello con le catapulte, per
indebolirne le difese e demoralizzarne i soldati. Infine, veniva dato
l’assalto vero e proprio, con scale, corde, rampini, torri d’assedio, arieti
e ogni altro equipaggiamento descritto sopra. Se i difensori resistevano, gli
assedianti potevano scegliere di prendere per fame la fortezza, o aspettare il
diffondersi di una carestia. Questa era in effetti la tattica più tremenda:
innanzitutto gli assedianti bloccavano tutti i rifornimenti al castello. Una
delle risorse che per prime venivano fermate era l'acqua, questa infatti
giungeva al castello spesso tramite un fiume sotterraneo sia che fosse naturale
o costruito appositamente. Per riuscire a rintracciare il corso d'acqua intorno
al castello si impiegava una tecnica alquanto strana: si usava non fare bere ad
un cavallo per giorni così che appena lasciato libero avrebbe subito cercato
dell'acqua scavando nella terra dove ne sentiva l'odore. Ma se gli attaccanti
erano respinti, spesso i difensori organizzavano una sortita: le porte del
castello si spalancavano all’improvviso e i cavalieri della fortezza uscivano
a colpire di sorpresa i nemici. A volte invece l’assalto alle mura continuava
per giorni e giorni, senza sosta, fino a quando uno dei due eserciti non era
completamente annientato o fino a quando uno dei due condottieri non si
arrendeva. Di solito il castellano preferiva, quando capiva di non avere
speranze, arrendersi: l’alternativa era combattere fino alla morte, perché
nella maggior parte dei casi veniva graziato soltanto chi si arrendeva.
Se al contrario gli
assedianti erano sconfitti, di solito il castellano organizzava una spedizione
per inseguire i rimasugli dei nemici e distruggerli completamente. In ogni caso
si cercava di fare prigionieri più cavalieri possibili, in modo da poter
chiedere riscatti per il loro rilascio. A volte infatti riscattare un cavaliere,
specialmente se di alto rango sociale, significava dover pagare somme che,
convertite, a volte superavano milioni di euro!
Il rinascimento in un
certo senso segnò la fine degli assedi. L’ormai potentissima ed affidabile
artiglieria era diventata in grado di radere al suolo qualsiasi castello senza
problemi, e le fortezze stesse si trasformarono, per diventare esse stesse
postazioni fortificate per l’artiglieria. Cominciava dunque a nascere un nuovo
modo di fare la guerra, sempre più affidato alle armi da tiro. Stava nascendo
la guerra come la intendiamo oggi.
Ma questa… è un’altra
storia!
Fonti Bibliografiche:
-
“Dentro le cose”, di Stephen Biesty, Fabbri Editori
-
“Dentro le cose – Il castello”, di Stephen Biesty e Richard Platt,
edizioni Dorling Kindersley
-
“Storia del medioevo”, Hobby & Work
-
“Noi e il lontano passato”, di Carlo Enrico Rol, edizioni Il
Capitello
-
“Medioevo” (N°7 – luglio 2003), De Agostini – Rizzoli Periodici
-
"In primo piano - I castelli medievali", De Agostini
BrightBlade & Atis
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Gli
assedi nel Medioevo