L'Arte nel Medioevo
L'Architettura Romanica

 

Introduzione:
L'Arte del Medioevo

 

 

L’XI secolo e la prima metà del XII secolo conoscono una grandissima espansione dell’arte cristiana, il romanico, elaborato, sviluppato e perfezionato in una moltitudine di chiese ed anche nei castelli fortificati. Arte della pietra, che raggiunge l’armonia a partire dagli elementi più disparati, il romanico è però innanzitutto un’arte religiosa, che attesta una fede ed esprime una mistica.
L’architettura romanica deriva dagli edifici carolingi ed ottoniani, anch’essi ispirati dall’arte della Roma antica e più particolarmente dell’arte paleocristiana (costantiniana), che aveva adattato alla funzione religiosa la basilica tradizionale, di cui aveva utilizzato la pianta amplificandola (abside, spazio interno a cinque navate, matroneo, nartece, ecc.), su cui si erano innestate influenze orientali, che continueranno del resto ad operare.
Le grandi costruzioni del IX secolo (ad esempio Fontanelle, la cattedrale di Reims) aprirono dunque la strada alle nuove composizioni, predisponendone gli elementi principali: sviluppo dell’abside, bracci del transetto con altare secondario; cripta molto ampia; apertura di cappelle su corridoio a gomito che circonda la cripta; ampio portico a due piani inquadrato da torrette e torri; ecc. Fin da quest’epoca, inoltre, si sperimentano nelle cripte nelle navate laterali i due principali sistemi di volta allora realizzabili: la volta a tutto sesto e la volta a crociera.
Nella seconda metà del X secolo, si compì uno sforzo più deciso, ai tempi e sotto l’egida, più o meno degli imperatori ottoniani (Ottone I, Ottone II, Ottone III). A testimonianza di questa rinascita ottoniana esistono numerosi monumenti, per lo più imponenti e maestosi tendenti anch’essi a fondere in un complesso equilibrato dei blocchi ancora poco compatti (la navata, il transetto, il massiccio occidentale) e che conducono più direttamente all’arte romanica. Quest’ultima, infatti, assume la sua vera forma quando si diffondono i procedimenti di costruzione della volta, peraltro non originali e già utilizzati nel secolo precedente e sfruttati allora in numerose chiesette meridionali, soprattutto dei Pirenei e della Lombardia. Questi piccoli santuari danno un’impressione di armonia, che si ritrova del resto anche in edifici non a volta (tra l’altro in Normandia), anch’essi appartenenti al romanico. Ciò significa che questo stile consiste innanzitutto in una sistemazione dello spazio per sovrapposizione di volumi che, alla fine, costituiscono un tutto unico. Non c’è più la navata, il transetto, l’abside, il portico, il nartece, ecc.: c’è la chiesa. Nasce dunque effettivamente quando questo equilibrio è raggiunto nei grandi edifici urbani, per la cui costruzione non si è fatto risparmio di mezzi. Intorno al 1000 e fino ad oltre il 1050, subendo diverse influenze locali, il romanico è ancora molto disomogeneo. La sue espansione è successiva e coincide con quello che possiamo definire il secondo periodo romanico: i principali monumenti servono da modello per le chiesette di campagna e diffondono la nuova estetica; ognuno ha una sua originalità, il che contribuisce a mantenere la diversità, ma fra di essi ci sono analogie abbastanza forti da esprimere una reale uniformità.
Tranne alcuni casi piuttosto rari di pianta circolare o di pianta centrale, la più consueta è la pianta basilicale. La basilica, rettangolare, culmina in un’ampia abside che contiene il coro; questo si ingrandisce in qualche modo, o con absidiole scaglionate (corrispondenti in questo caso alle navate laterali) con un deambulatorio, o con cappelle disposte a raggio. Questi grandi edifici possiedono un transetto che, internamente, è propriamente aperto sulla navata, mentre all’esterno si fonde più o meno con tutta la massa dell’edificio. Vi si accede, a ovest, sul davanti dell’atrio o del nartece, attraverso un portico;  molto spesso, però, altre porte sono ricavate alle estremità dei bracci del transetto, a meno che anche questi non culminino in un’absidiola. La copertura è a volta: perlopiù, nelle chiese modeste ad un’unica navata, la volta è soltanto a botte, interrotta in qualche caso da archi doppi; quando vi sono navate laterali, spesso sono coperte da volte a crociera (intersezione di due volte a botte perpendicolari tra loro, dello stesso raggio, le cui linee di intersezione disegnano quattro costoni che rinsaldano l’insieme). Nei principali santuari, gli archi portanti tra i quali si sviluppa la volta poggiano su dei pilastri. All’incrocio del transetto si innalza una cupola o un campanile, oppure, al di sopra del portico principale o dai due lati della facciata, delle torri. Il principale problema tecnico, per ciascun elemento e per tutto l’edificio, è quello dell’altezza e dell’equilibrio dei pesi. Benché i pilastri consentano di salire più in alto, la volta comunque è molto pesante e spinge dai due lati verso l’esterno; come pure i semicantini; esternamente vengono sorrette, se necessario, da contrafforti; anche torri e campanili danno spesso una controspinta utile.
Così, la chiesa tipica dell’architettura romanica si presenta come un edificio di media altezza, a volte anche basso e tozzo. Presenta nel portico e nei portali, come nelle aperture e nei piani delle torri, una serie di arcate a tutto sesto, alle quali corrispondono armoniosamente le linee arrotondate dei muri delle absidi e delle absidiole, che forniscono alle absidi stesse, allorché sono circolari, uno straordinario equilibrio, che si completa soprattutto per l’armoniosa fusione dio forme semplici. All’interno, quella stessa semplicità nell’armonia che ritroviamo grazie alla volta, colpisce tanto più il visitatore in quanto vi domina il chiaroscuro. Infine, fuori come dentro, una straordinaria scultorea rappresenta l’elemento di maggiore valore di questa espressione artistica, manifestandone la vera genialità: una decorazione prodotta dall’architettura ed intrinsecamente saldata con questa (infatti, quelli che vengono cesellati sono sostanzialmente volumi in pietra già collocati nel muro e legati ad esso e raramente dei pezzi aggiunti al di fuori di un’esigenza architettonica).
Gli sforzi migliori degli incisori si concentrano sul portale e qui si ammirano i capolavori. Nell’ampio campo semicircolare del timpano, tra l’architrave e l’archivolto che lo delimitano,  l’artista può affermare il suo talento compositivo ed i grandi temi dell’iconografia si dispiegano. L’architrave si presta si presta ai cortei, alle sfilate, al sovrapporsi di episodi. La raffigurazione del tempo, delle opere e dei giorni prende posto facilmente sui cordoni delle curvature, che, al pari degli strombi o degli stipiti, possono offrire l’apparato monumentale o l’incantevole cornice del gruppo scolpito nel timpano, distaccandolo dal muro spoglio. Altro spazio privilegiato per la scultura, i capitelli, quelli delle grandi arcate ma anche quelli dei matronei, delle gallerie, dei chiostri, delle torri, ecc. I quattro lati scolpiti del capitello attraggono irresistibilmente lo sguardo per loro contrasti di ombre e di luce in quel punto essenziale della scultura architettonica, vale a dire il passaggio dalla colonna rotonda alla base quadrata o rettangolare delle arcate. Tutto questo, comunque, è ancora soltanto tecnica o risorsa ornamentale. Il risultato vero sta nella scultura in sé, la cui fioritura rappresentò un grande momento della storia d’Europa e grazie alla quale il romanico offre al ricercatore le infinite sfaccettature della vita; al devoto infinite occasioni di vedersi incarnare od esprimersi nella natura forze soprannaturali.

 

L’Architettura Romanica

La vita dei paesi europei che, nei secoli VI-VIII, aveva vissuto un periodo di oppressione e di miseria (tenebroso medioevo) muta profondamente  intorno all'anno Mille: il popolo si sente libero, colto, ricco, tutte condizioni che favoriscono il sorgere e l'affermarsi di una nuova arte. Il termine "romanico" venne usato per la prima volta nel 1818 dall'archeologo francese M. De Gerville per definire il carattere "romanzo" delle arti, principalmente l'architettura, ma anche la scultura e la pittura, sviluppatosi in Europa tra il sec. X e il XII. In architettura il romanico nasce da un'esigenza costruttiva, cioè da un sistema nuovo di copertura degli edifici sacri, con l'impiego della volta a crociera, anzichè la travatura di legno, soggetta ad incendi. Questa volta, poggiante su quattro pilastri, è formata dall'incrocio di due volte a botte, in seguito è stata rafforzata da "costoloni" cioè archi in muratura che corrono lungo le linee di incontro e la dividono in quattro settori o vele. Il lungo ambiente delle navate basilicali è così diviso in una serie di spazi distinti, le campate. La pianta della chiesa romanica, sempre di notevoli dimensioni, è a croce latina, il braccio corto davanti all'abside si chiama transetto; sotto l'abside vi è la cripta. La facciata può essere a capanna se digrada a forma triangolare o a salienti se riprende il profilo delle navate interne, suggerito dai costoloni che corrono verticalmente, dividendola in tre corpi. E' costruita in mattoni, ravvivata da loggiati sorretti da colonnine marmoree, da archetti ciechi e talora dal rosone, un'apertura circolare posta al centro della facciata. Il campanile ha pianta quadrata ed è suddiviso in piani orizzontali da archetti pensili. Spesso due campanili, anziché uno, affiancano la chiesa.Lo stile romanico nella sua purezza si rintraccia nel gruppo lombardo-emiliano i cui principali monumenti sono: S. Ambrogio a Milano, S. Michele Maggiore a Pavia, S.M. Maggiore a Bergamo, Duomo di Modena, Cattedrale di Parma, Duomo di Ferrara. Nel resto della penisola lo stile subisce le influenze locali, per cui quasi ogni regione possiede un proprio stile romanico. Nel gruppo veneto spiccano elementi bizantini (cupole,cupolette,ecc) che si riscontrano nei principali monumenti: S. Marco a Venezia, Basilica di S. Maria e Donato a Murano, Duomo di S. Giusto a Trieste. Nel gruppo toscano spicca la varietà dei marmi (marmo bianco e verde di Prato, marmo rosso di Serravezza) come nel Battistero di S. Giovanni a Firenze. Un particolare stile romanico toscano lo troviamo nel pisano-lucchese, il cui motivo è rappresentato da un finto portico con vari ordini di gallerie sovrapposte, con elementi orientali e bizantini. Le opere più insigni sono: il Duomo di Pisa, il Battistero, il Campanile o Torre pendente, Duomo di Lucca, S.M. della Pieve ad Arezzo. Nel resto dell'Italia meridionale, soprattutto in Sicilia, nacque uno stile ricco che combinava elementi bizantini, romani, arabi, lombardi, normanni e si caratterizzava per l'uso di splendide decorazioni a mosaico: Cattedrale di Monreale e Cefalù, Duomo di Palermo, la Cappella Palatina a Palermo.La scultura monumentale fu rara nell'arte romanica, era infatti considerata una necessaria integrazione dell'insieme architettonico dell'edificio sacro, con funzione sia decorativa che strutturale. Opere significative furono realizzate in Germania, a Hildesheim, tra cui le splendide porte in bronzo della cattedrale, i fonti battesimali e le lastre sepolcrali. Tra gli scultori che operarono in Italia troviamo Wiligelmo Antelami (Storie della Genesi e altre sculture sulla facciata del duomo di Modena) e Benedetto Antelami (con la Deposizione del duomo di Parma).La pittura e l'affresco, ispirati al naturalismo e al grandioso realismo classico, con una impronta mistica, tendono a far trionfare uno stile più libero e vivo (Pietro Cavallini, Cimabue, Duccio di Buoninsegna). I mosaici furono utilizzati per la decorazione di molte chiese romaniche italiane specialmente nella basilica di San Marco a Venezia e nelle cattedrali di Monreale e Cefalù in Sicilia.

Un altro elemento caratteristico di tutta l’architettura romanica è l’arco a tutto sesto cioè a forma circolare che si pone sia all’interno che all’esterno della chiesa.

 

I Periodi

L’Architettura Romanica viene generalmente divisa in cinque periodi:
Architettura Preromanica
: sino al X secolo
Architettura Protoromanica: dal X al XI secolo
Architettura del Secondo Periodo Romanico: dal 1070 al 1150
Architettura Romanica Matura: il XII secolo
Architettura Tardoromanica: XIII secolo

 

L’Architettura Preromanica

 

La Chiesa di SANTA SOFIA (Benevento)

La Chiesa fu portata a termine da Arechi II, Duca di Benevento, e fu inaugurata nel 762 d.C. perché raccogliesse le reliquie dei Santi protettori della gente longobarda.

Portale ingresso.

L'interno del monumento, a pianta metà circolare e metà stellare, presenta due corridoi concentrici creati da pilastri e colonne che formano un esagono centrale e un decagono esterno e che reggono l'intera volta creando suggestivi giochi di luce e di ombre.
Il perimetro della chiesa di S. Sofia, tra le più ardite e fantasiose costruzioni dell'Alto Medioevo, ad eccezione delle tre absidi semicircolari, rientra in una circonferenza che ha un diametro di mt.23,50. L'altezza massima è di 8 metri.

All'interno delle absidi sono visibili consistenti tracce degli affreschi originali dell'VIII e IX secolo.

In quella di sinistra è raffigurata la storia dei San Giovanni Battista con l'Angelo che annuncia a Zaccaria la prossima nascita del figlio e San Zaccaria diventato muto per l'annuncio ricevuto.

In quella di destra è riprodotta l'Annunciazione a Maria e Visitazione di Santa Elisabetta alla Vergine.

Il Chiostro di  SANTA SOFIA (Benevento)

Il Chiostro

Il chiostro si sviluppa su una pianta quadrata, con sedici pilastri, congiunti da arconi ciechi, di tufo e mattoni. Tra i pilastri si aprono quindici quadrifore e una trifora formate da archetti a ferro di cavallo. Gli archetti poggiano su 47 colonnine di granito, alabastro o calcare. con basi appoggiate su un muretto alto circa 50 centimetri, sormontate ciascuno da un capitello e da un pulvino in forma di capitello a stampella, tutti variamente scolpiti. Nonostante i terremoti, la serie dei Mesi, raffigurata sui pulvini dell'angolo orientrante del chiostro, si conserva nell'ordine antiorario originario. Si tratta dei lavori agresti di sette mesi: giugno (uomo che falcia le messi recandone un fascio sulla spalla; pulvino 10); luglio (uomo che batte un mucchio di grano con un correggiato; pulvino 11). agosto (uomo che raccoglie fichi e li pone in un cesto; pulvino 12); settembre (scena di vendemmia e pigiatura dell'uva; pulvino 13). Nella stessa quadrifora (il pulvino 15) sono rappresentati ottobre, novembre, dicembre: con un uomo che raccoglie olive, uno che semina frumento e un gruppo di persone che trasportano in spalla un maiale ucciso.E' probabile che il pulvino 15 sia stato invertito con il 14 durante i restauri settecenteschi. Se poi sulla colonna 7, anche il primo pulvino, perduto, rappresentava contemporaneamente gennaio, febbraio, marzo, seguito da aprile sul pulvino 8 e da maggio sul pulvino 9 - anch'essi perduti - è possibile ricostruire la disposizione dell'intero gruppo delle sculture, ordinata dal Maestro dei Mesi. Con l'invito al lavoro manuale, sacro come preghiera, scolpito nell'itinerario della trifora e della quadrifora per redimere lo spirito. il Maestro dei Mesi, depositario di cultura antica, concludeva qui il suo impegno per il chiostro di S. Sofia.

Il Chiostro

Nella regola di San Benedetto l'espressione claustra monasterii indica semplicemente il recinto del monastero e non una parte di esso. L'idea di uno spazio libero attorno a cui disporre le varie parti del monastero per facilitare il passaggio dall'una all'altra, secondo le varie esigenze della vita che i religiosi conducono in comune, dovette sorgere a poco a poco. Nella Siria centrale, nel monastero di Shagga, che risale probabilmente al sec.V, si trova già una specie di cortile interno, toccato su tutti i lati delle varie costruzioni, contornato da un portico. Nel 567 il concilio di Tours prescrisse che i monasteri possedessero un locale che potesse ospitare quei monaci che volessero fare la loro lettura; questo locale sarà poi il chiostro. Isidoro di Siviglia nomina, tra le altre parti che deve avere un monastero, un portico per il quale i religiosi possano recarsi al giardino. Anche il famoso monastero di San Gallo, di cui ci è stata conservata la pianta, ci presenta un chiostro attiguo alla chiesa. Qui il chiostro sembra avere l'ufficio di introdurre alle varie parti del monastero, il che ha fatto pensare ad una derivazione dal peristilium della casa romana. Il chiostro dei monasteri poté ben trovare la sua origine in una necessità pratica, specialmente in Occidente dove la vita in comune, il cenobio, prevale sull'isolamento individuale. Le varie parti dell'edificio monastico non possono essere troppo lontane tra loro, per riguardo ai monaci che debbono spostarsi da un luogo all'altro; di qui la necessità di riunire i vari locali intorno ad una specie di cortile di disimpegno, provveduto di portici per riparare i monaci dalle intemperie, e d'un pozzo o d'una fontana per le necessarie abluzioni. Per il Wickoff v'è somiglianza tra il chiostro e l'atrium delle basiliche cristiane (tra le quali va ricordata la basilica paleocristiana di Caserta), che si spiegherebbe considerando che i primi nuclei di monaci si riunivano intorno alla chiesa. La forma più comune del chiostro è la quadrata, viene poi la pianta rettangolare.

Le grandi abbazie possedevano almeno due chiostri, uno presso l'ingresso occidentale della chiesa, l'altro ad oriente, dietro l'abside. Il primo serviva di accesso alla sala capitolare, al dormitorio, al refettorio, alla sacrestia e ad altri locali del monastero; questo chiostro era quello comune ai religiosi. Il secondo, più appartato e più piccolo, era specialmente destinato all'abate ed ai dignitari ecclesiastici, ed era fabbricato nelle vicinanze della biblioteca, dell'infermeria e del cimitero. Nella storia dell'arte il chiostro ha dato luogo a capolavori architettonici. Del sec.XII è il chiostro di Santa Sofia di Benevento, con archi a ferro di cavallo e avanzi di decorazione di tipo arabo. Di particolare interesse per i motivi arabeschi il chiostro del Paradiso di Amalfi.

 

Un’altra perla dell’Arte Preromanica si trova nel comune di Montalcino (SI) ed è:

 

L’Abbazia di Sant'Antimo

Secondo la tradizione l'abbazia di Sant'Antimo venne fondata alla fine dell'VIII secolo da Carlo Magno. Il documento più antico tuttavia risale all'813, si tratta di un diploma di Ludovico il Pio nel quale il monastero, retto dall'abate Apollinare, viene dotato di territori fra l'Ombrone, l'Orcia e l'Asso, fino alla Maremma.
Altri documenti successivi di cui uno di Berengario ed Adalberto del 951 e uno di Enrico III del 1051 sembrano dimostrare che il primo diploma imperiale a favore dell'abbazia fosse stato redatto proprio da Carlo Magno.
Altri diplomi imperiali e papali redatti nel XII e XIII secolo testimoniano la vastità dei possedimenti dell'abbazia toscana. Seconda per importanza solo all'abbazia di Sesto presso Lucca, i suoi possessi superavano abbondantemente quelli del potente monastero di San Salvatore al Monte Amiata.
L'abate di Sant'Antimo si potè fregiare a lungo del titolo di Conte Palatino che così recitava: "Gratia Dei et Sanctae sedis Apostolicae Abbas Sancti Antimi comes et consiliarius Sacri Romani Imperii".
Fino alla metà del XII secolo il monastero godette di fama e ricchezza, ma col diminuire dell'importanza dell'ordine benedettino, iniziò un lungo periodo di declino. Le prime avvisaglie si ebbero quando, col diminuire dell'influenza degli imperatori, e la conseguente crescita delle autonomie locali, cominciarono a crearsi attriti fra il monastero e la Repubblica di Siena in merito al possesso dei territori. L'importanza strategica di alcuni castelli come Castelnuovo dell'Abate, Monte Giovi e lo stesso Montalcino, che fu a lungo conteso fra Siena e Firenze, costituirono il motivo principale degli attriti fra il monastero e il comune senese. Basti pensare che nel Costituto del Comune di Siena del 1262 sono dedicate diverse rubriche ai rapporti con l'Abbazia di Sant'Antimo.
Verso la metà del XIII secolo le ricchezze del monastero dovettero essersi quasi esaurite se, nel 1255 l'Abate offrì in vendita al Comune di Siena alcuni dei suoi territori. Pochi anni dopo anche Castelnuovo dell'Abate, che pure era stato completamente eretto dall'Abbazia di Sant'Antimo, compariva già fra i castelli in cui veniva eletto un podestà senese.
Nel 1291 il decadimento dell'Abbazia di Sant'Antimo culminò con l'entrata dell'ordine dei Guglielmiti ai quali fu concesso il monastero da parte della diocesi di Montalcino, alla quale l'Abbazia era stata sottomessa. Non tardarono ad innescarsi degli aspri conflitti di successione che neppure l'intervento di diversi Pontefici riuscì a dirimere.
Dopo un lungo periodo di agonia il monastero venne soppresso con decreto di Papa Pio II del 1462. I beni rimasti divennero proprietà della diocesi di Montalcino ed il vescovo ereditò anche il titolo di "conte palatino e Abate di Sant'Antimo". Nella seconda metà del XV secolo il vescovo di Montalcino fece addirittura adibire a sua abitazione il matroneo sovrastante la navata destra della chiesa abbaziale.
Da allora il degrado che si abbattè sull'antico monastero portò alla quasi scomparsa degli edifici. Fu solo alla fine del 1800 che, grazie all'attenzione dello studioso Antonio Canestrelli, si riaccese l'interesse artistico nei confronti del monastero.

Arte e Architettura: Il XII secolo fu il periodo più florido per l'Abbazia di Sant'Antimo. Nel 1118, probabilmente a seguito di una donazione del conte Bernardo (riportata nella "charta lapidaria" dei gradini e dell'altare maggiore), venne consacrato l'altare della grande chiesa romanica.
Il promotore dell'opera e forse anche l'architetto fu il monaco Azzo dei Porcari, come ricordato da un'iscrizione sul portale della facciata che così lo ricorda: "egregiae fuit auctor previus aulae atque libens operis portavit pondera tanti".

La data del 1118 non rappresenta tuttavia la conclusione dei lavori, ma probabilmente solo l'inizio. La costruzione iniziata dalla zona absidale proseguì in direzione della facciata, ciò è dimostrato dal fatto che le absidi e il deambulatorio sono stati completati in tutte le loro parti, mentre la facciata risulta ampiamente incompiuta. Gli alti costi dell'opera e il contemporaneo indebolimento dell'influenza del monastero sono certamente le cause che portarono ad interrompere i lavori prima della loro conclusione.

 

Zona Absidale

L'impronta di quattro archi sulla facciata, di cui quelli centrali più ampi, mostra che nel progetto iniziale era previsto un doppio portale, e le imponenti semicolonne addossate superstiti probabilmente avrebbero dovuto sostenere le volte di un portico o nartece.
Uno studio condotto dalla Raspi Serra, incentrato sulla decorazione plastica della chiesa di Sant'Antimo, ipotizza che il portale oggi presente nella chiesa di Santa Maria a San Quirico d'Orcia, sia uno dei portali commissionati per Sant'Antimo, ma che a causa del decadimento che colpì l'Abbazia, siano stati ceduti rimediando con una soluzione di ripiego più economica.
La convinzione della Serra si basa sulla straordinaria affinità stilistica del portale di Santa Maria con lo stile scultoreo di Sant'Antimo e una corrispondenza nelle misure con il portale attuale; oltre al fatto che risulta alquanto sproporzionato per una piccola chiesa come quella di Santa Maria.
La grande abside che cinge il deambulatorio, si contrappone all'incompiuta facciata, per la sua bellezza e completezza. Coronata da una cornice sorretta da mensole variamente scolpite, accoglie tre absidiole radiali con semicolonne addossate; fra le absidiole si aprono ampie monofore con arco a tutto sesto sorretto da colonnette con capitelli scolpiti.

 

Capitello con testa montone

I fianchi della chiesa sono scanditi da semicolonne addossate e da lesene nel corpo centrale, fra i quali si aprono finestre monofore.
Sul lato destro una delle porte d'accesso ha gli stipiti e l'architrave riccamente scolpiti con motivi vegetali, intrecci e figure animali (aquile, grifoni e draghi).
Sul lato sinistro un'altra porta, detta dei battezzandi, ha lo stipite e l'architrave scolpiti, si tratta senza dubbio di pezzi di risulta provenienti da una precedente costruzione preromanica.
L'interno è a tre navate su colonne alternate a pilastri, la copertura della navata maggiore è a capriate lignee, mentre le navatelle laterali e il deambulatorio sono coperti da volte a crociera.
Come ha scritto il Canestrelli, alcuni degli elementi architettonici collegano la chiesa di Sant'Antimo alla cultura artistica francese mescolata con i modelli del romanico lombardo.
Sono francesi il deambulatorio e le cappelle radiali, la copertura delle navatelle e del deambulatorio, nonchè lo slancio verso l'alto della navata centrale. Appartengono alla tradizione italiana la copertura lignea, l'alternanza di colonne e pilastri cruciformi ed alcuni elementi presenti nel matroneo che rivelano influenze emiliane.

L'arredo plastico, sia interno che esterno, rivela un gusto decorativo che lega influenze nostrane al gusto degli artisti d'oltralpe. In particolare il capitello raffigurante Daniele nella fossa dei leoni, venne attribuito a maestranze tolosane da Enlart o al "Maestro di Cabestany" dallo Juvent. Nel complesso tutti i capitelli presentano una qualità d'intaglio e di modellato che dimostrano la presenza di maestranze molto raffinate che il Salvini ipotizzò derivanti da scuole alverniati, ma con la mediazione di esperienze lombarde.
Anche i materiali utilizzati rivestono una importanza determinante nell'effetto estetico della plastica, un "alabastro-onice" delle vicine cave di Castelnuovo dell'Abate e un travertino con venature bianche, brune e dorate, talora con suggestivi effetti di trasparenza, contribuiscono a rendere ancora più affascinante l'effetto visivo dell'intero complesso.
Infine occorre ricordare l'antica chiesetta altomedievale detta "cappella carolingia", posta sul lato destro della chiesa in corrispondenza dell'abside. Si tratta di un edificio ad aula unica con abside semicircolare. Sotto la chiesa si apre la cripta che il Salmi ritiene essere il più antico esempio della Toscana. E' un piccolo ambiente sorretto da quattro colonnette sormontate da capitelli a piramide tronca rovesciata che formano una suddivisione in tre navatelle, secondo uno schema che avrà molto seguito nel tempo.

A fianco della chiesa carolingia e in prosecuzione ad essa, si erge una parete aperta da una trifora i cui archi poggiano su colonnette con capitelli a stampella. Siamo in corrispondenza dei resti dell'antico chiostro preromanico, la trifora faceva parte dei locali della sala capitolare (secolo X) che in origine era aperta sul chiostro.

Sul lato opposto si innalza il campanile addossato alla chiesa. I piani sono scanditi da cornici marcapiano e sono aperti da monofore e bifore inquadrati in cornici culminanti con una serie di archetti pensili. Anche il campanile mostra di non essere stato portato a termine; le campane infatti furono alloggiate in una modesta vela sulla sommità della torre.
Un accenno è dovuto all'incantevole paesaggio nel quale è immersa l'abbazia di Sant'Antimo, posta ai piedi delle dolci colline dell'Amiata, nella valle del torrente Starcia, una cornice d'arte e natura unica per il suo fascino e per la sua storia.

Riferimenti bibliografici:
D. Negri "Chiese romaniche in Toscana"
I: Moretti e R. Stopani "La Toscana" serie Italia Romanica
J. Raspi Serra "Contributo allo studio di alcune sculture dell'Abbazia di Sant'Antimo"

 

Sir Madhead.