Racconti Fantasy

La Campagna

Capitolo 1
Il viaggio ha inizio. La partenza verso il destino


Sibilava possente il freddo vento di quella regione tra le ruvide pareti di roccia. Non si poteva affermare con sicurezza se il Sole era già sorto e da quanto, dato che un massiccio strato di nubi scure offuscava la volta celeste. In ogni modo un leggero chiarore aleggiava quella mattina sulle colline di Bosco Atro. Come accadeva soltanto di rado, quel giorno non pioveva, ma in compenso un forte vento si era levato mattiniero dal nord, portando un tocco gelido e secco, simile ad una carezza della morte. Agitati e tumultuosi giochi di sabbia si alzavano dal terreno e danzavano vivaci per alcuni lunghi istanti, per poi lasciare posto ad altri fratelli, in un alternarsi frenetico ma piacevole.
Il forte ululare del vento non risparmiava le figure infagottate che giacevano tra quelle polverose pareti di roccia millenaria. Una di esse si destò dal pesante sonno. Questa giaceva vicino ad altre due e, levatasi in piedi, non poteva sembrare più alta di un braccio umano. Era un piccolo ometto con dei capelli scuri, racchiusi in una corta treccia dietro la nuca; indossava degli abiti pesanti ma, colto dai brividi per il freddo compagno che lo avviluppava, si strinse sulle spalle la coperta che lo aveva avvolto durante la notte. L'ometto sollevò il capo ed inspirò malinconicamen-te osservando lo spesso strato di nubi che incombevano imponenti sulla sua testolina.
Alcuni veloci passi e, nel silenzio rotto solo dall'incalzare del vento, la piccola figura si acquattò sotto il braccio protettivo di uno sperone di roccia nelle quali vicinanze si trovava un altro giaciglio, privo del proprietario. L'ometto si sedette a gambe incrociate osservando il paesaggio.
Dal luogo in cui si era sistemato si poteva scorgere una strada naturale scendere dal loro rifugio serpeggiando per il dolce versante della collina rocciosa, privo di arbusti, giungere poi ad una stretta valle tra delle ripide pareti rocciose, una specie di copia gigante del luogo in cui si trovava ora, assieme ai suoi compagni. Oltre la valletta si poteva già osservare i primi alberi del-l'oscura foresta che li attendevano.
L'ometto strizzò gli occhi per guardare più in la e si pose la piccola mano sulla fronte per ripararsi dal vento, che gli stava irritando gli occhi, ma non vide altro che alberi. Osservò per qualche istante ad ovest, allontanando lo sguardo dal sud, e non poté che rabbrividire alla cupa visione che occupava i suoi occhi. I monti Brumosi, a molte leghe di distanza, sferzati dalle violente tormente di neve che non li abbandonavano un attimo, rassomigliavano a dei vetusti titani che, sopraffatti dalle insidie, si lasciano morire tra i tormenti e gli stenti. Un fugace sguardo si volse oltre quei giganti malati, diretto alla sua vecchia casa. Da quanto non la vedeva, cosa poteva essere accaduto in questi anni d'assenza alla sua famiglia e ai suoi amici? Il triste pensiero di non poterli rivedere in futuro lo colse per un istante ma, scrollando velocemente il piccolo capo lo ricacciò da dove era giunto, voltando lo sguardo malinconico ai suoi compagni. Ma uno di questi non era presente.
L'ometto sapeva che il compagno assente stava probabilmente esplorando la zona circostan-te, essendo le ultime ore della notte il suo turno di guardia, e non se ne preoccupò.
Lentamente, tra i gemiti e gli spasmi, si destarono anche i due che giacevano infagottati vicino al piccolo uomo. Uno di questi, con dei capelli lunghi biondi ed una barba poco curata, si sollevò in piedi, sovrastando lo sperone di roccia sotto il quale si proteggeva il compagno. L'altro uomo stava seduto, con la coperta sulle spalle e si stirava i muscoli, indolenziti dal freddo.
"Finalmente vi siete svegliati" disse l'ometto con una gracchiante vocetta da sotto lo sperone. L'uomo, alto almeno due volte e mezzo il piccolo compagno, si accucciò vicino allo sperone, per poter vedere il suo interlocutore, poi con un sorriso da sotto i folti baffi disse: "Da quanto ci attendi in questo tuo rifugio?"
L'ometto gattonò fuori dal riparo e si levò in piedi accanto all'uomo. Nonostante il compagno fosse accucciato, esso gli giungeva alle spalle. Questo, poggiando una manina sulla robusta cosca dell'altro disse: "Poco tempo. Non preoccuparti per me Elborn. Piuttosto! Scoperto qualche cosa di nuovo?" Il robusto guerriero si sollevò dritto in piedi e, osservando l'orizzonte a sud rispose: "Macché! Anche questa volta è terminato con il crollare del ponte..."
Stava per terminare la frase quando delle rocce rotolarono da una ripida via rocciosa, spostate dalla pesante figura corazzata di un nano. Questo volgeva lo sguardo ad est, senza osservare i due compagni che ora lo fissavano, e camminava attento ma rapido, canticchiando tra se e se una canzone della sua terra, poggiando la pesante ascia su di una spalla e accarezzandosi la lunga barba castana con la mano che non reggeva l'arma. Giunto dagli amici li salutò con un cenno, poggiandosi le dita della mano al bacinetto che gli sormontava il capo e gli copriva il naso, lasciando spuntare le folte sopracciglia da sotto il bordo metallico. Di dietro, questo, riparava la folta chioma con una copertura in maglia metallica che gli cadeva fino alle spalle, lasciando poi fluire una lunga treccia fino all'altezza della cinta. Incalzante, nelle sue prosaiche movenze, si mosse lesto in direzione del titano che, restato accovacciato nel proprio giaciglio, aveva osservato la scena con distacco ma allo stesso tempo, con interesse. Il titano seguì con lo sguardo le mosse del compagno guerriero, sorridendo a volte per l'aria assonnata che questo mostrava, ma attratto dalla sua forza secolare e inestinguibile. Le piastre metalliche dell'armatura del robusto guerriero stridevano al contatto tra esse e quando il loro indossatore si fermò, sedendosi su di una pietra, i compagni si rilassarono. Fu allora che il titano, sospirando pesantemente, si levò dal giaciglio, mostrandosi in tutta la sua giganteggiante possanza. Nemmeno l'altro uomo con la barba poteva competere con l'elevazione di questo, giungendogli solo al mento. Non solo l'altezza era mastodon-tica, avendo questo delle larghe spalle ed un possente collo taurino.
"Ogni volta che quello lì si alza in piedi mi ritrovo nell'ombra! Hai mai pensato di crescere di meno durante la tua breve infanzia? Bestione" disse il piccolo ometto, avvicinandosi lestamente al compagno che lo sovrastava. Questo sorrise tra se e se per qualche istante, con gli sguardi dei compagni fissi sulla propria figura torreggiante, poi, osservando il minuto compagno che gli giungeva poco oltre le ginocchia disse "Non ho voluto crescere, non ho deciso io di diventare così alto, ma sembrerebbe che solo un piccolo Hobbit come te, Tad, possa lamentarsi di questo." Elborn si limitò a sorridere all'affermazione del compagno ma, evidentemente più divertito degli altri, il nano scoppiò a ridere rumorosamente e di gusto, facendo echeggiare la sua possente risata per tutta la piccola valle ed oltre. Tad lo zittì velocemente anche se il suo ridere non cessava, e poi si diresse al proprio giaciglio per raccogliere un oggetto dal sacco di cuoio che giaceva in prossimità. Ne tolse una custodia di legno intarsiato con dei lacci che lo chiudevano e, dopo averlo impugnato, s'avvicendò ad aprirlo dirigendosi verso Elborn, che lo stava attendendo pensieroso seduto sul piccolo sperone di roccia, con lo sguardo rivolto ad ovest, in direzione dei titani di pietra. Tad si arrampicò per qualche istante sul lato dello sperone, per raggiungere il compagno, questo lo aiutò a trovare un sito dove poter svolgere le pergamene che custodiva nel tubo di legno intarsiato, dopodiché l'Hobbit si sedette accanto all'umano; raccolse dei sassi e se li mise tra le gambe mentre estraeva le carte dalla loro custodia. Le osservò tutte, una ad una sfogliando e cercando quella che doveva servire ora. Ci mise parecchio considerando che quelle pergamene erano gli oggetti di cui andava più fiero. Poche persone al mondo possedevano certe rarità, come alcuni scritti vecchi di millenni che, sgualciti e consumati dal tempo, salutavano i nuovi anni all'interno della sua custodia. Rimise le altre carte all'interno della loro protezione e si accovacciò in fianco all'uomo, spiegando la rarità su una zona piatta della roccia sulla quale sedevano. Poi poggiò le pietre sui quattro angoli per assicurarsi che il forte vento non se la portasse via e cominciò ad indicare con una sua vecchia bacchetta di bambù quello che vi era disegnato.
Elborn rimaneva silente ed osservava il piccolo Tad mentre gli veniva mostrata la strada che secondo l'Hobbit sarebbe stata più percorribile. Questa era la via che Tad stava osservando ancora mentre gli altri dormivano. Sulla cartina che giaceva lì si poteva scorgere che percorrendola, il gruppo sarebbe velocemente giunto a Bosco Atro, scavalcando in poche ore di viaggio il tratto rimanente delle colline rocciose. Tad discuteva sul fatto che anche con il pesante carro a seguito il percorso non si sarebbe mostrato difficoltoso e assicurò "Prima del calare del Sole" che non voleva mostrarsi ai quattro viaggiatori, "Ci troveremo un bel rifugio tra gli alberi di quella tetra foresta che ci attende a sud, oltre quelle valli!".
Mentre i due discutevano sullo sperone, il nano ed il titano preparavano i bagagli, portando le coperte ed i giacigli sul carro. Poi il nano si sedette su questo, controllando il suo sacco, abbandonato pesantemente sulla panchina del conducente. Il gigante, nel frattempo, tolse la coperta da sopra la sua armatura, che giaceva in una stretta fenditura della parete, dietro il proprio giaciglio e cominciò a sistemarsela attorno per poi andare a slegare il suo robusto e tarchiato bue dal lato del carro al quale era stato assicurato. Entrambi si mossero poi in direzione dello sperone di roccia, con i bagagli dei due compagni caricati sul carro e le loro cavalcature accompagnate dal gigante ed il suo bue.
Tad ed Elborn avevano appena concluso la loro discussione quando giunsero gli altri due da dietro la curva del piccolo canyon. Banjo, il giovane mulo del piccolo Hobbit, era particolarmente agitato e ci vollero alcuni minuti prima che si riuscisse a partire. Il nano era seccato e più volte, mentre il compagno cercava di calmare la bestia, propose di sopprimerla e di caricare i suoi bagagli sul mezzo. Fortunatamente per Tad, che era affezionato all'animale, Elborn rispose al nano nella seguente maniera: "No, no! Prima che quel mulo pestifero muoia voglio vedere te, Risca, che lo cavalchi su di un campo di battaglia!" così, gettando il discorso nello scherzo, Elborn rallegrava gli animi dei suoi compagni e li calmava, evitando inutili litigi. Dunkan però rimaneva silenzioso sul suo bue. Il gigante non era mai stato una persona loquace ma rideva sempre quando c'era da farlo, sembrava al quanto preoccupato, ma da che cosa? Si chiedeva Elborn.
In ogni modo il loro viaggio proseguiva tranquillo lungo la via serpeggiante che scendeva dal versante più irregolare della collina. Questa aveva un versante ripido e frastagliato che doveva essere addirittura scalato, che rese difficile il loro arrivo la serata precedente. Il loro viaggio, prima di giungere alla collina, era stato accompagnato sempre da un'agghiacciante temperatura invernale. Erano di fatti giunti dalle steppe del nord, attraversando quelle lande dimenticate dagli Dei e infestate da creature oscure, capaci di sopravvivere in quelle regioni innevate e costantemente assalite da poderose tormente. Ora in parte protetti dalle pareti rocciose delle colline su cui si muovevano, i componenti della piccola compagnia erano raggiunti solo dal frizzante e sferzante vento gelido del nord. Assieme ai loro animali scendevano costanti dal versante della collina che li aveva ospitati per la fredda nottata, Tad apriva la strada agli altri, conoscendo meglio di chiunque altro il percorso da svolgere. Dietro al piccolo Hobbit i due buoi del carro ansimavano sotto il considerevole sforzo che da innumerevoli giorni mostravano di provare, seguiti poi dai due degli umani, più rilassati ma allo stesso tempo meno vigorosi nel loro insicuro viaggiare.
Il tratto di percorso che i compagni avevano già superato all'ora di pranzo, era il più tortuo-so e complicato da svolgere, e ora, affaticate e stremate dal freddo pungente, le loro bestie avevano bisogno di riposare; così, mentre gli altri compagni si fermavano a mangiare qualche pezzetto di carne essiccata, Dunkan si muoveva per cercare un luogo riparato dal vento dove abbeverare il bestiame e mangiare protetti da sguardi indiscreti.
Il piccolo Tad aveva già legato il suo giovane mulo ad un'asse del carro e sedeva ora su questo, raggomitolato tra le coperte, vicino al barile d'acqua e alla cassa dei liquori. Elborn si osservava attorno, scrutando l'orizzonte silenzioso per intravedere se qualche creatura li stesse aspettando in quei luoghi. Risca, nel frattempo, controllava le lame delle sue asce pesanti, molandone il taglio per renderle ancora più mortali attrezzi da guerra.
Dopo alcuni interminabili minuti, occupati solo dal freddo vento che abbracciava senza risparmiare alcuno dei tre viaggiatori, tornò Dunkan, avvolto da numerose stoffe a copertura del volto, in maggioranza sulla parte inferiore di questo, completamente congelata dall'insopportabile tempe-ratura. Il titano portava, assicurato dietro le spalle, appena sopra un poncio di pesante stoffa, un fodero di cuoio con un enorme spada a due mani, con un manico intarsiato e dolcemente lavorato, nella sua fredda lega d'acciaio. I suoi capelli castani sferzavano fuori dalle fasce di stoffa che si era avvolto attorno al capo e, dalla parte anteriore spuntavano solo il naso irritato dalla rigida temperatura e le sopracciglia avvolte dalla bianca brina.
I suoi compagni lo accolsero, lasciando un giaciglio disponibile all'interno della piattaforma del carro. Elborn, per far montare il pesante compagno, si strinse contro la coperta che copriva le armi di scorta della compagnia; Tad si raggomitolò più che poteva, stringendosi le ginocchia contro il petto e avvolgendole con le due esili braccia e Risca si limitò ad accomodarsi sul sedile del conducente, stringendosi in una spessa coperta di pelliccia, che lo avvolgeva quasi interamente. Nel momento in cui il gigante si assicurò il proprio posto all'interno del carro, il suo compagno umano gli porse, da sotto numerosi strati di stoffa, un piccolo bicchiere di legno, con una bevanda calda e nauseante. Il titano lo avvolse tra le enormi mani, irrigidite e arrossate dal freddo. Sopra il convoglio, le nuvole non sembravano volersi aprire, lasciando sugli avventurieri un clima scuro e tetro, in una luce senza colori e senza vita. Il gigante bevve frettolosamente l'amaro infuso preparato dall'amico e con un'espressione di disgusto, deglutì il contenuto del bicchiere, lasciando poi questo a chi glielo aveva porto. Seguì poi un istante silenzioso ed interminabile dove i tre compagni che non si erano allontanati dal convoglio osservavano il titano, giunto da poco dalla sua esplorazione delle vicinanze. Questo, ansimante, si ricompose sotto il peso della temperatura e della fatica che aveva provato durante la sua esplorazione e cercò di formulare in seguito il discorso che la illustrava: "Ho trovato" s'interruppe per inspirare, poi, deglutendo nuovamente, riprese il racconto "Un piccolo rifugio... Non può contenere il carro e nemmeno il bestiame... è una fenditura in una parete rocciosa" si fermò un'ennesima volta per deglutire "possiamo riposare, riparati dal vento, ma se vogliamo proteggerlo il carro deve rimanere a poche decine di metri di distanza, dentro una piccola fossa abbastanza calda da far abbeverare e mangiare il bestiame."
Elborn rimase qualche istante a riflettere sulle parole del suo enorme amico, mentre all'ulu-lare del vento, si aggiungeva il ripetitivo e secco rumore dei denti di Tad che, colto da forti tremiti a causa del gelo stava tremando visibilmente sotto ai numerosi strati di coperte che cercavano inutilmente di riscaldarlo. Il freddo cominciava a diventare insopportabile anche per i due umani che, tra le coperte che gli coprivano le spalle, cominciarono lentamente a tremare anch'essi. Così, dopo aver riflettuto, Elborn riprese il discorso in cui si trattava a proposito del rifugio ed esordì con: "E va bene! Faremo la guardia al bestiame ad intervalli brevi, in modo da non congelarci per gli animali." Risca stava seduto sul suo sedile, porgendo le spalle al resto del gruppo e, incurante dei discorsi degli altri osservava i dintorni della via dissestata su cui si erano fermati a discutere. Numerosi massi, di diverse grandezze e forme, circondavano la via che loro avevano percorso, nessuna pianta cresceva su quel terreno e solo dei numerosi vortici d'aria si sollevavano da terra per mostrarsi al nano guerriero. Solo il bisbigliare dei compagni e il forte ululare del vento accompa-gnavano con i loro suoni lo sguardo dell'avventuriero ma, che fosse una sua impressione o un altro rumore si aggiunse a quelli già presenti?
Il nano si rizzò in piedi, lasciando scivolare la sua pelliccia giù dalle spalle, per poi osservare attorno cercando la causa del suono che stava udendo. Ciò che gli giungeva alle orecchie era un tremendo ronzio, proveniente probabilmente da ovest, che rassomigliava molto a quello che una mosca provocava, ma poteva essere un simile frastuono provocato da un misero insetto? Si chiedeva il nano aggrottando le sopracciglia. I suoi compagni si resero conto di quello che il nano stava pensando e volsero tutti lo sguardo ad ovest. Il ronzio, nel frattempo, si faceva sempre più vicino e, con una variazione improvvisa della direzione del vento, giunse all'odorato dei quattro avventurieri un forte lezzo rivoltante. Fortunatamente per loro il fetore era piuttosto diradato nell'aria e non fece altro che costringerli a coprirsi il volto con le stoffe e ad insospettirli tremendamente. Risca ci mise pochi istanti ad esordire in un tremendo urlo di battaglia delle sue terre, con una voce pos-sente e cavernosa che echeggiò per tutta la grande vallata in cui la compagnia si trovava. 
Poco oltre la zona in cui il convoglio si era situato, proseguendo per la via che i viaggiatori stavano percorrendo in direzione sud, vi era una brusca svolta ad est coperta da una parete roc-ciosa. Alcune decine di metri prima di svoltare il percorso era abbracciato da entrambi i lati da delle basse pareti di roccia che non raggiungevano più di cinque metri d'elevazione. Il carro era situato in una parte della via in cui l'ovest era coperto da una poco elevata parete di rocce, l'est si mostrava arido e secco scivolando verso il basso, fino a giungere nel sito in cui la via svolgeva all'interno della distesa di secca terra, scontrandosi con una roccia di dimensioni megalitiche che creava una giganteggiante barriera per alcune decine di metri.
Il nano, assieme ai suoi compagni, stava volgendo lo sguardo in direzione della minuta parete di rocce che non consentiva loro di osservare ad ovest senza doversi avvicinare e scalare la stessa barriera. Così Risca fece a meno di pensare sul da farsi e si gettò, con il suo Urgrosh tra le poderose mani, in piedi accanto ad un lato del carro, frapponendosi tra questo e la barriera di roccia. Nel frattempo, il piccolo Hobbit, preso alla sprovvista dall'azione sconsiderata del compa-gno, gattonava verso il fagotto delle armi di scorta per estrarne il suo piccolo ma formidabile arco ed una faretra. Elborn si avvicinò al nano velocemente, estraendo anch'esso una grande ascia, meno pesante di quella dell'altro. Dunkan stava calando dal carro con il suo spadone tra le mani quando il tremendo ronzio si fece talmente vicino da spaccare i timpani dei quattro e un'ombra fugace comparve da dietro la barriera di pietre, costringendo i primi due oppositori a gettarsi a ter-ra. Era questa creata da un enorme insetto, se poteva essere definito in questa maniera, dalle ali trasparenti e veloci, con uno strano cavaliere in groppa. L'insetto, osservato meglio da Tad e Dunkan, era una grossa vespa, di dimensioni gigantesche, con una piccola creatura rettiliforme in groppa, armata di un giavellotto e vestita di innumerevoli stracci di cuoio.
La creatura stava probabilmente sibilando qualche strana parola nella sua lingua ma, sovrastata dal tremendo ronzio della cavalcatura volante, la sua voce non era udita dai quattro amici che stavano venendo insidiati. Per qualche istante l'orribile creatura sorvolò sulle teste acquattate del nano e del barbaro che non riuscivano ad allontanarsi da dove si erano gettati a causa delle molteplici minacce del lucertoloide effettuate con la sua arma. Dunkan accovacciato dietro il lato del carro e Tad avvolto tra le sue coperte con l'arco e la freccia pronti all'attacco osser-vavano la scena. I loro due compagni erano gettati a terra, sopraffatti dalle dimensioni spropositate dell'orribile creatura alata e il cavaliere di questa li stava minacciando, quasi sghignazzando, con il suo giavellotto dall'alto della propria postazione. Dunkan era inorridito ed era alquanto spaventato per i suoi due compagni ma Tad, Hobbit di straordinario coraggio, non temeva per la strana situazione e studiava attentamente le fattezze delle creature aliene che gli si erano da poco rivelate.
In pochi istanti la creatura che cavalcava l'insetto tirò le redini con cui lo governava, allonta-nandolo dai due sventurati che gli stavano sotto e portandolo ad atterrare difficilmente sulla barriera di rocce che li aveva precedentemente nascosti alla vista del gruppo. Risca ed Elborn si sollevarono immediatamente in piedi per poi andare a scontrarsi con il lato del carro, raggiunti poco dopo dal titano, che brandiva l'enorme lama della sua arma in direzione delle due creature. Queste stavano forse attendendo qualche cosa. "Ci stanno studiando!" bisbigliò il piccolo ometto da sopra il carro, rivolto ai suoi tre compagni. I due che erano stati assaliti dalle creature stavano ansimando e non risposero ma l'Hobbit ricevette uno sguardo di consenso dal titano. I quattro at-tendevano ma sembrava quasi che pure il lucertoloide stesse aspettando qualche cosa, per alcuni lunghi istanti i due esseri alieni stettero in fronte al gruppo senza esprimere alcun suono ma dopo poco il lucertoloide trovò una posa altezzosa sul cuoio della suo rozza sella. Impugnò quindi più saldamente la sua arma e sollevò il collo ricurvo per apparire di statura più elevata. Nonostante gli sforzi non poteva apparire più alto di un metro e mezzo, anche se da sopra la sua strana cavalcatura poteva sovrastare persino il titano del gruppo di alcune decine di centimetri. Così, dopo alcuni istanti che aveva trovato una buona posizione, parlò: "Ferma voi, intrusi!".
La creatura era evidentemente poco affine all'ovestron, la lingua comune della Terra di Mezzo, e le parole che vennero pronunciate suonavano aspre e sforzate e giungevano con un sibilo di sottofondo gutturalmente provocato.

 

Claudius