Racconti Fantasy

Invasori




"Ho guardato in faccia il mio nemico
e ho visto me stesso"



L'Esploratore giaceva stordito sulle rocce fredde e gibbose e dopo aver ripreso un barlume di conoscenza cominciava a chiedersi dove mai fosse capitato, poi il flusso dei ricordi lo investì tutto d'un colpo.
Rivide il lampeggiare frenetico della spia del motore, il suono squillante e fastidioso dell'allarme, l'ondeggiare ritmico del velivolo mentre perdeva quota, il terribile impatto.
Si guardò intorno. 
Come era diverso vedere quel paesaggio da vicino anziché spiarlo da mille eiras d'altitudine, tutto appariva alieno e innaturale. Grandi vegetali oscuri e giganteschi troneggiavano intorno a lui, altri più lontani si arrampicavano in cima alla sommità di un rilievo naturale.
Continui rumori striduli e minacciosi pervadevano l'aria e….e poi… la luce, soprattutto quella dannata luce era insopportabile. Waneas poteva sentirla , come fosse un' oggetto corporeo, un velo ustionante appiccicato alla pelle. Del suo Haiker , vecchio fedele compagno di lavoro, non era rimasto che un mucchio di rottami punzecchiato qua e la da qualche esile fiamma. Provò a muoversi per esplorare quell'ambiente e sentì esplodere una sensazione che fino a quel momento era rimasta latente, offuscata dalle cento altre che lo avevano colpito tutte insieme nel volgere di pochi attimi.
Un incredibile senso di pesantezza lo attanagliava e gli rendeva lento e dispendioso ogni movimento. Penso di essere ferito ma i sensori del suo involucro non segnalavano gravi danni, a parte varie escoriazioni e un leggero ematoma sull'arto sinistro.
Capì che era l'effetto della forza di gravità che era 1.5 volte superiore a quella del suo pianeta e della cabina pressurizzata del suo Haiker. Voleva ripararsi dalla luce dolorosa e corse il rischio rifugiandosi tra i grandi vegetali scuri. Trovò un po' di sollievo e fu allora che, una volta superato lo shock dell'incidente e quello non meno grave dell'adattamento al nuovo ambiente il puro istinto di sopravvivenza lasciò il posto all'analisi razionale della situazione. 
Era solo su un pianeta sconosciuto, ad una enorme distanza dalla base più vicina. 
La cosa più importante era recuperare il comunicatore di bordo. Di nuovo sotto il sole, di nuovo quel peso addosso, cercava tra i rottami, e raccoglieva le poche cose superstiti che potevano servirgli, qualche strumento di bordo rimasto miracolosamente intatto, un dispositivo d'orientamento, strumenti di pronto soccorso, l'analizzatore chimico, ma non il comunicatore che sembrava letteralmente sparito. Si trattava di un oggetto non più grande di una foglia da cercare su una vasta area e la ricerca fu lunga e penosa, ma ripagata da grande gioia quando si concluse positivamente.
Lo raccolse e lo mise nell'involucro con gli altri oggetti. Ognuno di loro sembrava aggravare a dismisura il suo peso secondo una qualche assurda e sproporzionata legge.
Intanto la luce e il calore che fino a qualche tempo prima l'aveva quasi intontito, sembrarono calare rapidamente d'intensità, qualcosa lo colpì e i suoi sensi, di nuovo tesissimi, lo percepirono subito. Qualcosa di piccolo, piccolo e fresco, un' altra volta, e un'altra ancora. Tante piccole gocce d'acqua riempivano ora l'aria e per Waneas fu un cambiamento molto positivo. Sentì la pelle respirare di nuovo e restò a lungo immobile, ma anche quella sensazione durò poco. Quel mondo impazzito doveva avere in serbo un'altra sorpresa perché poco dopo forti raffiche di vento come mai ne aveva sentite sul suo pianeta lo presero alle spalle. Cercò nuovamente rifugio ma i vegetali scuri non erano di grande aiuto, così si incamminò giù verso i piedi del monte, seguendo la direzione del vento, assecondando la forza di gravità che lungo la discesa gli alleviava la fatica.
Vide una cavità naturale che si apriva sulla solida parete rocciosa, la esplorò ed era larga e profonda, sicuramente avrebbe fornito una grande protezione dalla luce e dal vento

Non giudicò minacciosi i piccoli organismi che la infestavano e decise che quello sarebbe stato il suo temporaneo rifugio. Poi iniziò a lavorare sul comunicatore. 

Il vento fresco della stagione calda dava un senso piacevole sul viso e sulle mani.
Maergar aveva strappato un piccolo ramo dal grande albero e lo incideva con abilità e precisione col suo coltello più piccolo. L'informe pezzo di legno si modellava e trasformava numerose volte fino ad assumere le sembianze di una piccola freccia.
Quel gioco fatto tante volte da bambino, senza pensarci, sembrava ora rivestirsi di un significato molto diverso. Era un ragazzo biondo alto e robusto e dimostrava di più dei sedici anni che aveva. Era diventato un guerriero quell'inverno, ora poteva andare a caccia, combattere in battaglia e fare da sentinella. Il padre gli aveva regalato una nuova spada che era apparteneva al nonno. Forse la prossima stagione avrebbe ricevuto il permesso di sposare Ainlinn e avrebbe iniziato a tagliare gli alberi per costruire la sua casa.
Già poteva vederla, sarebbe stata la più bella del villaggio.
Era immerso in questi pensieri quando un piccolo guizzante riflesso lo ridestò, si voltò istintivamente verso il sole nascente e li vide. 
Erano arrivati finalmente. Ormai da molto tempo la loro presenza aleggiava come un fantasma negli occhi e nella mente della gente di Aurnix e vederli ora dava un'indefinibile senso di sollievo. Non è forse un vantaggio per il cervo scorgere il lupo un attimo prima che questo sferri il suo mortale attacco?. Marciavano con i loro stracci rossi e una ferraglia dorata che brillava anche al pallido sole del mattino, sembravano un rivolo di sangue che, sgorgato da qualche invisibile ferita della terra, stava solcando la valle. 
Maergar dopo aver passato qualche istante ad osservarli discese dalla sua postazione in cima al grande albero e si precipitò giù per le pendici del monte, verso il villaggio. Si era reso conto che quanto prima avesse avvertito il Capovillaggio e meglio sarebbe stato. Si sentiva addosso una grande responsabilità che mai aveva provato prima nella sua carriera di giovane guerriero. Prima avrebbe portato la grande notizia e poi avrebbe lottato insieme alla sua gente per respingere gli invasori.

Il legionario avanzava col solito passo solenne e ritmico, mille voci disparate e provenienti da ogni direzione formavano un continuo indistinto mormorio.
Il sentiero era vecchio e malridotto, segnato dalle recenti piogge, al di fuori di esso il terreno era brullo e le sporadiche macchie verdi dei ciuffi d'erba si alternavano a piccoli massi di un bianco purissimo. Più avanti però si potevano Già scorgere le montagne e sull'altro versante c'erano sicuramente valle verdi e rigogliosi, buoni pascoli e terra buona per piantarci il grano.
Lo sapeva questo, e sapeva che un pezzo di quella terra sarebbe potuto diventare sua se solo avessero sconfitto i Galli, se fossero riusciti a prendere un altro villaggio. 
Non odiava i suoi nemici, come qualche suo commilitone che sembrava più simile ad una belva da esibire nelle arene che ad un essere umano, non credeva alle storie dei delitti sanguinari attribuiti ai Galli che si raccontavano i soldati la sera davanti ai falò degli accampamenti, ne provava gusto ad uccidere e ferire , ad abbattere palizzate, rubare o dar fuoco alle case. 
Ma lui, Lucio Settimio Rufo, come la maggiorparte dei compagni che gli marciavano accanto non aveva avuto la fortuna di nascere ricco, non poteva oziare dentro le eleganti ville, servito e riverito da nugoli di schiavi.

Non poteva scegliersi il lavoro, perché era il quarto di sei figli e dentro la sua piccola casa non c'era pane per tutti e il piccolo orto non bastava. Era ormai uso consueto che i generali che avvessero conquistato nuove terre facessero dono di piccoli appezzamenti ai loro veterani e Cesare l'aveva promesso allorquando era iniziata quella campagna e non mancava mai di ripeterlo prima di una battaglia che s'annunciasse impegnativa.
Combatteva ormai da dodici anni , quattro sotto Cesare, ma gli erano sembrati lunghi come una intera vita e non vedeva l'ora di ritirarsi. 

Connell non sembrò sorpreso dalla notizia portata da quella giovane sentinella, dopo il grande segno che aveva ricevuto quella notte inconsciamente se lo aspettava e tuttavia avvertì lo stesso
un grave senso di disagio nel sentire le sue parole, perché quello era ai suoi occhi un secondo monito del destino, e due in meno di un giorno erano decisamente troppi per uno come lui.
Già perché quella sentinella era il suo unico figlio.
Subito convocò il Consiglio per decidere le misure di difesa da apprestare al villaggio,
ed egli stesso si meravigliò della rapidità con cui i più eminenti personaggi del villaggio riempirono la grande e spoglia stanza quadrata, tappezzata qua e là da alcuni drappi azzurri, che ospitava solitamente le riunioni e le feste tenute nella stagione fredda.
Il Druido più anziano, Lannox, capì subito di cosa si trattasse. "Quanti sono e quanto tempo abbiamo?"
" Cinquemila ,forse qualcosa in più e una cinquantina di cavalli. Saranno qui al massimo tra cinque giorni!"
" Cinquemila sono molti. Cosa farai per difendere il villaggio?".
"Mi servono tutti gli uomini in buona salute, se necessario armeremo anche vecchi e ragazzi ,ma prima concluderemo il secondo cerchio di palizzate".
Lannox lo fissò con due occhi torvi." In cinque giorni? Dovremo impiegare anche le donne e i neonati"
Connell infastidito si avvicino al suo interlocutore con passi minacciosi: " Lavorerò anche io ed anche voi ".
Lannox roteò lo sguardo incupito alla ricerca di consenso tra i suoi colleghi poi ritrovo l'orgoglio e ammonì il Capovillaggio - "Non oserai mancarci di rispetto! " disse e attese l'effetto che le sue parole avrebbero dovuto avere. 
Connell, non certo impressionato, invertì la rotta ballonzolando nervosamente fino a tornare al grande tavolo rettangolare . Poi tornò ad osservare il vecchio Druido:
" Lavorerete come tutti e questo è un mio ordine! Se voi aveste acconsentito ad allearci con i Modregan e i Vallian ora non saremmo in questa situazione e avremmo tre volte gli uomini di cui disponiamo."
Lannox per nulla intimorito si alzò in piedi e puntò uno scheletrico dito accusatore su di lui
" Finchè avrò vita non ci sarà alleanza con i Modregan e i Vallian. Forse non ricordi più la guerra fatta da tuo padre e da te stesso quando eri più giovane. Chi ha la pretesa di capeggiare un villaggio deve avere la memoria lunga. Loro sono nemici giurati della nostra gente da molte generazioni e.."
La mano destra di Connell guizzò rapidamente verso l'alto e dopo aver esitato per una frazione di secondo all'altezza del suo mento ricadde pesantemente sul tavolo. Sembrava che l'intera Aurnix avesse tremato. 
"Quanti villaggi caduti? Quanti uomini morti, ancora? Quanti prima che i Celti si decidano a unire le loro forze contro il Romano invasore? Noi stiamo qui, ognuno sul suo pezzetto di terra tra quattro 
steccati, ad aspettare il turno di venir massacrati come tante pecore e non ci preoccupiamo del
pastore fin quando non vediamo la lama del coltello che cala su di noi." Con la mano ancora serrata con forza e gli occhi lividi di rabbia si fermò un attimo, sembrò riprendere un maggior controllo e lo sguardo si perse oltre le pareti della stanza, e più lontano… proteso a voler raggiungere remoti angoli della terra. 
" Vercingetorige…."
" Vercingetorige è un folle e folle è chi segue le sue risibili idee. Come possono mille tribù vivere, muoversi e combattere come una sola tribù ?" Il Druido tornò a roteare gli occhi corvini mentre il Capovillaggio, contro ogni previsione, aveva stavolta mantenuto la massima apparente tranquillità. Fu forse senza volerlo, forse come un'ultima risorsa che iniziò a raccontare.
" La scorsa notte ho veduto un grande prodigio ma non so spiegare se sia stato un segno della futura vittoria o quello dell'ira divina pronta ad abbattersi su di noi. Di ritorno da una dura giornata di caccia mi ero già coricato ma non riuscivo a prendere sonno poiché ero continuamente disturbato dall'abbaiare dei cani e il lamentoso belare delle pecore. Anche il mio cavallo era stranamente inquieto e nervoso, me ne ero accorto quando l'avevo ricondotto nella sua stalla. Dopo una giornata di caccia la mia Gwendan è solita farsi accarezzare e lisciare la criniera e non mi lascia andare via facilmente, ma quella notte invece si agitava, faceva resistenza e non ne voleva sapere di essere rinchiusa dentro. Ho pensato che ci fosse qualche lupo nelle vicinanze e ho dato un'occhiata in giro ma sembrava tutto tranquillo, così ho deciso di andarmene a letto ma come vi ho già detto anche le altre bestie del vicinato avevano strani comportamenti, e di questo ve ne siete accorti tutti. Poi ho sentito un forte nitrito di Gwendan, così ho preso la spada e ho deciso di farla finita una volta per tutte. Vi garantisco che qualunque animale o persona avessi visto aggirarsi nei dintorni avrebbe fatto una brutta fine. Dopo qualche passo c'è mancato poco che non mi prendesse un accidente! Ho visto un lampo accecante tagliare l'orizzonte a est e sparire tra i monti e giuro che non aveva niente a che fare con le stelle cadenti che sono frequenti in questa stagione, perché appena un istante dopo essere scomparsa ho visto un grande bagliore divampare dal nulla e alcuni alberi hanno preso fuoco, come quando una capanna di legno coperta di pece viene colpita da un dardo infuocato. Veniva da Oriente come gli invasori di Roma."
Tra la folla della stanza per la prima volta si levò uno scomposto mormorio. Lannox ormai infervorato non intendeva lasciarla vinta al più giovane interlocutore. "Ora pretendi anche di interpretare i segni divini? Sai bene che questo è sempre stato nostro compito, e io in qualità di membro più anziano del Consiglio non sono disposto a tollerare che…."
Ma stava parlando al vento poiché Connell, alzatosi dal tavolo era già in prossimità della porta che dava sull'esterno, il vecchio si interruppe irritato e il Capovillaggio si voltò sollevando di nuovo la mano con fare minaccioso: "Non c'è più nulla da dire. I lavori iniziano da adesso".
Prima del calare della sera il lavoro era già ben avviato e un interminabile fila di uomini e ragazzi operavano affaccendati nei dintorni del villaggio, tagliando legname, che poi veniva trasportato e lavorato per ottenere le assi che avrebbero costituito la seconda cinta di palizzate. I più anziani e le donne erano accalcati in un'altra zona del villaggio dove i primi incidevano pezzi di legno più piccoli ricavandone archi e frecce e le seconde raccoglievano piume, cordame, e ogni altra cosa potesse essere utile. Pochi Druidi avevano osato sfidare l'ira di Connell, e tra questi vi era Lannox.
Tuttavia anche loro si rendevano utili preparando medicinali e tisane che ricavavano interamente dalle erbe e dalle piante del vicino bosco. Perfino i bambini venivano talvolta chiamati in causa da qualche Druido più giovane e inviati a raccogliere ciuffi di Eutezia , radici o bacche.

L'intera Aurnix sembrava un alveare nel periodo della stagione calda, finchè la mancanza di luce pose fine al grosso del lavoro.
Connell e Lannox però, ciascuno a suo modo, rimasero attivi fino a tarda notte, e mentre l'uno organizzava i lavori dei giorni successivi preparava i piani di difesa l'altro farfugliava rituali ed evocazioni più antichi del mondo stesso per guadagnarsi l'appoggio di oscure divinità. 
Questo era noto a tutti e quando il giovane Maergar nel rincasare osservò da lontano il grande cerchio di rocce bianche si auguro che la larga macchia oscura al centro di esso fosse solo sangue di daino. Era per il villaggio, ciascuno a modo suo. 

Non molto lontano, sull'altro versante del monte vi erano altri uomini, altri lumi che sfidavano l'oscurità. Ma l'umore era diverso. Il morale era alto come non lo era stato da molto tempo in qua. Intorno al fuoco di tanti piccoli falò si formavano i capannelli dei soldati intenti a chiacchierare e scherzare. Alcuni si contendevano alcune bottiglie di vino o qualche pollo o coniglio che 
arrostivano allo spiedo, sottratti chissà come dalle tende delle cucine. 
L'accampamento era situato su una larga e glabra collinetta , ancora due giorni di marcia e sarebbero dilagati sull'altro versante in prossimità di un villaggio gallico. Gli uomini già pregustavano i festeggiamenti dopo la vittoria e le promesse dei generali risuonavano nell'aria. Nessuno di loro sapeva dire il perché ma la conquista di quella vallata doveva avere una grossa importanza strategica, visto che il Generale aveva detto che dopo quell'ultima battaglia ci sarebbe stata di certo una pausa, alcuni se ne sarebbero andati per fare ritorno alle loro case, altri si sarebbero spartiti i nuovi territori conquistati recandosi nei nuovi insediamenti romani, già zeppi di funzionari,prefetti, farisei e sacerdoti arrivati da ogni parte dell'Impero.
Nuove truppe avrebbero sostituito le vecchie, giovani forti ed entusiasti avrebbero sostituito uomini stanchi. 
Il Legionario oltrepassò i falò e raggiunse un angolo buio e isolato ai margini dell'accampamento, dopodiché, immobile, tese le orecchie per sentire i suoni della montagna, era un passatempo che gli piaceva molto e aveva imparato ad amare fin da ragazzo nel suo paese natale ai piedi degli Appennini. 
Nel luogo dove era ora, il fracasso e le urla dei suoi commilitoni gli arrivava ovattati e lontani più di quanto l'effettiva distanza avrebbe potuto giustificare. Poteva invece avvertire nitidamente il fruscio del vento fresco su di lui che in lontananza mutava in un cupo brontolio.
I grilli e le cicale continuavano imperterrite la loro baldoria, mentre alcuni lupi ululavano alla luna piena.

Waneas uscì lentamente dal suo rifugio, la notte era per lui il momento il momento migliore della giornata poiché il terribile sole terrestre, trovandosi nell'altro emisfero gli risparmiava i suoi perfidi raggi. Dopo i primi durissimi giorni cominciava ad abituarsi alla gravità ed anche ai ritmi naturali 
di quel pianeta sconosciuto. Aveva già dato l'allarme e sperava che una pattuglia della Compagnia venisse a recuperarlo il più presto possibile.
Durante il giorno se ne stava rinchiuso dentro la grotta cercando di muoversi il meno possibile e risparmiare preziose energie, di tanto in tanto rilevava la presenza di strani minerali e ne analizzava e registrava la composizione chimica grazie ai pochi sofisticati strumenti che aveva potuto salvare il giorno dell'incidente. 
Quando calava il sole invece si avventurava fuori per cacciare i piccoli mammiferi che aveva notato essere presenti in buon numero nei dintorni.
La prima notte, dopo alcuni tentativi andati a vuoto aveva imparato a sue spese che erano tutti dotati di una grande velocità, molto superiore alla sua. Correndo, balzando o librandosi in aria numerosi strani animali si erano dileguati appena avevano scorto qualcosa di minaccioso nell'aria.
Ma quello non era un corso di sopravvivenza organizzato in qualcuna delle basi in cui era stato,
chi perdeva non subiva rimproveri, non veniva bocciato o espulso dal corso, ne costretto a riprovare dieci volte finché non avesse imparato. No, era in uno dei più lontani pianeti che la sua civiltà avesse individuato e di cui erano note solo alcune vaghe indicazioni registrate sul comunicatore di bordo:

Terzo pianeta di Euris della costellazione di Sauvor. Individuato nell'anno 65256/a dal microscopio ottico dell'osservatorio del Leuvan5.
Atmosfera ricca di ossigeno, area respirabile
Presenza abbondante di acqua allo stato liquido
Presenza abbondante di metalli pesanti in forma liquida e solida nel nucleo
Possibile futuro sfruttamento minerario.
Forza di gravità sopportabile (1.5)
Unico del suo sitema solare a mostrare presenza accertata di forme di vita.

Seguiva una lunga serie di sigle e numeri che riguardavano la misurazione delle caratteristiche fisiche: Raggio, massa, volume, temperature medie equatoriali e polari, e tanti altri parametri che gli sembravano solo uno spreco di memoria.
Si era divertito a leggere e rileggere quelle note e si chiedeva a come mai potessero essere di una qualche utilità ad uno che come lui cercava di sopravvivere in quel luogo selvaggio.
Non era un corso e allora Waneas doveva provare e riprovare, tutta la notte se necessario, fin quando qualche stramaledetto mucchio di sostanza organica fosse finito tra le sue mani. 
Il piccolo laser da viaggio che era in dotazione alla Compagnia non era l'ideale per cacciare, mancava il dispositivo di puntamento automatico e il fascio era molto sottile , quindi occorreva una 
ottima mira per colpire quelle piccole prede in rapido movimento. 
La prima notte aveva catturato uno strano animale dal folto pelo grigio e lunghe orecchie.
Era rabbrividito all'idea di doversi nutrire di quell'essere che gli faceva così ribrezzo, ma non poteva opporsi alla fame che lo opprimeva, si fece coraggio e scoprì che quella preda non aveva poi un gusto così cattivo.
La fame non gli era certo passata ma per tutta la notte non riuscì a trovare null'altro che alcuni cespugli di bacche dal sapore amaro ma tuttavia commestibili.
Il secondo giorno poi aveva rischiato lui stesso di fare da preda perché quando il sole non era ancora tramontato un piccolo branco di grossi quadrupedi con terribili bianche zanne avevano probabilmente fiutato il suo odore e avevano preso a ringhiare minacciosamente dall'uscio della grotta.
Uno di loro cautamente si era avvicinato, Waneas molto spaventato aveva esitato troppo e l'animale con un grande e agile balzo gli era saltato addosso mandando a vuoto il colpo del suo laser. 
Avvertì un dolore lancinante e capì che l'aveva addentato e gli stava strappando un brandello di carne. Gli altri si stavano avvicinando e l'Esploratore capì che non avrebbe potuto resistere al loro attacco congiunto. Con un notevole sforzo, per un tempo che gli parve infinito cercò di allungarsi per raggiungere la sua arma che nel precedente impatto con era scivolata a qualche passo da lui.
Finalmente ci riuscì e colpi l'animale a bruciapelo. Poi furioso per il dolore, la rabbia e la stanchezza infierì sul cadavere e prese a sparare all'impazzata in direzione degli altri due.
Questi colpiti di striscio si precipitarono in una rapida fuga.
Prese subito a curarsi, e si rese conto che per fortuna la ferita era meno grave di quanto avesse pensato e soprattutto che per quella notte aveva risolto ogni problema di carattere alimentare. 
Prese la carcassa mezza arrostita del lupo e iniziò a divorarla.
La terza notte la ferita era già notevolmente migliorata, dovette ammettere che lo strano unguento rossiccio che la Compagnia distribuiva agli Esploratori era molto efficace. Tuttavia era ancora malfermo sugli arti inferiori e questo disturbava molto le operazioni di caccia. 
Il magro raccolto fu costituito da tre piccoli volatili trovati in un nido e un grosso rettile di forma allungata che strisciava lentamente sul terreno. 
In quella quarta notte, ancora non terminata, aveva avuto già più fortuna catturando un altro coniglio più grosso di quello del primo giorno . Se lo portava a tracolla quando attraversando una zona finora inesplorata vide in basso, in lontananza, una piccola tremolante luce.
Si avvicino verso quella direzione e ad ogni passo ne vide nuove altre. Il vento gli portava strani suoni e rumori che sembravano provenire da lì.
Per un attimo pensò di raggiungere ed esplorare quel luogo misterioso, chissà quale fenomeni e quali altre strane forme di vita avrebbe trovato?
Come in risposta nella sua mente riapparve l'immagine del brutto vorace animale che era andato molto vicino a trasformarlo in un lauto pasto, capì che era rischioso e stupido avventurarsi così lontano dal rifugio senza nessuna utilità pratica se non quella di curiosare, tantopiù ferito e indebolito dalla maledetta gravità di quel pianeta.
Ritornò sui suoi passi e riprese la caccia.

Un altro lungo giorno trascorse e al villaggio proseguì il duro lavoro dei precedenti.
Un'altra difficile notte si approssimava.
Connell vide suo figlio avvicinarsi di corsa , facendosi largo tra le donne e i vecchi indaffarati.
"Padre, vengo ora dalla montagna. Sono partito stamattina e ho visto da lontano il nuovo accampamento dei Romani. Sono ormai molto vicini. C'era un continuo movimento di centinaia di uomini, stavano costruendo qualcosa, mi sono avvicinato di più e ho potuto vedere.…E' incredibile! 
Grossi macchinari che lanciano dardi di fuoco e pietre a grande distanza. Ho potuto vedere mentre le sperimentavano e ti garantisco che potrebbero abbattere ben altro che una palizzata e incendiare tutte le case del villaggio con pochi tiri."
Dunque era vero. Connell aveva sperato che si trattasse di fantasie o quantomeno di esagerazioni raccontate davanti ai bicchieri.
Invece le storie dei mercanti e dei viandanti erano reali. Quei terribili macchinari avrebbero reso inutile ogni fortificazione.
Connell trasformò il volto in una maschera di rabbia e determinazione. Chiamò una giovane bionda con lunghe trecce che era intenta poco più in la ad impiumare una freccia. 
"Svelta Ainlinn, corri ad avvertire i Druidi. Li voglio tutti nella grande stanza prima del tramonto per una riunione".
La ragazza iniziò a correre, Maergar la seguì con lo sguardo rapito e vide arrivare solo all'ultimo momento il forte pugno che lo investì e lo fece piombare a terra. 
"Devo avere allevato un pazzo! Come hai potuto avvicinarti così tanto al nemico. Se i Romani ti avessero preso ti avrebbero torturato per conoscere ogni dettaglio sul villaggio, avresti messo in pericolo tutti noi e saresti finito a fare da schiavo per tutta la vita a qualche nobile ozioso di Roma."
Maergar si rialzò incollerito ma non osò avvicinarsi al padre. "Non sono più un bambino e devi smetterla di considerarmi come tale. Ora sono un guerriero come gli altri e come te e le informazioni che ho portato saranno utili al villaggio e non dannose. Perciò trattami come merito".
Connell lo guardò minaccioso e serrando il pugno lungo i fianchi, poi dopo un istante di incertezza si sciolse in un sorriso. 
Forse era un pazzo, ma un pazzo coraggioso. 
Avrebbe voluto festeggiare con una bevuta all'osteria ma non era certo il momento. Raggiunse la grande stanza e iniziò ad informare i Druidi dei nuovi eventi.

Un altra notte, un altro giorno. 
Il legionario marciava di buona lena, il puntino ocra all'orizzonte indicava un tratto della cinta di palizzate, inutile protezione del villaggio. L'avanguardia era più avanti e aveva già rallentato il passo in vista del finale ricongiungimento. Lo stretto sentiero sterrato allungava innaturalmente la fila dei soldati e oltre di esso su entrambi i lati vi erano rilievi scoscesi e boscosi. "Il luogo ideale per un'imboscata" pensò quasi ad alta voce, ma evidentemente le spie che avevano controllato la zona la notte prima non avevano segnalato niente di pericoloso. Cesare aveva molti difetti ma non era certo uno sprovveduto. 
Avanzava mal sopportando, schivo e taciturno com'era, il continuo e confuso vociare , ma ormai ci aveva fatto l'abitudine dopo tutti quegli anni, anche se la sensazione di essere arrivati quasi alla fine della campagna sembrava da qualche giorno aver allungato ancor più la lingua dei suoi loquaci compagni. 
Con la coda dell'occhio scorse un lampo, un rapido movimento da qualche punto in alto sulla sua sinistra. Prima ancora di rendersi conti di ciò che accadeva nugoli di frecce da ambo le direzioni oscurarono l'orizzonte e centinaia di uomini trafitti giacquero a terra. Molte punte acuminate gli sibilarono vicine, una si conficcò dolorosamente in un braccio. Ma evidentemente il Dio Marte gli voleva più bene di quanto lui credesse perché aveva posto proprio vicino ai suoi piedi, una piccola apertura nella roccia che gli permise di trovare riparo. Si sdraiò per terra in silenzio assoluto fingendosi morto,sopportando le ritmiche morse di dolore provenienti dal braccio. 
Sentì le urla dei Galli che si precipitavano giù dalle fiancate il tintinnio delle spade, il rumore sordo dei colpi d'ascia sui pochi sopravvissuti.
Per un lungo tratto di sentiero non c'erano che Romani morti. Capì che l'esercito era rimasto spaccato in due tronconi con Cesare nella direzione ovest verso il villaggio.
Fu proprio verso di lui che mosse Connell ma il generale romano, nonostante le difficili circostanze manovrò abilmente ripiegando rapidamente con la copertura degli arcieri fin quando il sentiero non si allargo in una ampia vallata a ridosso del villaggio. Una volta in campo aperto ebbero il tempo di riorganizzarsi e attesero la carica del nemico. 
Maergar correva fianco a fianco con il padre e non poteva fare a meno di provare in quel momento un grande senso di ammirazione verso di lui. Quel piano organizzato nel giro di una notte, la grinta con la quale aveva tenuto testa alle critiche di quello stolto di Lannox, la rapidità delle operazioni durante l'alba, il nemico colpito nell'unico luogo possibile, nel momento migliore possibile.
Si meravigliò che quelle fredde considerazioni permanevano anche in quel momento fino a prevalere sulla foga per l'imminente battaglia. 
E la battaglia iniziò, battaglia di sangue e di morti, di spade lance e frecce.
Vide le lunghe file di soldati assottigliarsi e gli uomini cadere lasciando il posto ad altri che spingevano da dietro. 
Uno schizzo di sangue gli offuscò la vista, avvertì il tonfo pesante di un uomo davanti a lui, e quando si asciugò gli occhi e riprese a vedere si ritrovo di fronte uno spiraglio che dava sulle uniformi rosse e dorate dei Romani. Uno di loro gli veniva incontro brandendo una spada corta. Maergar riuscì a sostenere l'urto del colpo, ma questo lo costrinse a indietreggiare. La lama aveva trapassato per metà il suo scudo di legno, e prima che l'avversario potesse estrarla, riuscì a tagliargli la gola.
Ma già un nuovo nemico gli si avventava contro e il giovane guerriero non ebbe il tempo di pensare che quello era il primo uomo che uccideva. 

I Romani minori in numero indietreggiavano lentamente, Maergar era riuscito ad abbattere un nuovo nemico, ma il terzo sembrava avere la forza di un orso. Con un fortissimo colpo lo disarmò di netto. Sollevò di nuovo la spada, e a Maergar sembrò di parve di vedere la propria morte riflessa in quegli occhi neri e carichi d'odio.
Una lancia proveniente da sinistra, però trafisse il Romano proprio un istante prima che vibrasse il colpo fatale. Solo in quel momento Maergar si rese conto che nonostante la furiosa mischia il padre aveva sempre combattuto di fianco a lui.
Bastò uno sguardo a dire mille parole. 
In quell'istante urla e colpi di spada giunsero dietro di loro Il secondo troncone dell'esercito romano si era finalmente riorganizzato e ricongiunto e tentava di prenderli alle spalle.
Rapidamente Connell ordinò di ripiegare sul fianco destro per evitare l'accerchiamento ma quel demonio di Cesare doveva aver previsto la mossa perché con una rapida e ordinata manovra eseguita alla perfezione cambiò disposizione formando due ali a destra e sinistra e sbarrando loro la strada. L'unica via aperta era dunque quella che portava al villaggio.
"No, non moriremo come topi in gabbia ma come uomini liberi".
Connell tentò ugualmente il movimento che rappresentava l'unica possibilità, cercando di travolgere l'ala di destra dello schieramento dei Romani, ma le frecce arrivavano ora da tre direzioni e li sfoltivano crudelmente mentre la morsa dei tre assembramenti romani si chiudeva rapidamente su di loro.
I Celti combatterono come veri guerrieri ma i Romani meglio armati , più organizzati
e disciplinati prendevano ora decisamente la meglio. Connell poté chiaramente sentire l'urlo del padre come se fosse l'unico in quel terribile trambusto e quando lo vide accasciarsi si precipitò come una furia sul suo carnefice. Non vide nemmeno la spada nemica che lo colpì.

Il legionario diede un ultimo sguardo al campo di battaglia e si sentì molto più stanco di quanto non fosse. 
Non c'entrava la ferita.
Era stanco di vedere e rivedere quelle scene, le vallate piene di morti, i neri voli degli avvoltoi che planavano sui cadaveri, il pianto lugubre delle donne e dei bambini, i feriti di ambo le parti che si lamentavano e gli uomini in catene trasformati in schiavi. Era rimasto accanto a lui solo un altro soldato, più giovane di qualche anno, che osservava soddisfatto le fiamme che bruciavano il villaggio gallico. 
Il grosso degli altri stava già montando un accampamento su di una collinetta un po' più a nord, per avere una visuale ottimale sul villaggio. Alcuni altri, disobbedendo agli ordini e sfidando il fuoco , si affrettavano a rubare tutto ciò che trovassero di loro gradimento.
Era sera e il legionario cercò un angolo tranquillo per ascoltare i rumori della sera. Il compagno lo interrogò incuriosito.
"Dove stai andando! Tu devi essere davvero un tipo strano!" Dopo un po' i due oltrepassarono un piccolo bosco al di là del quale scorsero un cerchio formato da enormi pietre bianche.
Un vecchio dalla lunga barba bianca era in piedi al centro, e continuò a restare immobile incurante della loro presenza. Quando furono più vicini capirono che stava mormorando ritmicamente una sorta di assurda cantilena. 
Il Legionario si fermò incerto sul da farsi ma il suo commilitone affrettò l'andatura chiamando e 
insultando lo sconosciuto sconosciuto.
Il vecchio Gallico questa volta lo fissò con occhi carichi di ira e pronunciando incomprensibili
minacciose parole sollevo una piccola lama uncinata puntandola verso i due. 
Il Romano estrasse la lancia e lo uccise.
"Stupido! Era solo un vecchio" - il legionario stava già avventandosi contro di lui quando una freccia lo precedette. 
Era l'ultima freccia.
Cadde riverso a terra, morto.
Il legionario corse a ripararsi dietro una delle grandi rocce e avvertì la scia gelida della lama di una spada che gli sibilava a un palmo dall'orecchio destro. 
Ma doveva essere l'ultima risorsa perché subito dopo vide sbucare dai cespugli un ragazzo del villaggio che si dava alla fuga ormai disarmato.
Probabilmente non aveva neanche vent'anni ma era visibile una brutta ferita ad un fianco, rozzamente medicata.
Il legionario avrebbe voluto lasciarlo andare, che pericolo avrebbe mai potuto costituire da solo e malconcio com'era? Non era stato forse il suo commilitone a uccidere per primo? Per giunta un vecchio, che aveva in mano un falcinello adatto solo a tagliare le erbe del bosco. 
Ma non poteva, non era un comportamento che si addiceva ad un soldato.
Sapeva che fino all'ultimo avrebbe dovuto comportarsi da soldato e inoltre conosceva bene la prassi, se non fosse stato trovato il colpevole di quel crimine gli Ufficiali avrebbero sicuramente ordinato pesanti ritorsioni. Così prese ad inseguirlo lungo un piccolo sentiero che risaliva la montagna. 
Nonostante fosse ferito più gravemente di lui quel ragazzo correva come una gazzella.

Maergar scappava ma se avesse potuto avrebbe sfidato uno ad uno tutti i soldati di Roma. Carico di odio aveva giurato di vendicare il padre. Nel momento in cui si era risvegliato, debole e ferito nel bel mezzo di una distesa di cadaveri aveva maledetto di non essere morto a sua volta. Poi aveva trovato una nuova ragione di vita in quella impossibile missione. 
Vagando senza metà si era avvicinato senza accorgersi al cerchio delle rocce bianche e aveva ascoltato le parole di Lannox il Druido. Invocazioni cariche d'odio che l'avevano come ipnotizzato. 
Ora scappava perché non aveva con se più alcuna arma ne la forza di usarla, ma un giorno, un bel giorno sarebbe ritornato alla guida di tanti guerrieri e avrebbe liberato il suo villaggio e sterminato i Romani.
La corsa veloce e il terreno scosceso gli causavano forti contraccolpi nella zona ferita ma cercava di dimenticare il dolore. Sentiva sempre più vicino dietro di lui il rumore del suo inseguitore. 
Si ricordò di una grotta li vicino, una grotta profonda e ben nascosta che aveva scoperto da bambino e usato nei suoi giochi, cambiò rapidamente direzione e stringendo i denti in un terribile sforzo accelerò decisamente.
L'Esploratore aveva paura.
Perché quei maledetti idioti della Compagnia tardavano tanto. Quanto ancora sarebbe dovuto restare in quel mondo inospitale.
Per tutto il giorno c'erano stati urli e rumori di ogni tipo. Una moltitudine di esseri selvaggi era poco lontano dalla sua grotta. Waneas non sapeva chi fossero ne cosa facessero o perché ma ricordava gli occhi rossi e le zanne bianche dell'animale che l'aveva attaccato qualche giorno prima. 
Aveva anche fame, perché la notte prima non era riuscito a catturare nulla.
Una tangibile agitazione pervadeva l'aria, strane presenze, rumori in lontananza sembravano aver messo in allarme ogni animale di quel cupo pianeta. 
Dunque aveva molta fame e quando sentì i rapidi passi di qualcosa avvicinarsi al suo rifugio non seppe se prevalesse in lui questa sensazione o la paura. Nascondendosi dietro un sporgenza rocciosa si disse che erano giuste tutte e due, come quando aveva affrontato terribile animale che voleva mangiarlo ed era stato mangiato. Ancora passi…e rumori.
Un essere grosso e indefinibile entrò lentamente nel rifugio pronunciando un incomprensibile suono, tuttavia molto diverso e più aggraziato di quello degli altri animali che aveva finora incontrato su quel pianeta, aveva un qualcosa di rassicurante. 
Lo raggiungeva quasi in dimensioni eppure non sembrava avere un'aria minacciosa, niente occhi rossi e zanne bianche. Eppure aveva fame.
Waneas puntò il laser.
Maergar era ormai convinto di avercela fatta, la piccola galleria sul lato destro appena varcato l'imbocco della grotta era talmente piccola da costringerlo a rannicchiarsi ora che non era più un bambino, ma lo strano gioco di luci ed ombre al tramonto la rendeva praticamente invisibile. Quel maledetto soldato romano gli aveva rivolto delle parole, parole che lui non poteva comprendere ma che non sembravano dure e minacciose come quelle che l'altro aveva rivolto al vecchio Lannox prima di ammazzarlo.
Ma non importava nulla di questo.
Per quanto ne sapeva poteva essere stato lui ad uccidere suo padre o comunque l'avrebbe fatto volentieri. 
Rannicchiato in quella angusta cavità non vedeva nulla ma ascoltava tutto.
Il Romano gli era passato davanti senza vederlo e poteva sentirlo ora mentre si addentrava lungo il corpo centrale della grotta. 
Un urlo improvviso lo fece sobbalzare. Contemporaneamente un chiaro bagliore che durò un'istante brevissimo illuminò a giorno la buia caverna, accompagnato da un leggero e stridulo rumore. 
Si sporse, sorpreso, e vide il Romano disteso a terra. Una strana ferita sul corpo aveva perforato perfino l'armatura metallica e in quel punto un filo di fumo risaliva dalla pelle.
"Quale arma può mai fare questo?" - fece appena in tempo a porsi questa domanda che un mostruoso essere sbuco dalle rocce lasciandolo paralizzato dal terrore.
Non era un sogno, di questo ne era certo, non era un sogno.
Maergar non aveva mai visto nulla di simile. Non poteva nemmeno essere un animale perché con le orrende braccia brandiva una specie di bastone metallico.
" Dunque le preghiere di quel vecchio pazzo di Lannox sono state esaudite. I demoni che ha a lungo invocato contro gli invasori si sono finalmente presi la briga di ascoltarlo. Con il suo aspetto e la sua terribile arma può sconfiggere da solo anche l'intero esercito romano."
"Devo spiegargli, devo guidarlo, spero che comprenda la mia lingua."
Stava già per uscire dal suo nascondiglio e raggiungerlo quando si accorse che il soldato non era ancora morto. 
Giaceva quasi immobile con le braccia distese lungo i fianchi, non emetteva suoni ma gli occhi aperti e mobili e il lento movimento della respirazione erano visibili nonostante il buio.
Si auguro che il demone si sbrigasse ad ucciderlo, la lista era ancora molto lunga e non c'era tempo da perdere. 
Waneas indugiava più del dovuto a dare il colpo di grazia a quello strano animale, era così diverso da tutte quelle creature di cui si era cibato nei giorni precedente, c'erano mille differenze a partire dalla protezione metallica che gli aveva salvato la vita, ma quella più grande era sicuramente il barlume d'intelligenza del suo sguardo.

Maergar si sollevo e avvertì un piccolo dolore alla gamba, qualcosa di acuminato l'aveva punto. Frugo nel buio e si trovò fra le mani una freccia.
La raccolse, probabilmente era stata trafugata da qualche ragazzino del villaggio l'aveva nascosta lì conservandola come un grande tesoro. 
Poichè il demone era ancora indeciso caricò la freccia sul suo arco e punto dritto al cuore del soldato. Poi pensò che con così poca luce avrebbe potuto sbagliare e centrare l'armatura, allora puntò alla testa. 
Waneas lo osservò ancora un istante, gli dispiaceva ma quelle erano le regole della vita e lui aveva sempre più fame. Muovendo lentamente la mano puntò il laser preoccupandosi di centrare questa volta il bersaglio. 
Una freccia sibilò ma a morire non fu Lucio Settimio Rufo.
Maergar aveva visto nei suoi occhi quell'espressione, la stessa espressione che aveva visto in suo padre un attimo prima che morisse. Lo stesso insieme di emozioni, il dolore, la paura la rassegnazione, e qualcosa di assurdo: un fuggevole lampo di incomprensibile serenità. 
Una valanga di pensieri lo investì con il rischio di fargli scoppiare la testa.
Capì che gli uomini erano tutti uguali e che nascere Romano o Celtico, Greco o Germanico era solo una casualità decisa dai capricci degli Dei. Che un uomo venisse da Oriente od Occidente, che avesse i capelli scuri o biondi, che indossasse armature dorate o scarni mantelli non era importante.
Perché tutti provavano gli stessi sentimenti a differenza delle rocce, degli alberi e..….
e di quel mostro informe che giaceva ai sui piedi.
Lo osservò attentamente.
" Forse no! No.. che stupido!. Forse anche lui ha provato dolore, rabbia, paura, amore…"
Il legionario guardo quel ragazzo che gli aveva salvato la vita.
Ma le domande che avrebbe voluto porsi non riuscivano a prendere forma nella sua mente e le risposte…quelle non sarebbero mai arrivate.
Maergar gli rimase vicino per tutta la notte, cercò di curarlo e l'indomani, quando sembrò stare un po' meglio lo aiutò a rialzarsi. Esausti e malridotti giunsero insieme in prossimità del villaggio.
Qualcuno li avrebbe chiamati traditori, ma a nessuno dei due importava il pensiero degli altri.
Fu in quell'istante che Maergar avvertì dal più profondo di se stesso la sensazione di essere davvero un uomo. 
All'interno della tenda più grande dell'accampamento il Generale Caio Giulio Cesare festeggiava con del buon vino la vittoria e il futuro che gli arrideva. 
Il Dio Marte quella notte gli aveva mostrato un grande prodigio come segno della sua approvazione. Un grande disco di luce, abbagliante come il sole era disceso sulla cima della montagna e dopo aver a lungo indugiato, si era sollevato in aria a velocità incredibile sparendo nel cielo. 
Ripensò a lungo all'accaduto mentre usciva dalla tenda e passeggiava per l'accampamento.
Un tale segno significava, ne era certo, che non solo la Gallia ma l'intero mondo sarebbe finito nelle sue mani. 
Poi qualcosa lontano, laggiù, nella valle lo distolse dai suoi pensieri.
Mosse alcuni passi in avanti, guardò e non capì perché il Gallico e il Romano camminavano insieme.


Golem