Racconti Fantasy

La Terra di Nolan  

 

Gli ultimi pallidi raggi del sole del tramonto filtravano tra i  rami scuri e lugubri della foresta e davano vita per il volgere di un istante a strane figure danzanti sulla criniera fulva di Hylos.

Il cavallo per la prima volta dopo giorni di viaggio cominciava a manifestare inequivocabili sintomi di stanchezza e l’andatura leggiadra e vigorosa dei primi tempi era ormai uno sbiadito ricordo. 

Ciò che contava ora era essere giunti a destinazione.

Già i nodosi fusti delle piante cominciavano un poco a diradarsi e all’orizzonte una diffusa luminescenza preannunciava l’agognata fine della corsa.

Poi un lampo di tristezza e malumore attraversò la mente del Cavaliere.

Annusò l’aria fresca e odorosa di muschio, ascoltò ancora una volta gli ovattati rumori della sera, il canto degli uccelli notturni che s’apprestavano a uscire dalle tane per andare a caccia, il perdurante  e non più frenetico scalpitio degli zoccoli del fedele compagno di viaggio, volse lo sguardo agli ultimi imponenti alberi che ancora per poco lo proteggevano.

Fece tutto questo in un attimo, quasi a voler trattenere quegli ultimi attimi ancora scevri da preoccupazioni,  ancora liberi e alieni dall’opprimente battaglia che avrebbe dovuto sostenere, prima di tutto con se stesso.        

Ora fin dove l’occhio poteva arrivare vi era un tappeto verde e ininterrotto di erba rigogliosa e laggiù in fondo, appena percepibile, un puntino nero.

Il  possente  animale  rallentò per un attimo, sorpreso da quel repentino cambio dello scenario, poi come se avesse avuto il dono di leggere nei pensieri del suo padrone, raccolse a se tutte le residue forze e si lanciò in una rapida corsa.

Gunnar, così si chiamava il Cavaliere, si aggrappò con maggior vigore e lo sguardo rivolto in avanti, senza apparenti timori.

Già cominciavano a delinearsi i contorni del suo avversario, ma la prima cosa che riuscì a percepire furono le dimensioni inquietanti e innaturali del grosso animale che lo portava, neri l’uno e l’altro come la pece.

Avvertì prima ancora di poterli vedere quei quattro occhi malevoli che sembravano fissarlo da sempre, erano così simili nella loro espressione e nei loro rilessi  rossi come tizzoni dell’inferno tanto da sembrare appartenenti ad un’unica deforme entità diabolica. 

Quando arrivò  abbastanza vicino arresto la carica di Hylos.

Provò sollievo perché quella lontana e inafferrabile  presenza che durante tutto il viaggio e tutte le terribili precedenti  prove lo aveva spiato aleggiando come un fantasma sopra di lui ora aveva scelto un preciso luogo dove  materializzarsi e attenderlo.

Proprio davanti a lui poteva osservare la corazza possente, la lunga lancia, l’ascia, l’elmo semisollevato che terminava con due corna  alle diverse estremità, i lineamenti duri e ostili di chi lo portava.

Attese un attimo nella vana speranza di carpire un cenno, un segnale da quella maschera impassibile, dopodiché Gunnar ripartì senza indugiare oltre.

Solo all’ultimo all’ultimo momento  il cavaliere nero spronò il cavallo che sbuffò rumorosamente partendo alla carica come un dannato.

Gunnar non vide nemmeno la lancia che lo colpiva e lo disarcionava dal cavallo, ma avvertì il dolore violento sull’addome,  sentì il rumore secco del legno che si spezza contro il metallo, poi il lungo volo e il terribile urto alla schiena.

Contorcendosi a terra senza fiato provò la sensazione di una minaccia incombente e gli parve di udire dei passi. 

Mentre il sangue caldo gli bagnava le mani e gli occhi erano fissi sul cielo che cominciava ad assumere la tinta plumbea della sera, osservò il lampo metallico dell’ascia che calava su di lui.

 

Chris  si  risvegliò, stanco e mezzo intontito, impiego come al solito alcuni secondi per riaversi dallo shock.

Quando riaperse gli occhi la prima cosa che vide fu il viso rotondo e bonario di Eric Bein.

  Prima ancora di avere il tempo di scollegarsi alla porta DM , dovette subire l’ilarità dell’amico.

“Sei proprio bravo, sì, me l’immaginavo che t’avrebbe steso al  primo colpo di lancia!“

“Mi ha fregato perché è partito tardi e poi il suo cavallo andava il doppio del mio. Sei sleale”

 mormorò Chris, ancora visibilmente affaticato.

“Si, si, certo! Quando ho progettato la scena ho pensato subito che, con il tuo tipo di gioco, t’avrebbe steso al primo colpo”- insistette l’amico.

“Guarda che l’anno è lungo! Appena finisco il mio prossimo gioco, Nolan, ti faccio vedere io!” 

“Si, si, tu continua con Nolan. Gli orchi, gli elfi, i nani, roba di 50 anni fa. Dimmi un po’, c’è ancora  gente che continua a giocare con quella roba?”

Mentre si sistemava i capelli davanti al piccolo specchio sulla parete Chris si sforzò di sorridere  anche se l’ultima battuta del suo interlocutore, per quanto pronunciata con ironia e senza malizia, non gli era decisamente andata giù.

Eric mosse alcuni passi verso di lui.

“Seriamente Chris, che mi dici del gioco?”- domandò.

“ Il gioco è bello, a parte i soliti errori da deficiente che fai! Come è possibile che in Scandinavia in pieno inverno c’è l’erba verde. Dovevi mettere almeno mezzo metro di neve.”

Eric provò a giustificarsi “Li mi hanno fatto casino quelli della Atmosfear, mi hanno passato un pacchetto sbagliato”

“E poi lo sanno anche i bambini che i Vichinghi non avevano i corni sull’elmo, li hanno dipinti così secoli dopo” proseguì Chris nella sua disanima.           

 “Ma i Vichinghi….” riprese Eric.

“ Grave errore! ”- l’interruppe l’altro.

“ Ma tutti li immaginano con i corni sull’elmo” protestò Eric.                

“ Ma non li avevano. Se tu fai il Fantasy puoi fare come ti pare, ma se vuoi fare la ricostruzione storica devi  rispettare certe regole.”

“Va bene, va bene, gli darò qualche ritocco”

“ Poi che cavolo di rapporto di compressione hai usato? Ero stanco morto quando mi sono risvegliato.”- disse Chris, che nel frattempo si era portato davanti allo specchio ed era intento a riordinarsi i capelli.

“ Uno a dieci”

“ Quanto?” Esclamò stupefatto

“ Uno a dieci, adesso lo usano tutti”

“ Sei diventato matto, ci devono giocare i bambini di dodici anni!, vuoi fare una strage?

“ Sta a sentire. La legge lo consente: rapporto di compressione del tempo maggiore o uguale a uno a dieci. Lo sai che sono quelli che vendono di più, quindi io lo uso. ”

“ Bella legge!”

“ Figurati, i ragazzini di dodici anni ci sono nati con questi giochetti, si fanno ore e ore al giorno di DM.”- Eric aveva rimesso il DM nella sua valigetta e si preparava ad andarsene.

Chris non era affatto convinto, lui non era mai andato sotto l’uno a cinque  ma si rendeva conto che la tendenza del mercato era ormai ben indirizzata su quella strada, e Howard Manning, il suo direttore gli aveva imposto il rapporto 1:10  per  Nolan.

La situazione era quella e non era certo colpa di Eric, così decise di mettere da parte gli aspetti moralistici e riprese l’analisi tecnica del gioco.

“Comunque è bello, grafica accurata, ottimi effetti sonori e olfattivi, ma soprattutto gli stimoli emozionali sono di alto livello, mi è piaciuto molto quando avverte la presenza del cavaliere nero senza vederlo. “

“ Hai visto che montaggio? Quelli della EMO 4D sono veramente diventati i leader nel loro settore. Mi hanno passato ottimo materiale”

“ Crescono in fretta.”

“Tutto il settore lo fa. I primi giochi quindici anni fa erano solo degli sparatutto idioti, ora su “Thunder e Wawe”  sono arrivati a scegliere il profumo di Valiant n° 2 per la protagonista.

 

Dopo un quarto d’ora Eric uscì dal piccolo appartamento al terzo piano che costituiva la modesta residenza di Chris  e raggiunse la Ford rossa che l’attendeva nel parcheggio antistante il palazzo.

“Perché mai si ostina a stare in questa topaia”- pensò – con i soldi che prende potrebbe permettersi una villa a Beverly Hills”.

 

 

II

 

Chris  ritornò quasi subito al lavoro.

C’era da ultimare la programmazione delle ultime scene di Nolan, il gioco che doveva essere il fiore all’occhiello per la prossima stagione della Flynet, la sua casa produttrice.

In realtà lo sviluppo di un prodotto come quello era un grande lavoro di squadra, molto simile ad uno di quegli informi pezzi di ferraglia che attraversano una lunga catena di montaggio e che solo dopo molti passaggi iniziano ad assumere le sembianze di un prodotto finito.

Però l’ultima parola spettava sempre a lui.

Chris aveva solo ventinove anni ma aveva già raggiunto un alto livello di esperienza e competenza nel suo settore, quella dei DM “ Dream Movie” era una tecnologia recente e da quando era nata aveva iniziato una fase di sempre più rapido sviluppo.

All’inizio, per la verità, c’era stata una certa, insolita diffidenza, dovuta anche ad una guerra senza quartiere portata avanti da una parte dell’opinione pubblica e dalla quasi totalità dei mass-media con tanto di stroncature dei più famosi luminari della medicina, sermoni di esponenti di varie religione, sproloqui memorabili dei più noti anchor-man dei network.

Molti avevano capito che quella vita simulata, quella realtà virtuale, simile ai videogiochi degli anni novanta come lo scarabocchio di un bambino lo è ai quadri di Raffaello, aveva delle potenzialità immense e avrebbe potuto far crollare tutta la baracca dell’apparato televisivo, radiofonico ed editoriale, con i suoi numerosissimi e potenti coinquilini. 

Non si trattava di un film con scene immutabili e prestabilite, ma di una specie di sogno telecomandato in cui ogni scelta fatta dall’utente si traduceva in una diverso sviluppo del gioco, quelli più moderni arrivavano ormai a centinaia di possibili finali.

La cosa più incredibile però, e il vero elemento rivoluzionario era  lo stato di totale incoscienza che accompagnava tutto il periodo di durata del gioco.

Questo effetto, per quanto un po’ sfumato e discontinuo nelle prime versioni fu presente fin dall’inizio.

Era stato oggetto di un profondo studio a tavolino da parte delle più famose major informatiche.

Chi ebbe l’idea per primo nessuno lo ricorda, la lunghissima serie di querele e cause giudiziarie incrociate riempirebbe uno dei vecchi  cd-rom, si sa solo che il progetto era troppo grande per rimanere segreto, e in breve si scatenò una corsa contro il tempo tra i vari colossi del settore.

 

Il progetto traeva origine dal risultato di anni di ricerca che i  cosiddetti  “studiosi del sonno” avevano compiuto sui meccanismi biologici del sonno e sulle sui diverse fasi, quella non Rem priva di attività onirica e quella Rem, distinguibile da rapidi impercettibili movimenti delle palpebre, nella quale nascevano i sogni, nonché sui cosiddetti sogni lucidi, rari eventi che interessavano una piccola percentuale della popolazione  e si concretizzano in un particolare stato di coscienza durante il sogno.

L’apparecchio induceva prima una stato di sonnolenza in fase “non REM” e poi bombardava il cervello dell’utente con una tempesta di stimoli visivi, sonori, tattili, olfattivi, così chi si ritrovava per due ore nel DM non aveva alcun modo di capire che stava giocando.

Il primo gioco uscito nel settembre del 22 si chiamava “Dream Power” prodotto dalla Tronic, e fu giudicato da Chris negativamente perché ripetitivo e fatto male.

D’altronde la disperata necessità di presentare per primi sul mercato il nuovo prodotto aveva imposto di sacrificare la ricercatezza della trama e la volontà di mettere in evidenza gli straordinari  effetti sensoriali aveva fatto propendere per uno dei soliti “sparatutto”, un genere spettacolare ma di scarsa qualità.  Era sempre andata così nel mercato del software: “chi primo arriva più si impone”. Ne sapevano qualcosa le case produttrici di sistemi operativi più bacati delle mele fradice.

E “Dream Power” non fece eccezione. 

Aveva per protagonista Mike Anson, un marines che avrebbe dovuto sgominare praticamente da solo il covo di una nota organizzazione terroristica, ed era però ancora legato, sotto molti punti di vista ai vecchi canoni dei videogames da playstation della generazione precedente. Ogni volta che il soldatino moriva, perforato dai proiettili, arrostito da un lanciarazzi, travolto da un carroarmato, sgozzato da un attacco alle spalle dei kamikaze, si ripresentava vivo e vegeto per riprendere il gioco dall’inizio dell’ultimo livello.

Nella fretta nessuno aveva pensato a quanto contrastasse questa situazione con la disperata ricerca del “verosimile”, che riguardava tutti gli altri aspetti del gioco.

Inoltre l’inspiegabile ripetersi di situazioni già note, le continue morti e il loro persistente ricordo, creò in alcuni soggetti più deboli crisi di panico e una diffusa sensazione di ansia.

Travolto da una valanga di cause inoltrate da privati e dalle associazioni di consumatori, oggetto di polemiche roventi in ogni talk-show, “Dream Power” insieme ad altri cinque giochi di simile fattura fu dichiarato fuorilegge in 13 Stati, ma prima della  sentenza definitiva che avrebbe dovuto vietarlo su tutto il territorio nazionale venne ritirato dal mercato, sostituito da nuovi giochi definiti sicuri.

 

Gli errore furono quindi corretti rapidamente, e nonostante proseguisse da più parti la crociata contro i DM, le battaglie legali portarono solo ad una decina di milionari  risarcimenti danni a  carico della Tronic e all’istituzione di uno specifico organo federale con compiti di controllo preventivo su ogni prodotto che uscisse sul suolo Americano, si chiamava FDMCO.

Nonostante questo l’operazione si risolse in successo, infatti la dimostrazione delle immense potenzialità economiche di quel mercato fecero cambiare bandiera ad alcune potenti lobby del paese.

 

Il vento cominciò a cambiare e le voci di dissenso sui giornali e sulle tv si fecero sempre più flebili e pacate, nuovi studi, nuove ricerche e opinioni messe in giro ad arte fecero cambiare notevolmente l’immagine dei DM agli occhi dell’opinione pubblica.     

L’enorme mole di pareri negativi che era circolata a lungo in precedenza  esaurì presto il suo effetto, sovrastata da una ancora più imponente dose di curiosità.

Chiunque avesse provato almeno una volta un DM molto raramente avrebbe  abbandonato quello svago in futuro.  

 

L’organismo di controllo federale, l’ FDMCO si limitò a emanare qualche legge poco significativa al solo scopo di salvare le apparenze e tranquillizzare quella parte di opinione pubblica che non si era ancora rassegnata alla repentina inversione di tendenza.

La famosa legge dei 200 minuti ne era un esempio, quel limite temporale da non superare era solo una convenzione priva di valore.

Molti giochi vennero semplicemente venduti a puntate, aumentando gli introiti delle case produttrici.

Le grandi major holliwodiane ebbero l’idea di riproporre i capolavori del cinema in formato DM con la possibilità di impersonare non solo il protagonista, ma anche i comprimari. Naturalmente il comportamento e le scelte degli utenti si riflettevano sul finale della storia.

Molti benpensanti storsero il naso nel vedere Rambo alleato dei viet-cong, alcuni esponenti del clero cattolico querelarono una nota casa perché nel settimo finale di Ben Hur rilevarono una “grave diffamazione della loro religione”.  

 

Si trattava comunque ancora di storie “a sbocco limitato”, con una decina di invariabili finali standard, inoltre la presenza di trame e personaggi già noti finiva per influenzare e condizionare il giocatore.

 Dopo una breve fiammata iniziale quel settore di mercato perse rapidamente consensi, superato dalla rapidissima evoluzione dei DM veri e propri.

La modalità multiplayer venne finalmente perfezionata: il primo multi-DM , “Neptune shadows”, della Eureka uscì per Natale del 27 vendette più di 3 milioni di copie solo negli Stati Uniti:  consentiva un massimo di tre giocatori.  connessi contemporaneamente alla stessa macchina.

La rete di allora non garantiva una larghezza di banda sufficiente a dare l’effetto della contemporaneità. I dati dei generatori emozionali erano difficilmente trasmettibili in poco tempo.

Si optò per un multiplayer locale ma capace di vera interazione emotivo-sensoriale tra i giocatori e i personaggi virtuali.    

Le potenzialità erano enormi. Per tutti.

Ogni persona, ogni più insignificante nullità, avrebbe potuto per due o tre ore diventare un re, un nuovo Michael Jordan, superman, Giulio Cesare, Dracula o un Guerriero invincibile.

Fin dai tempi del college Chris si era messo in mostra per la sua bravura con quel nuovo aggeggio, accolto con una certa diffidenza da molti,  aveva perfino fatto parte del gruppo di quindici ragazzi del campione utilizzato per testare le versioni demo di “Yuzal” il primo DM della Flynet.

Negli anni successivi Chris aveva continuato a occuparsi  dei DM e dopo il diploma molte università gli aperto le porte.

Lui aveva scelto di andare a Princeton più per accontentare i genitori che per una reale ambizione.

Per lui il DM erano sempre stati uno svago, un divertimento, e non riusciva a vederli e a considerarli come uno strumento di lavoro.

Dopo la laurea in informatica si aprì nuovamente un’asta su di lui, stavolta tra le maggiori case produttrice di DM.

Così aveva preso armi e bagagli e si era trasferito a Seattle dove era diventato in breve tempo uno dei migliori programmatori della Flynet, mettendo qualcosa di suo in ognuno dei DM prodotti dal 30 in poi.

Chris non si era ambientato molto in quella città, a dire il vero non si era ambientato bene neanche a Princeton e tantomeno nella nativa Detroit.

Non aveva mai avuto molti amici, la maggiorparte della gente della sua età gli sembrava gli sembrava superficiale.

Non aveva manie di grandezza, non aveva sensi di superiorità, semplicemente aveva altri interessi rispetto alla maggior parte dei suoi coetanei.

A Princeton aveva avuto una ragazza, Emilie, ma il loro rapporto non era mai diventato una cosa seria, e quando si era trasferito a Seattle quella storia si era rapidamente dissolta.

Per quanto riguardava il lavoro non c’erano problemi, Chris bruciò le tappe affermandosi presto come uno dei migliori tecnici del settore a livello nazionale.

 

Nel frattempo la Tronic, bruciando ancora sul tempo la stessa Flynet, lanciò con “Last Empire” nell’estate del 30 la seconda generazione di videogiochi.

Migliorando notevolmente la connessione tra il cervello dell’utente e il software e sfruttando gli studi sull’intelligenza artificiale si riuscì ad ampliare notevolmente le possibilità di sviluppo del gioco che fu in grado di raggiungere un realismo ancora maggiore e un numero di opzioni e di finali quasi infinito.

I nuovi software di compressione dati fecero il resto, permettendo la modalità multi-utente in rete.

Gli ultimi eccezionali sviluppi cominciarono a rendere fastidioso il limite dei 200 minuti.

Stavolta fu la Flynet a battere la concorrenza e a brevettare  Merlyn, il cosiddetto time-compressor,

un processore in grado di  amplificare e accelerare gli impulsi elettrici che il software trasmetteva al  cervello simulando uno scorrere del tempo più veloce.

Ancora una volta l’FDMCO si dimostrò incapace di ostacolare gli enormi interessi economici in gioco e minimizzando sistematicamente gli allarmi di alcuni centri di ricerca medica si limitò  a fissare nel gennaio del 31 il limite di compressione a 1:5, salvo poi  alzarlo dopo un anno fino a 1:10.

In pratica i 200 minuti fissati dalla legge si erano impunemente trasformati in duemila minuti virtuali.

Un vero e proprio tempo fuori dal tempo.

Per i pubblicitari fu una pacchia : “il gioco che ti allunga la vita” era il loro motto preferito.

 

Duemila minuti di bombardamenti elettrici e nessuno aveva alzato un dito per impedirlo.

Circa un anno fa Chris era stato incaricato di iniziare la programmazione di un nuovo gioco ambientato in una sorta di medioevo fantastico, stile Tolkien, che avrebbe dovuto essere il prodotto di punta della Flynet per l’anno successivo.

Di solito i programmatori non testavano mai personalmente le sequenze DM che elaboravano: era una regola non scritta.

I tribunali erano ancora ingolfati di cause per danni contro le case produttrici, inoltrate dai primi eroici tecnici che lamentavano mal di testa cronici, stress e malesseri di ogni tipo per la prolungata esposizione ai DM.

Così si era pensato di ricorrere a dei campioni scelti tra persone di tutte le età, profumatamente pagate, che si alternavano a testare i giochi per non più di venti ore reali al mese, limite di legge.

Chris invece non aveva mai rinunciato a provare personalmente le sequenze dei giochi in costruzione.

Tuttavia operava in una modalità completamente diversa, che gli permetteva di restare cosciente durante il gioco, in pratica a differenza del pubblico giocava sapendo di giocare, e questo gli permetteva di giudicare con  freddezza e distacco il livello tecnico del software e di analizzare bene ogni dettaglio.

Quando invece voleva provare  gli effetti emozionali e la presa sul pubblico tornava alla normale modalità, ma questo accadeva più raramente.

Passo dopo passo aveva realizzato una eccezionale scenografia di luoghi e personaggi sulla quale innestare la trama del gioco.

Quel gioco avrebbe dovuto chiamarsi Nolan e sarebbe dovuto uscire fra due mesi, in apertura del periodo natalizio.

Sarebbe dovuto uscire presto ma accadde qualcosa di incredibile, qualcosa che neanche lui sarebbe mai  riuscito a spiegarsi.

 

 

III

 

Ogni notte viaggiava.

Il suo viaggio  iniziava sempre a bordo di una piccola imbarcazione in legno di ebano che solcava le acque fredde e tranquille ai primi bagliori dell’alba.

Respirava il profumo della salsedine osservava il volo dei gabbiani sugli scogli lontani, che la scarsa luce rendeva simili a grigi e tetri scheletri.

Dopo qualche istante intravedeva la costa, un’uniforme larga distesa di sabbia color ocra, sovrastata da una collina spoglia e arrotondata sulla quale si abbarbicava uno stretto sentiero di terra battuta polverosa.

Issava la piccola imbarcazione e iniziava a scalare l’incerto sentiero.

Talvolta vi erano rocce, franate chissà da quanto tempo, che ostruivano parzialmente il passaggio, in altri punti la pur misera vegetazione aveva riconquistato il terreno che un tempo le era stato strappato.

 

Una volta risalita la sommità della collina il paesaggio cambiava quasi di colpo: la valle sottostante era verde e rigogliosa con prati e cespugli popolati da una miriade di piccoli volatili neri e azzurri. In mezzo ad essa scorreva un fiume, che s’incuneava tra le due colline e proseguiva dritto e impetuoso da ovest verso il mare.

Il sentiero si interrompeva bruscamente nelle vicinanze del fiume dove un piccolo ponte formato da imponenti blocchi di pietra permetteva di passare sull’altra sponda.

In cima alla seconda collina  vi era  una quercia millenaria, con enormi scheletriche radici che affioravano in più punti  dal terreno. Anche da quella notevole distanza quell’antico essere vivente incuteva rispetto e soggezione.

Chris era fiero di quell’albero, che aveva trovato per puro caso in un vecchio archivio dimenticato. L’aveva voluto provare e quell’oggetto così insolito ed estraneo aveva conferito un tocco in più al paesaggio ed era stato fin dall’inizio un punto fermo della sua scenografia.

Chris seguiva per un certo tratto il corso del fiume fin quando esso interrompeva finalmente la sua marcia diritta per  virare di qualche grado verso nord con una lieve regolare curva.

Una volta che il suo tracciato riconquistava un andamento rettilineo era visibile all’orizzonte un lieve altopiano che ospitava le aguzze palizzate di un piccolo villaggio.

Quello era Nolan.

Il villaggio dalle case dal tetto di paglia. 

 

Chris arrivava sotto lo stretto e alto cancello di legno e lanciava la parola d’ordine.

Due guardie dallo sguardo torvo dalla parte opposta lo riconoscevano e lo facevano entrare, interrompendo il loro fitto e insulso scambio d’opinioni.

Allora il protagonista si inoltrava nel piccolo spiazzo antistante le palizzate dove piccolo gruppo di bambini urlava e giocava a rincorrersi, arrivava fino al grande pozzo di pietra dal quale due donne attempate erano intente a trarre grossi secchi d’acqua, quindi virava verso sinistra infilandosi in un angusto vicolo tra le lunghe file di capanne.

Quel pozzo nascondeva in realtà un segreto: era la sua via d’uscita rapida, predisposta appositamente qualora avesse avuto necessità di interrompere lo svolgimento del gioco prima della fine del livello.

Dalle strette aperture delle finestre che rompevano la monotonia di assi di robusto legno scuro, filtrava l’odore della cenere, del vino e della  carne arrostita.    

Un  ritmico e vigoroso suono metallico in lontananza sottolineava il duro lavoro del fabbro nella sua officina, e si mescolava agli sporadici nitriti dei cavalli che riposavano nelle stalle.

Ad un certo punto era possibile scorgere in fondo al vicolo una struttura più alta e imponente delle altre che costituiva la dimora del capovillaggio.

 

La porta era socchiusa e non appena Chris entrava, un uomo alto e barbuto di nome Marduk lo salutava, gli dava il benvenuto, quindi gli illustrava i molteplici  problemi del villaggio e gli affidava le missioni da compiere. 

Da programmatore, Chris aveva escogitato ogni sorta di sfide e di avventure che diventavano sempre più difficili, ora da giocatore si impegnava a superarle.

Servendosi solo delle scarse risorse di uomini e mezzi del villaggio era riuscito a risolvere un bel pò di problemi alla piccola comunità.

Prima aveva sventato la minaccia di un branco di lupi, quindi aveva respinto gli assalti di un gruppo di barbari che avevano appiccato il fuoco al villaggio, quindi aveva debellato alcune strane creature acquatiche che avevano risalito il corso del fiume e razziavano nottetempo il bestiame.

Aveva poi sfidato le ire di una combriccola di nani per recuperare la grande pietra verde che  rappresentava il portafortuna del villaggio e che era stata smarrita dallo stolto Marduk.

 

Fu al livello successivo, il quinto, che accadde l’incredibile.

Doveva essere una missione interlocutoria, non troppo impegnativa, una di quelle che servono a tirare il fiato tra due quadri difficili.

Occorreva controbilanciare la furibonda rissa contro i nani del livello precedente richiedendo ora una dimostrazione di intelligenza e arguzia. 

Uno dei bambini non aveva fatto ritorno al villaggio quella sera.

Il sole era da poco tramontato, e un diffuso bagliore rosato permeava ancora il cielo ad occidente.

Chris era uscito dalle mura del villaggio insieme ad cinque uomini ed aveva risalito per un certo tratto le sponde del fiume.

Calcolò infatti che quello sarebbe stato il primo luogo che un attento giocatore avrebbe esplorato perché i ragazzini erano soliti giocare sulle rive dell’ Ibryn e attardarsi  in lunghe gare di nuoto nei punti dove la corrente era meno forte.

Non trovandoli lì il giocatore avrebbe certamente sospettato della solita banda di briganti ubriaconi e razziatori che bivaccavano spesso nella campagna circostante. Solo dopo una lunga ricerca e qualche movimentato battibecco con quei barbari il giocatore avrebbe individuato con sorpresa i veri responsabili del misfatto.

 

Era ormai al culmine della missione.

Vagava in un punto indeterminato della campagna, avvertiva sul viso e sulla schiena il freddo pungente di quella  ormai inoltrata notte d’autunno, percuoteva deciso con i grossi sandali di legno l’erba morbida e umida che affondava cedevole sotto il suo peso.

La sottile inarrestabile pioggerella che da qualche tempo l’accompagnava aveva subito messo a tacere l’esuberanza della sua piccola torcia, per quanto un sottile rivolo di fumo bianco persisteva ancora a dimostrare che un tempo essa era stata viva.

L’aria fresca della notte,  il silenzio irreale rotto soltanto da sporadici richiami di invisibili rapaci notturni e dall’esile, lontano sottofondo dell’acqua che scorreva e che lo indirizzava verso il fiume , il grande disco d’argento della luna che pareva proiettare sul terreno circostante mutevoli giochi d’ombra, tutto questo dava vita a un’atmosfera magica che Chris non aveva mai conosciuto prima.

 

Mentre lo zampillare dell’acqua si faceva più forte e la oscura sagoma del fiume apparve in lontananza, il cuore prese a martellargli nel petto.

La luna ora gli appariva ancora più grande e luminosa, sembrava nascere dalla sommità della collina, attaccata ad essa da una piccola indecifrabile protuberanza.

Si ripropose di correggere quel singolare effetto ottico, mentre dava le spalle alla collina per seguire a ritroso il percorso delle acque dell’Ibryn in direzione di Nolan.

 

Non fu un motivo particolare a indurlo ad ammirare un’ultima volta quella scena, forse fu un strano presentimento, un intangibile richiamo che si era irradiato nell’area immota.

Tuttavia si voltò e nel breve volgere di un istante si rese conto che si trattava di un oggetto reale.

Era l’enorme quercia, i cui contorni si delineavano ora un poco più nitidi, per quanto un’irreale alone luminescente cercasse di fonderlo alla luna stessa.

Possibile che quel singolo elemento aggiunto sommariamente all’ultimo minuto avesse il potere di causare un simile effetto?

Chris provo a spiegarsi che aveva invertito la rotta solo per valutare da vicino quell’ammasso di byte che lo aveva colto di sorpresa, in realtà era mosso da un’inspiegabile fascino e magnetismo che sembrava diramarsi da quel crinale lontano e maestoso.

 

Senza neanche rendersene conto aveva preso a correre in direzione della vetta della collina e gli parve di individuare lassù una minuscola sagoma oscura che si stagliava nitidamente sotto  quell’argenteo bagliore. 

Man mano che si avvicinava un  senso di timore e di soggezione prese possesso di lui, e i segreti moti che gli arrovellavano l’anima si ergevano ben al di sopra delle semplici sensazioni fisiche che vanamente gli suggerivano freddo, inedia e stanchezza.

Anche quando la morfologia del pendio gli impedì di vederli fisicamente Chris non smise nemmeno per un istante di percepire tutti quei simboli eterei che aveva ammirato da lontano, poteva percepirne la pulsante presenza e la luminosa vita al di la del cumulo di terra bruna che lo separava da lui.

Mentre aggrediva in uno stato di crescente eccitazione l’ultimo ripido tratto di salita e la tonalità argentea tornava a dominare pienamente il suo campo visuale, alcuni piccoli globi luminosi fendevano l’oscurità sottostante risalendo assieme a lui per  un tratto prima di superarlo e spegnersi come fuochi fatui perdendosi in quel cielo immenso e senza stelle.  

In quegli istanti residui lampi di ciò che era stata la sua razionalità giocavano e perdevano la loro partita con la magia di quel luogo inesistente.    

Chiudendo gli occhi e serrando i pugni si impegnò ad espandere al massimo la sua sfera percettiva per carpire ogni sfumatura di quelle sensazioni sconosciute, meravigliose e preoccupanti che non volevano dargli tregua. Fu allora che giurò a se stesso che non avrebbe permesso a nessuno di venire a Nolan.

Quel mondo sarebbe stato solo suo e nessun altro l’avrebbe violato.

 

Solo dopo quel solenne giuramento tornò ad aprire lo gli occhi posando ancora lo sguardo sulla grande quercia luminosa, che era tornata ad essere l’unico essere vivente della collina.

Piccole irrequiete gocce d’acqua si rincorrevano ovunque sul possente fusto bruno, si riversavano lungo le radici affioranti e quindi formavano dei rivoli che morivano  non appena sfioravano il terreno.

Le sensazioni fisiche che fino ad allora avevano atteso in disparte il loro turno sembrarono ora volergli presentare il conto tutte insieme.

Mentre si accasciava stremato sulla terra umida e aspra e l’aria gli sembrava irrespirabile si rese conto del suono  che la riempiva e si protraeva chissà da quanto tempo, forse da un istante o forse da quando aveva iniziato la sua frenetica e pazzesca scalata alla collina senza nome. 

 

Era una voce femminile, lieve e vellutata che sembrava riscaldare quella notte così rigida e piovosa.

Le note vibravano lunghe e melodiose e componevano una dolce melodia che era espressa in una lingua sconosciuta e  che tuttavia gli sembrò antica e triste.   

Quando ancora muoveva incerti passi e vagava con lo sguardo nel tentativo di individuare la provenienza del suono, questo si arrestò bruscamente, come se fosse stato troncato a mezz’aria da un’invisibile lama.

Un  lieve rumore indistinto, appena percettibile, lo spinse a voltarsi di fianco.

Di fronte si ergeva ora era una leggiadra e incredibile presenza.

Era certamente la donna più bella che avesse mai visto.

Era apparsa proprio sotto il tronco della quercia millenaria e il chiarore del grande disco lunare rendeva possibile ammirarla.

Una  lunga e leggera tunica di un azzurro molto tenue la copriva dal collo ai piedi e aderiva al corpo snello e sinuoso.

Una cascata di riccioli rossi si riversavano sulle spalle esili e dritte, mentre gli occhi grandi e verdi lo fissavano con espressione a metà tra la curiosità e il timore.

La carnagione estremamente chiara rendeva ancora più irreale la sua bellezza.

Portava al collo una ghirlanda formata da fiori e foglie intrecciati con cura. Le mani erano congiunte in una posa  di attesa e serenità che non lasciava intravedere nulla dell’ansia e della paura che avrebbe potuto provare.

 

Il ragazzo restò immobile e inerme, incapace perfino di pensare per un istante che sembrò un’eternità.  

Poi il suo sguardo si fece assente, ed ella accennò a voltarsi in un’altra direzione come fosse ora attratta da altre invisibili presenze.

Quindi, come se il suo corpo fosse composto da pura aria, si allontanò lentamente quasi volteggiando sul terreno.

Chris si scosse dal suo torpore

Aspetta! Qual è il tuo nome? –urlo quasi queste parole con voce resa aspra dall’amarezza.

Senza ricevere risposta e con addosso la terribile sensazione di averla  per sempre, l’uomo provò inutilmente a rincorrerla, ma lei era sempre più distante e presto i suoi diafani contorni svanirono nella notte.

Quella notte attese ancora a lungo sotto la quercia millenaria, ma la creatura dalla veste azzurra non torno a fargli visita.

Il grande astro celeste appariva ora più spento e il grande albero che troneggiava sopra di lui e che fino a poco tempo prima sembrava pulsare di una vita propria era mutato in un desolato guscio vuoto.

Poi tutto si oscurò di colpo e un suono secco e metallico rimbombò nelle sue orecchie.

Si risvegliò debole e affaticato in una sera ormai inoltrata.

 

 

IV

 

Fitte intermittenti di dolore gli attraversavano la testa mentre fissava la spia lampeggiante della segreteria telefonica. Guardò l’orologio.

Erano le 18.15 e il dispositivo automatico che regolava la massima esposizione giornaliera ai D.M aveva fatto il suo dovere riportandolo nel mondo reale. 

Nonostante i paliativi che le case produttrici avevano apportato negli ultimi anni per addolcire il passaggio tra il sogno indotto e il risveglio, quello rimaneva ancora un momento critico anche nel caso di un normale finale di partita cioè non dovuto alla tragica e dolorosa morte del giocatore.

Il risveglio indotto dal dispositivo automatico al decorrere dei 200 minuti era però il peggiore.

Dopo lo shock iniziale i ricordi affluirono come al solito tutti d’un botto, come se un treno di immagini e sensazioni lo avesse investito.

Quella notte e la gran parte del giorno successivo Chris la passo a chiedersi cosa fosse veramente successo.

La prima idea che formulò fu quella di uno scherzo di Eric o comunque di una manomissione del gioco da parte di qualcuno.

Questa ipotesi, apparentemente la più logica, poteva però essere tranquillamente scartata perché Chris non permetteva a nessuno di visionare il suo lavoro, si limitava  commissionare ad alcuni colleghi o società specializzate singoli  pacchetti e componenti che  poi controllava e ricontrollava attentamente proprio per rilevare l’eventuale presenza di  programmi spia.

Inoltre una serie di password e una chiave limitavano a lui soltanto l’accesso a  Nolan. 

Analizzò minuziosamente il software del gioco, ispezionò i file più nascosti, effettuò a più riprese scansioni per individuare eventuali virus. Soprattutto verificò che i programmatori non avessero inserito entrate laterali o Easter Eggs nel codice.

Purtroppo se volevi i meglio dovevi avere a che fare con i crackers.

Ti davano qualcosa e, a lavoro finito, rientravano nel software e si appropriavano anche del resto. Era così che le protezioni venivano spezzate.

Risultato: milioni di copie pirata invadevano il mercato poco dopo della presentazione del prodotto.

Poi toccò alla parte fisica.

Smontò pezzo per pezzo i componenti dell’hardware ma non rilevò alcun malfunzionamento, d'altronde attribuire quell’incredibile evento ad un problema di hardware era come sostenere che da un bicchiere che si frantuma al suolo potesse originarsi la nona di Bethoven. 

Non avendo trovato nulla di anomalo passò a percorrere i tentativi più disperati.

Pensò con un pizzicò di ironia che la possibilità di interferire nei DM da parte di oscuri enti governativi era fortunatamente ancora solo una fantasia di qualche bizzarro teorico della cospirazione.

Infine appellandosi alle sue scarse nozioni di biologia e medicina cominciò a chiamare in causa improbabili sintomatologie di disfunzioni cerebrali.

Alla sera del secondo giorno aveva ormai gettato la spugna.

Un forte stato di smarrimento lo aveva colto e lo aveva convinto a sospendere momentaneamente ogni tipo di lavoro.

 

Nei giorni successivi uscì con gli amici e si attardò con loro più del solito nel tentativo di distrarsi e di non pensare più a quanto era accaduto.

Riuscì parzialmente nell’intento seppure quei muti interrogativi che cercava così decisamente di reprimere occupavano ancora una parte della sua mente e riuscivano di tanto in tanto a riaffiorare.  

 

Solo dopo una settimana esatta riprese il lavoro interrotto.

Quella mattina il suo principale Edward  Manning gli aveva chiesto notizie sullo sviluppo del gioco e Erik si era dovuto arrampicare sugli specchi per nascondere i problemi che ancora lo sconvolgevano.

Alla fine adducendo qualche credibile difficoltà tecnica aveva guadagnato tempo.   

 

Così nel pomeriggio riuscì a trovare la forza di collegarsi di nuovo al gioco.

Inserì la password per il quinto livello e si ritrovò all’interno di una grossa capanna di legno ornata di un lungo e massiccio tavolo, e da alcuni arazzi colorati sulle pareti.

Qui un uomo alto rude e barbuto vestito di un pesante cappotto di pelle d’orso e larghi pantaloni di lino gli impartiva ancora una volta l’ordine di trovare i due bambini dispersi.

Prima ancora che Marduk il capovillaggio avesse finito di parlare Chris aveva lasciato la capanna ed era già sotto e alte palizzate del piccolo villaggio.

Seguito dal solito drappello di compaesani munito di torce e bastoni e nonostante i consigli di alcuni viandanti che l’indirizzavano al fiume, questa volta puntò subito verso la campagna a sud di Nolan dove avrebbe potuto trascorrere le ore che lo separavano  dalla notte sfogandosi sui briganti.  

 

Il suo unico obiettivo infatti non era quello di completare il livello ma solo quello di ripresentarsi nello stesso luogo alla stessa ora in cui si erano verificati gli eventi della precedente avventura.

Quando calcolò che quell’ora fosse giunta si affrettò ad abbattere un ultimo avversario dopodiché abbandonò i compagni e iniziò a tornare verso nord.

Quando la sottile pioggia battente spense l’ultima fiammella della sua torcia sollevò istintivamente lo sguardo verso l’orizzonte.

Eppure la scena che osservò era solo una pallida e malriuscita imitazione di quel quadro di ricordi che nonostante i lunghi giorni trascorsi rimaneva così vivido nella sua memoria.

Fu sopraffatto da molte sensazioni confuse e contrastanti, ma sullo smarrimento e sul sollievo prevalse l’amarezza.

Cresceva ora in lui la convinzione di essere un ingenuo e uno stupido mentre tuttavia s’incamminava  verso la collina e la risaliva.

Quale incredibile contrasto tra l’affannoso arrancare di ora e il trepidante instancabile scatto che aveva compiuto la prima volta, lo stesso contrasto percepibile tra la luce metallica e artificiale che scorgeva nella luna e il bagliore argenteo che ricordava.

La grande quercia millenaria era ancora spenta e desolata come l’aveva lasciata la prima volta, dopo che lei se ne era andata.

Pur privo di speranza trascorse li ancora molti minuti osservando con indifferenza il villaggio in lontananza, dove gli spostamenti ripetitivi e automatici di minuscole luci segnalavano che la ricerca dei bambini stava ancora continuando.  

Con l’animo colmo di delusione pensò che qualcosa o qualcuno si era preso gioco di lui e l’aveva ingannato crudelmente.     

Si accasciò sulla terra fredda e umida alla ricerca di un’impossibile sonno ristoratore, attese finché il suono secco e metallico lo riportò nel mondo reale. 

 

 

V

 

Altro tempo trascorse e Chris pur senza alcuna voglia dovette procedere nel lavoro di programmazione del gioco fino a elaborare l’ultimo livello in cui il protagonista avrebbe dovuto condurre il popolo della ormai fiorente città di Nolan a unificare i territori circostanti sotto la sua insegna che raffigurava un dragone blu rampante.     

Tornando in trionfo dalla città sotterranea dei nani, Minas, l’ultima roccaforte nemica, Chris dovette riconoscere che nonostante la poca voglia con la quale aveva lavorato quelle sequenze erano cariche di un certo fascino. 

Due ali di folla festante e colorata si aprivano al passaggio degli addolorati e malconci cavalieri reduci dalla lunga campagna di conquista.

Gli effetti sonori predisposti su misura dalla MTsound creavano un continuo e variegato sottofondo in cui le urla stridule dei ragazzini, le acclamazioni degli adulti, le voci accalorate e petulanti delle matrone, gli inni votivi dei sacerdoti e le benedizioni degli stregoni si mescolavano senza tuttavia mai degenerare in un indistinto brusio.

Molto caratteristico era anche il ritmico battere degli zoccoli del cavallo sopra il ponte lavatoio.

Per il cavallo si era ispirato molto al modello che aveva  visto nel gioco di Erik, cambiando però il nome da Hylos a Saar.

Quando giunse in vista del perimetro delle solide mura in pietra, le sentinelle azionarono il meccanismo che faceva ruotare il ponte levatoio. 

Una volta entrato nella Piazza maggiore della città, osservò l’espressione bonaria e soddisfatta di re Marduk II, che dall’alto palco di legno ricoperto di tendaggi colorati sfoggiava la nuova corona appena modellata da un esercito di fabbri e di artisti, il lungo mantello dorato, e gli abiti di lino rosso e ocra finemente lavorati.

 

Il re con un perentorio gesto della mano zitti il fastidioso vociare della folla e  chiamò a se il più prode fra i suoi guerrieri.

Il panciuto sovrano era deciso a prolungare il più possibile quel momento di giubilo e di gloria e con aria solenne riprese:

“Sono vecchio e stanco e non ho più la forza di occuparmi di tutte le enormi incombenze che spettano ad un re. Sono però felice di abdicare in favore del più valoroso e saggio tra i nostri cavalieri.”

Ora  pronuncia il giuramento che ti vincolerà per sempre a questo popolo e a questa terra”

Mentre gli rimbombava nelle orecchie l’assordante e prolungata acclamazione della folla Chris raccolse dalla mano dell’anziano sovrano l’antica e grossa pergamena ingiallita e inizio a pronunciare ad alta voce il suo contenuto.

“Dinnanzi al popolo di  Nolan oggi mi impegno solennemente e giuro fedeltà a…..”

Fu come se un ricordo antico e dimenticato emergesse dalle più insondabili profondità della sua memoria per riversarsi d’un botto nella sua testa.

 

Ricordò un altro giuramento fatto tanto tempo prima, forse un eternità di tempo prima, sotto l’enorme luna d’argento, davanti di fronte alla quercia millenaria.

Aveva giurato che non avrebbe permesso a nessuno di entrare a Nolan.

Le inutili parole scritte sulla pergamena continuavano meccanicamente, ma sentiva che i suoi sensi si stavano ampliando per raggiungere una nuova e indefinibile dimensione percettiva.

 

Ora la distesa rumorosa e disordinata della folla che riempiva la piazza si era trasformata in una selva di ombre insignificanti e sbiadite, ed emergeva facilmente tra di esse quel volto e quello sguardo che per sempre l’avevano rapito. Mentre qualcosa di freddo e pesante aveva preso a cingergli la testa, Chris seguiva con gli occhi il suo passo leggiadro ma deciso tra la folla.

Scivolò rapidamente giù dal palco mentre l’oggetto pesante cadeva rumorosamente per terra.

Una sottile vibrazione metallica gli fece capire che si trattava della corona del regno di Nolan.

Si fece largo con irruenza tra la gente nel tentativo di inseguire la distante sagoma azzurra che si muoveva con straordinaria agilità.

La seguì oltre le bianche mura della città, e poi ancora sulla strada verso il fiume fino a raggiungere le regolari sponde dell’Ibryn.

La ragazza allora si gettò tra le acque e spari in esse senza sollevare uno spruzzo.

Chris la imitò e le tiepide acque del grande fiume lo avvolsero come per cullarlo.

Entrambi si lasciarono trasportare dalla corrente, ma quell’essere  misterioso scendeva sempre più in profondità e Chris fu costretto a sua volta a inabissarsi finché il verdeazzurro tenue dell’acqua mutò in blu scuro, e questo si avvicinò al colore della tenebra.

 

VI

 

Mentre la luce diminuiva sempre di più e l’oscurità guadagnava terreno, chiamò a se tutte le sue forze nel tentativo di concentrarsi su quel lontano puntino chiaro che sembrava oramai sfuggirgli.

Sentiva ormai il dolore e la stanchezza sui muscoli irrigiditi dallo sforzo e l’aria gli veniva meno, sapeva che avrebbe ceduto da un momento all’altro.

Poi i contorni di quell’oggetto che fissava con tanta forza sembrarono ingrandirsi un poco, farsi più luminosi e cambiare inspiegabilmente di forma.

Fu molto sorpreso nel notare che il suo corpo indolenzito si raddrizzava da solo assumendo una postura verticale e i piedi urtarono dolcemente qualcosa di solido. 

Mentre l’indistinta entità luminosa aumentava rapidamente di volume provò timidamente ad inalare e un fiotto d’aria fresca gli riempi nuovamente i polmoni.

L’acqua tutta intorno era sparita.

Guardò ai suoi piedi e noto un regolare e fitto tappeto erboso.

Torno a guardare di fronte a se e vide la collina lontana, la grande luna che irradiava la sua luce argentea su una notte serena e senza stelle.

Ancora era stordito dal repentino cambiamento del mondo intorno a se quando una forza invisibile e ciclopica si materializzo alle sue spalle per  sollevarlo bruscamente.

Senza opporre resistenza alcuna e volando sempre più in alto verso il crinale si accorse che un mare di piccoli globi luminosi accompagnavano la sua risalita accerchiandolo da ogni lato e intersecando disordinatamente la loro traiettoria con la sua e con quella degli altri.

La mano invisibile che l’aveva così a lungo trasportato lo depositò dolcemente a pochi passi dall’imponente tronco mentre i piccoli fuochi fatui che erano stati suoi compagni di viaggi  volteggiavano verso i rami e le fronde per confondersi e svanire nel limpido bagliore proveniente dalla luna.

La ragazza dagli occhi verdi e dai rossi capelli gli apparve dal nulla come la prima volta.

Chris le chiese chi fosse, come la prima volta.

Lei disse che il suo nome non aveva importanza e che era solo un’esploratrice, l’ultima del suo popolo dimenticato e maledetto, un popolo cacciato dal suo mondo, costretto a vagare da secoli alla ricerca di uno nuovo.

 

Con le sue nuove facoltà sensoriali Chris poteva ascoltare queste parole senza che lei le pronunciasse ed anche avvertire le mille imponderabili presenze che lo spiavano da mille direzioni.

 

Ma la concentrazione più alta di energia proveniva dalla quercia millenaria e gli bastava osservarne la spessa corteccia per sentire la linfa vitale che scorreva impetuosa sotto di essa.

“Cos’è questo luogo?” mormorò ancora l’uomo.

Seppe la risposta. Quella era una porta tra due mondi come tante ne esistono in questa terra e nelle altre. Esse esistono da prima di tutti i tempi e possono nascondersi in ogni più insignificante oggetto.Pochi però riescono a vederle e  riconoscerle, e chi ci riesce ha il potere di mettere n collegamento due mondi.

 

Ora la ragazza iniziava finalmente a parlare:

“Tu sei il Signore di questa terra, una strana terra.

Un mondo sterile e senza vita abitato solo dal suo creatore.

Posso leggere in te una grande silenziosa amarezza.

Noi abbiamo solo raccolto un richiamo.

Ora tu puoi decidere se aprire questa porta e far entrare il nostro popolo o richiuderla per sempre”

 

Chris si avvicinano all’albero: “ Voi avete saputo cambiare tutto. Con che coraggio potrei  rovinare questo miracolo”

La ragazza di nuovo indietreggio al suo avanzare.

“Ricorda però….., colui che percorre  due mondi corre sempre il  rischio di non far parte di nessuno di essi.”

Quelle furono le ultime parole che ascoltò prima di toccare la quercia.

Fu percorso come da una scossa elettrica che attraversò in un attimo il suo corpo e la sua anima.

L’immensa moltitudine di globi luminosi riaffiorò dalle estremità superiori della pianta, tantissimi altri apparvero dal nulla e insieme dilagarono in tutte le direzioni giù per le vallate.

Chris vedeva che la maggiorparte di essi percorrevano rapidamente un tratto fino a sparire nel buio lontano, altri però si sollevarono verso il cielo, altri ancora svanivano tra i fili d’erba o sotto la terra bruna.

Uno di essi lo abbagliò puntando minacciosamente verso di lui.

Sollevò istintivamente le braccia in una posizione di difesa, ma si accorse un istante dopo che la sfera di luce era svanita all’interno di un piccolo cespuglio  alle sue spalle.          

Sforzandosi di aguzzare la vista notò che molti  puntavano verso il paese.

Una volta arrivati nei pressi delle mura il flusso argenteo si biforcava, una parte virava bruscamente verso il basso per perdersi nelle placide acque del fiume mentre  la componente maggiore sorvolava la cinta muraria e calava sul villaggio.

Capì che quegli esseri di luce stavano infondendo la vita nel corpo artificiale di quel mondo.

 

 

EPILOGO  

 

Quella sera avrei voluto correre al villaggio dal vecchio Marduk e da tutto il resto del mio popolo, ora anche loro hanno un’anima e non sono più soltanto ammassi di byte, ma il dispositivo automatico dei 200 minuti mi ha riportato ancora una volta alla realtà.

 

Lo ha fatto per l’ultima volta.

 

Sono riuscito a disattivarlo

 

Ora sarò io a decidere qual è la realtà.

 

In questo ultimo mese ho lavorato molto.

Il progetto Nolan  è svanito e forse la  Flynet da ieri mattina ha iniziato a cercarsi un  nuovo programmatore.

Nonostante gli improperi e le minacce di licenziamento di Manning ho bruciato mesi di lavoro e accampando qualche scusa assurda gli ho consegnato il vecchio demo di un gioco fantasy:  “Skinwolf “ che da due anni prendeva la polvere nel mio archivio.

 

Nessun  altro entrerà a Nolan.  

 

Questo vecchio e polveroso sentiero che si inerpica sulla collina dovrebbe essermi ormai familiare, ma invece mi sembra di percorrerlo per la prima volta, un insolita fatica si accumula nei miei muscoli appesantendoli.

Tanti dettagli oggi mi sembrano diversi.

Forse è vero quello che mi ha detto Eric ieri sera appena gli ho accennato vagamente qualcosa: devo avere qualche rotella fuori posto.

Eppure disfunzioni cerebrali così gravi non rientrano nella sintomatologia delle varie sindromi da “DM” tanto decantate qualche anno fa dai media.

D’altronde sono quasi certo che nessuno sulla faccia della terra ha viaggiato più ore di me con questi aggeggi infernali.

Sono ormai giunto sul crinale e la discesa mi offre un po’ di sollievo, ora ai miei piedi c’è una vasta distesa di prati fioriti, molto più belli e numerosi di quelli che avevo messo io.

Tanti piccoli volatili volteggiano sui cespugli disseminati qua e la.

In fondo alla valle c’è un ponticello di pietra che attraversa un fiume.

In cima ad una seconda collina di fronte a me si vede chiaramente un grande albero.

Forse tutte le cose che ho creduto di vedere, le parole che ho creduto di ascoltare  e le sensazioni che ho immaginato di provare nei giorni passati potrebbero essere soltanto l’effetto di uno di quei terribili virus dell’ultima generazione. Si dice che agiscano non più soltanto sul software ma direttamente sui recettori della corteccia  e ti rivoltino il cervello come un calzino.

Oppure potrebbe essere tutto reale.

Non so quale di queste ipotesi sia corretta, non m’interessa, ormai ho fatto la mia scelta.

Il corso del fiume ha compiuto una lieve curva verso nord e ora posso scorgere la cinta muraria del villaggio.

 

Non so neanche se funzioneranno ancora la normale vie d’uscita del gioco.      

 

Forse tra poco non sarò più in grado di distinguere quella porta tra due mondi.

Sono davanti al ponte levatoio che lentamente ha preso ad abbassarsi.

Le sentinelle mi salutano, ma non mi sembrano le stesse delle altre volte.

La dentro il cambiamento deve essere già iniziato.

Le nuove sentinelle mi hanno portato il mio cavallo, con il quale potrò raggiungere il Castello più velocemente, poi mi informano che la notte scorsa hanno messo in fuga  tre arcieri sconosciuti che s’avvicinavano di nascosto alle mura. Ci sarà ancora da faticare per proteggere il Regno.

Sono al castello.

 

Tutti hanno lavorato sodo in mia assenza.

Una nuova torre è stata costruita e un grande stemma con l’insegna del dragone blu è scolpita sotto i suoi merli.       

Dentro il castello naturalmente c’è la regina.

Ha i capelli rossi e gli occhi verdi.

E’ strano pensare che non conosco ancora il suo nome.

 

 

Golem