Racconti Fantasy

Zoppicando
 

Dimmi che sono cupo, dimmi che le mie frasi sono pesanti ed i miei racconti difficili…
… ma lasciami scrivere, perché è solo scrivendo che posso imparare a volare.

Zoppicando

Sulla strada del villaggio, poche ore dopo l’alba, una ragazza comparve imponente nella sua ascesa stagliandosi contro il cielo; bastone nella sinistra e la destra pronta in un saluto rivolto a tutti coloro che avrebbe incontrato, un mantello ricavato dalle pelli di diversi animali di regioni lontane, ed una coppia di orecchini creati dai migliori artigiani barbari. Alta, i capelli biondi mossi ad infiammarle il volto snello e sottile, quando si frappose al sole sembrò lei stessa un angelo celeste, inviato sulla terra per assolvere ad un compito dettato dall’alto. Eppure l’astro non le concesse a lungo di gloriarsi della sua luce riflessa, e quando lei entrò nel piccolo villaggio seminascosto nelle gole profonde delle montagne apparve solamente come una zingara barbara di esotica bellezza, senza altra arte fuori che quella che avrebbe potuto improvvisare tra un respiro ed un battito di ciglia.
Dapprima nessuno si accorse di lei, salvo qualche bambino che le sciamò tra i piedi, eccitato per la novità della sua presenza: e lei si fermò a giocare con loro, ridendo come se anche lei non avesse mai abbandonato l’età nella quale ci si poteva divertire con tutto quello che si trovava sulla propria strada. Ed infatti fu la vista delle madri a far fuggire i bimbi, spaventati dallo sguardo truce che ricevevano come compenso per non essere a fare qualcosa di utile. La ragazza si rialzò, ripulendo la propria tunica dalla fine polvere delle strade e delle piazze, ed avvicinatasi ad una delle donne più anziane cercò di parlarle, ma si sentì aspramente schernita per il proprio comportamento infantile. Incurante dei commenti aspri, lei si allontanò dal gruppo delle matrone, in cerca di qualcuno che potesse esserle veramente d’aiuto. Tentando di interpellare chiunque trovasse sulla strada, incontrò solo diffidenza ed ostilità, ma non per questo si scoraggiò, anzi, divenne sempre più insistente nelle proprie richieste. Eppure solo un muro di fredda indifferenza le si erse di fronte, sempre più alto e sempre più difficile da abbattere. A nulla valeva il suo sorriso disarmante contro chi si nascondeva dentro una gelida fortezza, inattaccabile se non da chi già vi risiedeva.
Infine, quando ormai la ragazza si stava convincendo di aver parlato con tutto il villaggio, incontrò quasi per caso una bambina di poco più di sei anni. Inginocchiatasi, in modo da avere il proprio viso di fronte al suo, le chiese: “Dove posso trovare gli anziani?”
La piccina la osservò con uno sguardo profondo, frammisto di diffidenza, ammirazione e stupore, quindi ricambiando il sorriso, rispose sicura: “Nella Hall di pietra in fondo al villaggio, tra le rocce”
“Grazie, piccola dama”
“Di nulla”
La ragazza si rialzò grata, quindi si incamminò con passo sicuro verso il luogo indicato, una grande sala ricavata in una caverna, dove spesso si riunivano i guerrieri e gli anziani per deliberare delle faccende del villaggio o per festeggiare qualche occasione speciale. Non era così difficile raggiungerla: l’entrata era ad un’estremità di una grossa piazza ovale, dove i resti di un fuoco morente e l’odore ancora aleggiante della carne cotta fecero pensare alla ragazza di essere giunta in un momento particolarmente propizio per il villaggio. Ed infatti nella grande hall di pietra, all’estremità di un lungo tavolo illuminato a giorno da un numero imprecisato di torce, gli anziani erano intenti a prolungare la festa che si era consumata nei giorni precedenti. Felice, la ragazza si avvicinò a loro senza indugiare oltre, ma si sentì fermata, dapprima a parole e poi fisicamente, da due guardiani apparsi come spettri dalle poche insospettabili ombre dell’immenso ambiente. Cercando di ingraziarsi la benevolenza dei guerrieri, la ragazza iniziò a pregarli, pure senza troppa deferenza né lusinghe, ma usò le parole in maniera sapiente al punto da farsi notare dagli anziani, che ben presto giunsero di persona, attratti dalla voce di lei. Superato così l’ostacolo delle guardie, la ragazza si trovò a convito con i capofamiglia del villaggio, come aveva sperato. I convenevoli furono pochi e, ognuno con di fronte un boccale di birra, ben presto si giunse a parlare di ciò che era veramente interessante.
“Chi sei, e perché sei qui?” le parole vennero pronunciate con un tono sferzante da un uomo ormai più che ottantenne, secco e piccolo, dallo sguardo infiammato e nervoso.
“Chi sono, questo non ha la medesima importanza del compito che mi conduce presso di voi: il vostro villaggio è in pericolo ed è mio compito essere qui per dirvelo”
“Quindi tu sei un messo del nemico che ci minaccia” dedusse un altro, che vestiva come uno studioso.
“Non lo sono, perché dici questo?”
“Perché se tu sei a conoscenza di un pericolo, o il pericolo è naturale ma allora tu non potresti saperlo a meno che non fossi una dei Nove Dei, oppure il pericolo viene da una forza nemica che ci vuole invadere, ed allora tu sei un messo di questo nemico”
“Il tuo ragionamento può essere errato” si aggiunse prontamente un uomo dalla voce profonda, anticipando la risposta della ragazza: “Il pericolo potrebbe venire da una forza nemica, ma chi ti dice che non sia effettivamente un Dio a rivelarlo a questa ragazza?”
Lo sgomento calò tra i nove vecchi, che iniziarono a parlare animatamente tra loro, ignorando completamente la ragazza, ancora seduta a sorseggiare la propria birra. Spesso gli occhi di lei venivano rapiti dalla danza affascinante del fuoco delle torce, perdendosi nel fulgore delle vampe ardenti. Improvvisamente si alzò, ed andò a mettere una delle sue mani in mezzo alle fiamme. Il suo urlo acuto riecheggiò nella hall per diverso tempo, ed interruppe bruscamente la discussione dei vecchi.
“Perché l’hai fatto?” domandò il saggio.
“Perché volevo sentire l’energia del fuoco”
“Non potevi accontentarti di vederla?” continuò egli.
Per tutta risposta la ragazza staccò la torcia dalla sua sede, spegnendola contro il muro, quindi di nuovo toccò il carbone spento con la stessa mano, urlando nuovamente dal dolore, seppure più sommessamente.
“Perché l’hai fatto?” domandò nuovamente il saggio.
“Perché volevo farti capire che l’energia non si vede, ma si sente”
L’uomo stava già per replicare, ma fu fermato.
“Sei stolto se credi che l’energia sia visibile” spiegarono all’unisono una vecchia voce grave ed una giovane voce di ragazza.
“Ed ora sediamoci ad ascoltare” concluse il più anziano dei presenti, battendo con forza il suo boccale sul robusto tavolo, invitando la ragazza a tornare al posto che le era stato assegnato.
Lei fece come le era stato richiesto, ancora soffiando sulla mano doppiamente ustionata, quindi dopo un sorso di birra fece cenno ai nove uomini di porre domande.
“Cosa ci minaccia?”
“Non lo so”
Ancora una volta un moto di insofferenza e stizza contagiò gran parte dei presenti, ma a questo punto fu la ragazza stessa ad alterarsi. Visibilmente stanca di essere messa sotto analisi ad ogni sua affermazione, alzò la voce, che risuonò a lungo in tutta la hall, anche dopo che lei ebbe finito di parlare. Il suo racconto, terribile nella sua semplicità, avrebbe potuto essere compreso addirittura da un bambino, ma il suo senso era reso oscuro persino al più dotto dei sapienti ed al più erudito degli studiosi; le immagini che si affollavano negli occhi di lei si riflettevano negli sguardi tetri e negli animi sgomenti dei nove anziani, attoniti ed increduli di fronte a ciò che avevano la possibilità di udire una volta sola nella loro vita. Nessuno però poté dubitare a lungo della veridicità delle parole della ragazza. E questa volta solo il silenzio la accompagnò mentre tornava a sedersi, tremante e sull’orlo delle lacrime per ciò che aveva dovuto ricordare per il bene degli altri. Nascondendosi dietro il boccale levato ma ormai quasi vuoto, la ragazza attese.
Dapprima i commenti furono pochi e cauti, ma poi la maggior parte degli anziani si sentì propensa ad attribuire valore profetico alle parole udite, e ad agire di conseguenza per prepararsi a fronteggiare la sventura vicina. Già gli sguardi di molti si stavano addolcendo nel loro giudizio, quando una nuova voce sferzò l’aria e richiese il silenzio.
“Sta delirando!” esclamò lo studioso, “Non è abituata alla nostra birra, e l’alcool le ha provocato queste visioni” concluse, smorzando l’entusiasmo di tutti i compagni e chiudendo la questione.
La ragazza si alzò, sbattendo con violenza il proprio boccale vuoto sul tavolo, quindi si allontanò a grandi passi, stringendosi nella sua lunga tunica per celare il suo pianto prorompente. Le robuste assi di acero, che avevano sopportato senza una scalfittura il peso di mille e più feste di potenti guerrieri, vennero incrinate da quel colpo inferto da una giovane donna.

La ragazza fu trovata da due bambini che giocavano a nascondino: volevano rifugiarsi in una piccola nicchia celata da alcuni pinnacoli di roccia che circondavano il villaggio, ma con sorpresa trovarono il loro posto preferito già occupato da un’intrusa.
“Perché piangi?” chiese il più piccolo, un ragazzino di circa quattro anni.
“Sei triste perché nessuno gioca con te?” chiese l’altro, maggiore di circa un anno, al vedere che lei continuava a singhiozzare senza quasi curarsi di loro.
Dopo diversi istanti, quando già i due stavano per andarsene, la ragazza alzò la testa, cercando di trattenere le lacrime e le scosse di tremore che la assalivano aritmicamente.
“Sono triste perché nessuno crede nelle mie storie”
“Qual è la storia a cui non credono?”
Lei, in vece di risposta, iniziò a narrare il racconto che aveva già pronunciato presso gli anziani. I bimbi rimasero affascinati ad ascoltarla, nonostante il crudo terrore che minacciava di assalirli di quando in quando, e non osarono interrompere la straniera fino a quando lei stessa non smise di parlare. Una risata acida spaventò i tre, ed un ragazzo di circa quattordici anni avanzò nel piccolo spiazzo, insultando i bambini e ricoprendo di scherno la giovane.
“Non appena i guerrieri saranno tornati, racconterò cosa ho sentito, e mio padre ti farà impiccare per aver raccontato queste frottole a due poveri bambini indifesi di fronte alle tue bugie” gridò, quindi prese per i capelli gli altri due e li costrinse ad andarsene.
“Ed io lo dirò a Raman, quando tornerà dalla caccia, ed allora sarà tuo padre a doversi difendere per evitare l’impiccagione” esclamò il minore, prima di ricevere un violento schiaffo sulla bocca da parte del più grande.
“Tu non dirai niente a nessuno, se ci tieni alla tua vita”
Vibrando di indignazione, la ragazza dovette trattenersi per non intervenire, ma le immagini che aveva rievocato per la seconda volta in un solo giorno la costrinsero a zittirsi. Assistendo impotente alle angherie del maggiore sui piccoli, li seguì al villaggio, scoprendo che per tutti era giunta l’ora del desinare. Le strade semideserte erano attraversate solo da poche donne che si affrettavano al pozzo per un ultimo rifornimento d’acqua, oppure da ragazzini e bambini che correvano a casa per evitare di arrivare in ritardo alla distribuzione del cibo. Stranamente, notò la ragazza, non c’era un solo adulto in paese, fatto salvo per i nove anziani e le loro due guardie, per il resto le uniche persone ad avere superato la maggiore età erano lei e le altre donne del villaggio. Eppure tutto quello le sembrava normale, mentre era solo lei ad essere l’elemento anomalo all’interno della piccola comunità.
Avvicinatasi al pozzo, fece per immergere il secchio nel profondo della terra per trarne l’acqua, ma si sentì fermare da una delle guardie degli anziani, che era giunta palesemente solo per impedirle di bere. La ragazza si sedette sul bordo della piccola panchina di pietra ricavata accanto al pozzo, e sentì chiaramente il soldato che prendeva posto dietro di lei, imitando le sue mosse. Accennando ad alzarsi, vide che anche l’altro si alzava, se lei si spostava le sue mosse erano prontamente eseguite dalla guardia. Sorridendo, la ragazza si rilassò, svuotando la mente da ogni rumore e da ogni immagine, raggiungendo una condizione di tranquillità interiore agognata da molti, quindi ripose il bastone di fianco a sé e con le mani in grembo e gli occhi chiusi si fermò. Non per attendere che accadesse qualcosa, né per far passare il tempo: semplicemente smise di agire, di pensare, di manifestarsi esteriormente. Nel silenzio della sua mente lei si ritrovava con sé stessa, senza bisogno di gesti, di cenni o sguardi; neppure le idee erano necessarie, e così quando un raggiante sorriso comparve sul volto di lei fu solo per un riflesso abituale che la ragazza non volle trattenere. Nel mondo al di fuori di lei avrebbe potuto succedere qualsiasi cosa e lei non ne sarebbe rimasta turbata, se non avesse voluto; al contrario la guardia stava soffrendo momenti di intenso disagio: il tempo fluiva troppo lentamente nella sua percezione, e il sole picchiava troppo intensamente perché un guerriero in armatura potesse sperare di sopportarlo in pace, per quanto il clima fosse gradevole in quella giornata. Per l’uomo d’arme era pressoché impossibile concepire come la ragazza riuscisse a restare assolutamente immobile per un tempo che a lui sembrava interminabile, ed infatti ogni istante che passava vedeva il soldato innervosirsi sempre più, digiuno, accaldato, scomodo nonostante l’ottima fattura della panchina di pietra. Dopo aver resistito quanto più possibile, compiendo una sorta di buffa danza per cercare di secondo in secondo una posizione accettabile per il suo fisico, il guerriero cedette, imprecando violentemente ed andandosene. Rientrando nella hall di pietra, non poté non notare, affascinato, come la ragazza non si fosse ancora mossa, immobile e quasi immutabile nel trascorrere del tempo.
Lei aveva percepito con chiarezza l’allontanarsi del suo guardiano, ma non ritenne fosse ancora il caso di agire. Infine si alzò e bevve, quindi, ripreso il bastone, iniziò ad esercitarsi in un’arte meditativa, per rilassare la tensione rimanente nel suo corpo. E così da semplici gesti venivano evocate figure di guerrieri a cavallo, di fiere selvatiche e arcieri, ma solamente gli occhi di un bambino avrebbero potuto capire senza spiegazioni come tutte quelle mosse si ricongiungessero in un insieme armonico e sensato. Ripetendo l’esercizio più volte, la ragazza giunse ad una condizione di rilassamento fisico e mentale quasi sconosciuto alla maggior parte delle persone, quindi tornò al pozzo e, sdraiatasi sulla panchina di pietra, iniziò ad osservare il cielo terso del pomeriggio. Il sole, coperto da una delle poche nubi dense, non la disturbava, e così lei poteva ammirare l’azzurro limpido senza essere abbagliata. Ma presto anche la sua attenzione venne meno, attirata dal grande movimento che si stava verificando dalla parte opposta del villaggio: alzatasi, seguì la moltitudine di donne e bambini dirigersi verso l’ingresso della conca di pietra, dove vide una schiera di guerrieri di ogni età ritornare in trionfo da quella che la ragazza capì essere stata la naturale prosecuzione della principale battuta di caccia della stagione. Osservando da relativamente lontano come tutti si stessero rallegrando dell’arrivo degli uomini, anche lei non poté fare a meno di sentirsi sollevata, quasi partecipe della gioia della comunità. Quando gli anziani le passarono di fianco, per lo più riservandole un’occhiata truce, lei replicò con un sorriso solare, lasciando sbigottiti i nove, che si affrettarono ad allontanarsi verso i capi della spedizione. Le congratulazioni che molti dei capofamiglia scambiarono con i guerrieri sembrarono vuote alla ragazza, che le confrontò con gli sguardi avidi o compiaciuti che tutti lanciavano invece alle prede cacciate; mentre erano pochi quelli che si preoccupavano di conservare la selvaggina e iniziare a calcolare quanto tempo sarebbero durate le provviste. I più si diressero a gruppi verso le proprie dimore, accompagnati dalle mogli e dai figli più giovani, taluni dalle madri e dai fratelli, e si sentì distintamente come una nuova festa fosse sul punto di essere celebrata. La ragazza vagò senza meta per il villaggio, notando ovunque come molti piccoli particolari fossero cambiati rispetto alla mattina, e l’atmosfera generale fosse decisamente meno grave rispetto a quando lei era giunta al paese. Eppure non cambiarono gli sguardi ostili che le donne le riservavano al vederla, e ben presto anche gli uomini ed i ragazzi, condizionati da un giudizio altrui, iniziarono a guardarla con diffidenza e sospetto. Intristita da ciò, la ragazza si allontanò dalle residenze, tornando quasi per caso all’ampia piazza di fronte alla hall di pietra. Anche se all’aperto non c’era nessuno, vuoi per il giorno che ormai volgeva al termine vuoi per altri motivi, dalla grotta proveniva un sommesso vocìo, ed alle voci ormai note degli anziani erano aggiunte anche quelle più giovani di alcuni guerrieri tornati dalla caccia. Per qualche istante la ragazza si illuse di aver sentito anche le parole di qualche ragazzo, ma si convinse presto di essersi ingannata. Sedendosi ancora una volta di fianco al pozzo, attese con pazienza che la sera si svolgesse, conducendo nuovi eventi.

Il sole era ormai calato dietro la cresta che delimitava la conca naturale del villaggio, ma già diversi tra uomini e donne avevano preparato un grosso falò, che rischiarava la sera e scaldava l’aria attorno alla piazza principale. Pian piano diverse persone si recarono nella hall di pietra, passando ognuno di fronte alla ragazza, che non venne mai degnata di uno sguardo. Ogni tanto qualcuno giungeva ad attingere l’acqua al pozzo, ma, chiunque fosse stato, uomo o donna, ognuno cercava di fuggire gli occhi allegri e semplici della ragazza.
Dopo qualche tempo, ad un’ora convenuta, le case si svuotarono, e tutti si riunirono attorno al fuoco. Gli anziani tennero una breve arringa, elogiando l’operato dei cacciatori ed ostentando sicurezza sulle sorti future del villaggio. Finita la loro orazione, si levò nell’aria un invitante odore di carne cotta, e canti festivi si levarono prorompenti verso il cielo, mentre danzatori accompagnavano le melodie.
La ragazza si alzò, sorridendo indolente, e dopo aver riattivato la circolazione negli arti rimasti immobili a lungo si mise a sua volta sulla strada della piazza, senza aspettarsi nulla dal futuro ma fiduciosa nella comprensione degli uomini. La scena che le si parò di fronte era tale e quale lei aveva immaginato, tale e quale lei aveva visto in mille e più occasioni. Non le fu difficile raggiungere gli anziani, e nessuno si volle scomodare per fermarla: ognuno riteneva che quello fosse il compito di altri, e la birra bevuta aveva notevolmente aumentato la loro indifferenza. Neppure le guardie personali dei capofamiglia erano ancora in servizio, e la ragazza ne riuscì a scorgere una o due in mezzo alla folla danzante, ognuno con una compagna femminile.
Quando infine raggiunse gli anziani, raccolti su una massiccia panchina di pietra trasportata nella piazza dalla hall, si accorse con sorpresa di essere attesa: insieme ai nove capofamiglia sedevano anche un ragazzino ed un guerriero massiccio. Senza lasciarle il tempo di pronunciare parola, lo studioso si alzò, e con voce stridula iniziò ad apostrofarla con appellativi ingiuriosi, mentre il ragazzo confabulava a bassa voce con gli altri. Solo l’uomo dalla voce profonda si levò a spiegare, dopo aver zittito a fatica l’altro, le accuse che si muovevano alla ragazza. Stupita, lei fece per spiegarsi, ma fu fermata dal guerriero che, alzandosi, le intimò di restare silenzio, e, afferratala per un braccio, la trascinò nel mezzo della piazza. Qui, fermata la festa con un solo gesto della mano, l’uomo gridò a tutto il villaggio il crimine di cui la ragazza si era macchiata. L’orazione fu lunga, e riprese in numerosi punti i passaggi più controversi della storia raccontata agli anziani ed ai due bambini, ma ogni passaggio della visione era stato distorto e manipolato, cosicché il messaggio che giunse alle orecchie di tutti fu una grottesca ombra di ciò che la ragazza aveva voluto comunicare. Quando infine il guerriero terminò di urlare, e quando la piazza era ormai infiammata contro la straniera, lei cercò di mostrare la falsità delle parole dell’uomo, ma nessuno volle stare ad ascoltarla, ognuno gridando contro di lei e per una sua condanna. Gli anziani si alzarono, proponendo una rapida esecuzione, ma la folla urlò il proprio scontento, e chiedendo un’altra pena.
Al sentire la richiesta del popolo, i capofamiglia rabbrividirono, mentre il guerriero ed il ragazzo esultarono, in cuor loro. Una robusta trave venne subito portato nel centro della piazza, nei pressi del falò, e venne trattata in modo da resistere al fuoco; il guerriero, dopo aver visto che le percosse non erano sufficienti a fiaccare la forza della ragazza, la fece legare da quattro uomini robusti, che infine la incatenarono al palo, che venne issato per mezzo di funi nel centro esatto del rogo.

I capelli furono la prima cosa a prendere fuoco, e si incenerirono nell’arco di pochi secondi, quindi anche le vesti iniziarono a bruciare, mentre le carni erano prese d’assalto dalle lingue infuocate. Nuovamente il vento levatosi diffuse nel villaggio odore di carne cotta, e molti furono assaliti da conati di vomito associando ciò che avevano mangiato al delitto che si stava compiendo dinnanzi a loro.
La ragazza cantava. La voce misurata, l’intonazione perfetta e calda, il suo canto si levò nell’aria avvolgendo ogni cosa, affascinando i bambini, le donne e gli uomini, che mai avevano udito una melodia così lieve e gentile.
Diverse menti ne rimasero sconvolte: una ragazza bruciata viva che, tormentata da dolori inimmaginabili, aveva l’autocontrollo necessario per non cadere nel panico, per non cedere alle sofferenze strazianti e soprattutto per intonare un canto di tale bellezza non meritava certo di finire in quel modo. Gli anziani furono scossi dalla perfezione delle parole, e molti di loro si pentirono di ciò che avevano appena concesso di fare.
Chiudendo gli occhi per difenderli dalle fiamme vive, il volto rivolto verso il cielo e verso le stelle, splendenti in tutto il loro fulgore, la mente rivolta al canto e chiusa al dolore che lentamente la stava consumando, la ragazza si sentì lentamente divorare, ma cercò di ignorare quanto più possibile quella sensazione, aggrappandosi solamente ai ricordi piacevoli della vita passata. Non voleva morire portando con sé il dolore di quell’ultimo attimo, ma avendo negli occhi e nella mente tutto ciò che di bello aveva trascorso.
Gli anziani sciolsero la festa, ed intimarono a tutti di recarsi ognuno alla propria dimora, chiudendo accuratamente porte e finestre, per non sentire quel canto e per non vedere o percepire in alcun modo ciò che stava avvenendo. Eppure, nonostante i tentativi di arginare quel suono armonioso che creava strazio negli assassini, persino la grande hall di pietra risuonò a lungo della canzone della ragazza, tanto che, il mattino successivo, quando già lei era morta da tempo, in molti cedettero che la sua voce stesse ancora aleggiando nell’aria. E nessuno riuscì mai a scordare quelle note, che si erano imposte per la loro unica bellezza, il canto di morte di una veggente bruciata viva.

E quando giunsero i battaglioni di un reame lontano, nessuno era pronto a sostenere quell’impeto; eppure, finché il guerriero e l’anziano studioso furono in vita, si combatté disperatamente per giorni interi. Fu solo quando troppi corpi giacevano ormai nella polvere e nella morte che Raman poté farsi avanti con qualche autorità per negoziare una tregua. Quel giorno si poterono levare lamenti funebri, ed una nuova pira venne innalzata.
Mancavano solo due persone al conteggio dei defunti del villaggio: due bambini, che vennero ritrovati; uccisi, come poi si seppe: sgozzati dal figlio del guerriero il giorno del rogo della veggente.

Voltandosi indietro un’ultima volta, una ragazza bionda, con bastone nella sinistra,un mantello ricavato dalle pelli di animali delle regioni barbare ed una coppia di splendidi orecchini ad esaltare la sua già grande bellezza, tornò a posare i suoi occhi tristi sulla triste sorte che gli uomini avevano scelto per sé stessi.
Volgendosi verso l’alba, intraprese il suo ultimo viaggio: zoppicando, si allontanò su ali d’argento.
 

 

Raileen Whisperwind