Sir Yorik
Custode della Biblioteca Reale

 

...Ricordi...

 

Mentre il sole calante lascia filtrare i suoi ultimi raggi attraverso le vetrate della sterminata Biblioteca Reale, mi aggiro nel labirinto di scaffali ormai in penombra, migliaia e migliaia di testi incombenti ai miei lati, ognuno col suo fardello di sapere a volte così oscuro e minaccioso da emanare una sensazione di disagio anche dai libri chiusi. Non per me, però, che ormai ho cominciato a chiamare questo luogo polveroso e poco frequentato col rassicurante nome di "casa".
Con passi lenti ma sicuri, nonostante l'oscurità incombente, con qualche tomo dalla copertina consunta sotto il braccio, passo sovente di fronte al grande specchio incorniciato d'oro e di ragnatele che qualcuno deve aver portato qui molto tempo addietro, quando forse il suo posto in una delle sale della Reggia è stato occupato da un altro più nuovo e sfarzoso. Quando vi giungo davanti, mi capita di fermarmi e incrociare lo sguardo con me stesso riflesso. Vedo la mia figura magra e scarna, che spesso ha portato gli avversari a sottovalutarmi, abbigliata con la comoda veste color ruggine, dalle ampie maniche. Vedo il mio volto spigoloso incorniciato da corti capelli e un pizzetto prematuramente brizzolati, gli occhi grigi infossati che tradiscono il prezzo pagato per il tempo trascorso chino sui libri. Questo è il riflesso di Yorik il Custode.
Quello che lo specchio non riflette, ma che a me pare di scorgere guardandovi dentro, sono i ricordi di ciò che mi ha portato ad essere ciò che sono.
Nacqui come Yorik di Lochs, secondo figlio maschio di Sir Astor di Lochs, in un umido e piuttosto modesto maniero nella regione di Flanmoor. La mia famiglia era di ben piccola e decaduta nobiltà, quindi come si può facilmente immaginare l'unica soluzione per mantenere  possedimenti al di sopra del minimo di sussistenza era quella di attenersi rigidamente alla legge del maggiorascato. Ne consegue che per me fu prevista una carriera che avrebbe portato la mia bocca fuori dal tetto avito.
Mio padre, orgoglioso nella sua nobile povertà, avrebbe voluto fare di me un cavaliere, in modo che acquistassi la gloria per il mio nome sui campi di battaglia. Egli ricordava con nostalgia i tempi in cui il suo braccio era stato valente, prima che un fendente recidesse i legamenti del gomito, e avrebbe voluto che continuassi dove lui si era dovuto fermare.
Apparve presto ben chiaro, però, che non avevo la minima predisposizione per il mestiere delle armi. Il mio fisico, sottile e gracile, a malapena riusciva a sopportare il peso dell'armatura e delle armi; il mio scarso peso faceva sì che fossi facilmente disarcionabile nello scontro a cavallo e poco incisivo nella lotta a piedi, in cui conta molto la massa. Inoltre i miei interessi andavano in tutt'altra direzione, avendo io ben presto sviluppato una quasi morbosa passione per lo studio, che mi spingeva a prolungare le lezioni coll'anziano precettore di famiglia finché egli non crollava addormentato sul libro aperto, vittima dell'età avanzata. Anche allora spesso continuavo febbrilmente a leggere alla luce di una candela, nascosto per non incorrere nelle ire di mio padre che mi avrebbe voluto a letto per essere riposato l'indomani all'alba per gli allenamenti, mordendomi a sangue l'interno delle guance per non addormentarmi.
Alla fine, a malincuore, Sir Astor dovette arrendersi. C'era stanchezza nella sua voce e delusione nei suoi occhi quando un giorno mi presentò a Padre Brandanus chiedendo che fossi preso come novizio all'Abbazia di Wisdanor. L'unica soluzione per lasciarmi seguire le mie inclinazioni, mi spiegò, era infatti che io diventassi un sacerdote. Accolsi con gioia quella notizia, anche perché avevo ormai quasi imparato a memoria i pochi volumi ammuffiti posseduti dai miei e sapevo che a Wisdanor avrei avuto di che saziare la mia fame. Notando la delusione di mio padre, tuttavia, la mia gioia svanì e promisi a me stesso che sarei diventato un grande sacerdote, per compensare almeno in parte il fatto di non essere diventato cavaliere.
Passarono gli anni e, sotto la guida dei saggi sacerdoti di Wisdanor, la mia mente si aprì a mondi di cui non avevo nemmeno sospettato l'esistenza. In particolare rimasi affascinato dalle arti magiche, che presi a praticare con passione e curiosità, godendo della bellezza arcana di quel potere senza provare sete per il potere stesso, come a molti purtroppo accade. Man mano che la mia padronanza nella magia aumentava, al contrario la mia fede subiva una progressiva diminuzione, facendomi scivolare in una crisi di coscienza che toccò attimi di grande sconforto.
Quando mancavano ormai poche settimane alla cerimonia in cui avrei preso definitivamente i voti, mi chiusi in isolamento nella mia cella per due giorni cercando di scacciare la nebbia dal mio sentiero interiore. Alla fine capii che non avevo mai veramente avuto una vocazione religiosa, ma avevo erroneamente elaborato il mio amore per il sapere e la volontà di non deludere ancora mio padre. Mi confidai a Padre Brandanus,  il quale si mostrò molto contrariato per la mia decisione. Gli rivolsi allora queste parole: "Ci sono molti modi di pregare, di manifestare il proprio amore e la propria venerazione per tutto il creato. Io ho fatto dello studio la mia preghiera. Non prenderò i voti, perché non me ne sento degno, ma l'atteggiamento di sacralità che ho nei confronti del sapere non mi abbandonerà mai!"
Padre Brandanus chiuse gli occhi e annuì solennemente col capo, lasciando ancora una volta che la sua proverbiale saggezza  cogliesse la sincerità delle mie parole forse blasfeme.
E fu così che, destinato a deludere sempre le aspettative nei miei confronti, lasciai anche Wisdanor, con una lettera di presentazione per il Collegio della Magia di Silverain, dove finalmente trovai quello che avevo sempre cercato, anche se fui in grado di comprendere esattamente cos'era solo nel momento in cui feci il mio ingresso nella Sala del Sapere, la biblioteca del Collegio, una delle più grandi al mondo.
Io non conosco e non conoscerò mai nulla, in confronto al mare delle conoscenze che ogni razza e ogni civiltà ha prodotto. Nei tomi di Silverain, come in degli scrigni senza fondo, era custodito il tesoro più grande del mondo, l'essenza stessa del nostro essere, l'eredità degli esseri pensanti, delle intelligenze che ci hanno generato, quello che il sangue delle nostre schiatte non è stato abbastanza efficace da tramandarci. Il solo modo per comprendere in minima parte noi stessi, il massimo che possiamo sperare, è contenuto in quelle pagine fitte di segni che i nostri avi ci hanno lasciato.
Gli anni di Silverain furono certamente i più belli per me, che finalmente riuscii a diventare qualcuno nel campo dell'amata magia. Tuttavia le cose belle sono destinate evidentemente a non durare.
Provo ancora un dolore sordo e un'oscura paura nel profondo del mio petto, quando ripenso all'improvviso fragore, il soffitto che crollava mentre le pareti tremavano e poi il fuoco...
Il fuoco rosso, improvviso, mentre i maghi correvano qua e là atterriti. Era come un'inondazione di rosse acque viventi, che si inerpicavano con velocità spaventosa divorando tutto ciò che trovavano sul loro cammino. Le mie orecchie non sentivano il rombo delle fiamme e le strane esplosioni al di là di questo, sentivano solo il fragore della paura, mentre barcollando afferravo disperatamente i pochi volumi che avevo sotto mano, strappandoli letteralmente al rogo e gettandomi poi all'esterno, fumante e mezzo soffocato.
Fu allora che lo vidi. Era enorme, rosso più del bagliore contro cui si stagliava. I suoi occhi erano sfere liquide di rovente malvagità. Le pesanti ali creavano correnti che alimentavano ancora di più le fiamme prodotte dalle sue immonde fauci, mentre gli artigli ghermivano i miei compagni che sfuggivano al fuoco. Ben pochi maghi di Silverain erano riusciti a mantenersi indenni fino a scoprire cosa ci aveva aggrediti e a tentare una reazione. Ecco spiegate le esplosioni, anche se con mio sgomento vidi una saetta di energia magica scaturita dalle mani di uno dei più potenti dei miei compagni colpire le enormi scaglie rosse del mostro e svanire senza effetto.
Fuggii a rotta di collo, occhi sbarrati e fiato mozzo, mentre dietro di me il tesoro di Silverain bruciava assieme al suo scrigno e il drago terminava con crudeltà le vite dei maghi.
Non ricordo come ci arrivai, ma mi svegliai febbricitante immerso fino alla cintola in un acquitrino. Al petto stringevo ancora convulsamente gli unici resti della Sala del Sapere. Incapace di capire un simile stupro nei confronti delle vite umane e del patrimonio culturale, scoppiai in un pianto dirotto, finché persi di nuovo conoscenza.
La fortuna guardò per un breve istante verso di me, dopo avermi mostrato a lungo le spalle, così venni trovato da un gruppo di viandanti che si presero cura del mio corpo, dato che il mio spirito era al di là di ogni speranza di risanamento. Per molto tempo rimasi in uno stato di semi apatia e vidi come sognando il paesaggio attorno a me, devastato e carbonizzato ovunque, sentii appena i pianti dei sopravvissuti, annusai senza reagire l'odore del fumo e della morte. Quasi per caso afferrai un nome, mormorato da uno dei miei salvatori: "Red Dragon"...
Quando mi ristabilii un poco, i viandanti mi proposero di unirmi a loro: erano un gruppo di avventurieri, un tempo a caccia di gloria e ricchezze, ma ora, di fronte a una tale catastrofe, desiderosi di aiutare la popolazione. Accettai.
I due anni che seguirono furono come una lunga camminata nell'Inferno. Red Dragon, che agiva per pura incommensurabile malvagità, aveva seminato distruzione ovunque, e con la distruzione aveva provocato l'abbrutimento dei disperati che rimanevano a tentare di vivere con nulla tra le rovine fumanti e le carcasse dei cari. Vedemmo cose terribili, mentre cercavamo di evitare che bande di disperati si accanissero contro altri disperati. Come sciacalli, orchi e troll sciamavano sui resti delle piste di morte del drago e dovemmo combatterli a lungo, Fredegan il Guerriero con la sua spada, Cristal coll'infallibile arco, Irenya colla potenza e la misericordia degli Dei, Nightlight agendo nell'ombra ma con fini limpidi, e infine io, con la mia magia. 
 
Red Dragon sembrava non stancarsi mai, ed era una continua corsa persa in partenza cercare di anticiparlo. Potevamo solo dare noi stessi per alleviare i danni, non impedirgli di colpire.
Le mie arti magiche furono messe a dura prova e fui ferito più volte, come testimoniano le cicatrici che mi solcano il petto, le braccia e le gambe; dovetti imparare ad ignorare la gracilità del mio fisico, a supplire con la forza d'animo le carenze del corpo.
Fortunatamente mi ero reso conto che fra i libri sottratti all'incendio c'era nientemeno che il Grimorio degli Incantesimi Infiniti, uno dei più potenti testi magici mai esistiti, che ancora oggi sono molto lontano dal saper padroneggiare ma che mi ha concesso di apprendere gradualmente nuovi incantesimi man mano che le mie capacità aumentavano. Ovunque andavamo, inoltre, cercavo di raccogliere qualche libro, spesso solo qualche foglio, cercando di salvare conoscenze che sarebbero tornate utili per ricostruire il paese martoriato.
Se il Grimorio mi aiutava negli scontri, per quanto riguarda l'animo trovai conforto nella bella e sensibile Cristal. Non posso dire con certezza se il nostro fu vero amore, so solo che, oppressi dalla disperazione attorno a noi, ci appoggiammo l'uno all'altra per non soccombere e condividemmo almeno parte delle nostre anime, oltre ai nostri corpi. Non la dimenticherò mai, come non dimenticherò Red Dragon.
Alla fine lo incontrai di nuovo. Eravamo appena sbucati da una fitta foresta seguendo una scorciatoia di Fredegan, quando lo vedemmo, enorme, appollaiato come un rapace su una torre in fiamme che sbrecciava con le grinfie. Gli alberi e l'inclinazione del terreno ci avevano impedito di scorgerlo prima, così come il vento che ci soffiava alle spalle ci impedì di sentire il fumo, mentre portò il nostro odore alle sue mostruose narici.
Non c'era tempo per scappare. Del resto ero talmente accecato dall'ira che non sarei scappato nemmeno se avessi potuto. Fu questo che mi salvò: in preda alla furia afferrai il Grimorio e tentai di lanciare un incantesimo di potenza inaudita, al di là delle mie possibilità mentali. La magia sfuggì al mio controllo sviluppandosi in una forma caotica, mentre Red Dragon ci attaccava in picchiata. Gli effetti del mio incantesimo smaterializzarono il mio corpo in una nube rosata che vorticò tra gli alberi prima di posarsi a terra e ricomporsi in uno Yorik stordito e confuso. Scrollai la testa e corsi a perdifiato verso la battaglia, deciso a morire assieme ai miei compagni, vista la potenza di Red Dragon. Giunsi tardi...
Scavai tutto il pomeriggio per seppellire i miseri resti di Cristal, Fredegan, Irenya e Nightlight; il drago se ne era andato, come un incubo alla luce dell'alba.
Non so come abbia fatto a non soccombere al dolore, specie per la morte di Cristal. Forse in quei due anni mi ero indurito, forse ero solo maturato. Comunque mi aggirai sconfortato e impotente con quello che ero arrivato a definire un inutile mucchio di carta, finché non udii una voce di speranza, quasi sussurrata come se si temesse che il mostruoso dragone rosso arrivasse a bruciare anche quella.
Un bardo errante mi parlò del favoloso Regno di Blue Dragon, baluardo della libertà e della virtù contro lo strapotere di Red Dragon. Lo stesso Blue Dragon aveva combattuto più volte contro il drago rosso, sconfiggendolo. Intuendo che quella fosse l'unica strada per giungere un giorno ad esigere da Red Dragon il conto per tutto ciò che mi aveva portato via e spinto dal desiderio di trovare finalmente un luogo dove il Bene regnasse sovrano, partii alla volta del Regno.
Il mio cuore divenne via via più leggero man mano che attraversavo le verdi vallate e i floridi campi non devastati dalla furia distruttrice, ed ebbe un balzo verso l'alto quando giunsi di fronte alla magnifica Reggia, scintillante nella luce del mattino, con le sue torri tese verso il cielo come dita di mani in preghiera.
Attraversando intimorito il monumentale atrio fui attratto dalla statua di un fiero cavaliere sul cui piedistallo campeggiava il nome "Faraò". Pur non avendo la minima idea dell'identità di quell'eroe, la maestà che traspariva dal suo sguardo scolpito era tale che mi trovai ad inchinarmi rendendogli omaggio, come se dovesse essere ringraziato per tutto lo splendore che vedevo.
Più tardi, quando mi trovai nella Sala del Trono, al cospetto della triplice incarnazione di Sua Maestà Blue Dragon, anche le ultime ombre si dissiparono dal mio animo. Mi inginocchiai di fronte al fulgore e alla sensazione di quieta potenza di Palle, con il mitico spadone Elderil nella mano destra e la Yatta-Frusta nella sinistra, Gex, con le braccia solcate da scintille di pura energia magica, e Ostri, con al fianco Dulagan, la spada dei Puri. I tre sovrani accolsero la mia professione di vassallaggio e ricompensarono i volumi che portai in dono al Regno con la carica di Custode della Biblioteca Reale.
Ora sono qui, e lasciando lo specchio per rimettere al suo posto il volume e incamminarmi verso le mie stanze, la mia mente ritorna per un attimo a Silverain e alle Sale del Sapere, che forse erano meno ricche di questa biblioteca. Penso che ci vorrà il resto della mia vita per riordinare e catalogare tutti i testi qui contenuti, ma ora che ho vissuto nel mondo non sarò solo un custode, ma anche un diffusore di questi tesori, che tanto possono per tutti.
Mi concedo un pensiero lieve e contemplo la possibilità di una visita al magnifico harem, ma ricordo anche che nel mio armadio ci sono il Grimorio degli Incantesimi Infiniti, un'Anello di Protezione, un Bastone Incantato e diverse pergamene magiche, tutto pronto per essere utilizzato quando Blue Dragon mi chiamerà a combattere.

C'è sempre un drago di troppo per far sì che Yorik deponga le armi...

Grazie alla sua tenacia ed alla sua devozione, Blue Dragon ha conferito a Yorik il seguente merito:

- Onorificenza per aver contribuito in modo consistente allo sviluppo del Regno.