Racconti Fantasy

Tempi bui

 




"Non sono nessuno ma porto con me
i desideri di un  mondo"

Roma, Stato Pontificio 
6 ottobre 1410

La carrozza marciava a ritmo lento e regolare lasciando visibili scie sul sentiero umido e fangoso. Il silenzio della campagna romana, rotto solo dal lieve sibilo del vento in lontananza, sembrava fatto a posta per meditare e Martino ne aveva certo bisogno.
Era sicuro di aver fatto la cosa giusta, anche se una voce dentro di lui era sempre pronta a mettere in dubbio ogni sua scelta e questo gli dava non poco fastidio.
Era cresciuto in una ricca famiglia di origine Milanese trasferitasi da prima della sua nascita in un ridente piccolo villaggio ai piedi delle Alpi, era vissuto all'aria aperta con pecore, cani e cavalli e non rinchiuso in un buio castello e ringraziava Dio per questo.
Come ogni figlio cadetto di buona famiglia era stato un bel giorno messo di fronte ad una scelta, tentare la carriera militare o quella ecclesiastica, e in entrambi i casi avrebbe dovuto andarsene lontano. Martino non amava la violenza e i giochi di battaglia che tanto piacevano ai suoi due fratelli e fin da piccolo era conscio di quello che sarebbe diventato.
Un monaco.
Il padre sapeva che ogni buona famiglia che si rispetti indirizzava uno dei figli nella carriera religiosa e spesso questi individui scalavano le gerarchie ecclesiastiche e assumevano un potere e un'influenza a volte superiore a quella dei fratelli maggiori che avevano ereditato le proprietà e i titoli di famiglia.
Ma non era fare carriera ciò che interessava Martino.
Tutto ciò che chiedeva era di trovare un equilibrio, un'attività che gli piacesse e gli desse delle soddisfazioni.
Il padre con la sua influenza e le molte conoscenze gli aveva già spianato la strada ponendolo sotto l'ala tutelare del Cardinal Montani, una recente e illustre conoscenza di famiglia, che lo aveva inviato in uno dei migliori Monasteri dello Stato. Il Cardinale era un uomo dall'aria bonaria, profondi occhi neri e guance paffute. Era originario di Roma, ma si era da qualche anno trasferito al nord dove aveva avuto una brillante carriera conquistando l'amicizia e l'appoggio delle corti, di influenti personaggi e della popolazione.
Di temperamento tranquillo e col sorriso sempre pronto, ma fermo e risoluto al momento giusto,era benvoluto da tutti e diventava di giorno in giorno uno dei più rinomati esponenti del Clero italiano, cosa non facile in un periodo cosi difficile della storia della chiesa. A Roma e ovunque la situazione era ormai divenuta insostenibile e la voglia di normalizzazione cominciava ad avvertirsi a tutti i livelli.Si era infatti verificata in quegli anni una situazione paradossale e mai accaduta prima.
Nel 1377 Gregorio aveva definitivamente riportato la sede Pontificia a Roma dopo la cosiddetta “cattività Avignonese”. Egli sperava probabilmente di aver ristabilito l’ordine tradizionale, e inizialmente sembrò esservi riuscito poiché l’anno dopo il conclave elesse a succedergli un’italiano che prese il nome di Urbano VI. Ma buona parte del clero francese non si era mai rassegnata a perdere i privilegi faticosamente conquistati, e pochi mesi dopo tredici cardinali, quasi tutti francesi, dopo essersi rifugiati a Fondi nel Regno Angioino di Napoli, si riunirono in Concilio. Essi denunciarono d’aver subìto pressione da parte degli ambienti romani ,così invalidarono l’elezione di Urbano VI ed elessero in suo luogo Roberto di Ginevra che assunse il nome di Clemente VII. Questo tentò di entrare a Roma, ma respinto dalle truppe del Papa “Italiano “ si stabili ad Avignone. Così era iniziata la divisione della Cristianità, che tra scomuniche incrociate, condanne, conflitti e l’incomprensione dei fedeli si protraeva ormai da trent’anni. Il perdurare stesso della situazione, le montante pressioni dell’imperatore interessato a riportare l’ordine e l’unità interna nei suoi domini, l’insofferenza del clero che di fronte ai due ostinati centri di potere minacciava di ridimensionare drasticamente il ruolo dell’istituzione papale furono i fattori che portarono al concilio di Pisa nel 1409. Qui Cardinali appartenenti ad entrambe le fazioni si erano riuniti e avevano rinnegato e deposto i due Papi, eleggendo il riunificatore Alessandro V. Proprio in occasione di questo importante evento il Cardinal Montani aveva avuto occasione di mettersi in luce svolgendo una logorante opera diplomatica volta a trovare un accordo sul nome del nuovo Pontefice.
Purtroppo però dopo appena un anno Alessandro V morì , e ne lui ne il suo successore riuscirono a riportare l’ordine perché i papi di Roma e Avignone non accettarono la decisione del Concilio e rimasero saldamente al loro posto. Nonostante l’operazione si era risolta in un totale fallimento e aveva avuto come unica conseguenza l’aver aggiunto un “Pretendente Pisano” agli altri due, il Cardinal Montani ne era uscito da vincitore moltiplicando tra i colleghi la sua popolarità. Quell'uomo era rimasto a tutti impresso per la simpatia e la giovialità sfoggiato in un momento così drammatico.Martino si era trovato subito a suo agio con lui e fin dal primo momento che l’aveva conosciuto si era reso conto di potersi fidare di lui e di potergli parlare come ad un amico.
Mettendo da parte ogni remora e ogni timore riverenziale gli aveva confidato il suo timore per una strada che poteva essere lunga e difficile, e aveva ricevuto da lui sostegno e incoraggiamento.Al monastero in cui l'aveva indirizzato, Martino si era trovato bene, più di quanto si sarebbe mai aspettato.Aveva incontrato degli amici veri, persone semplici e buone che avevano cercato di facilitare il suo inserimento. Gli altri novizi invece non lo avevano attratto molto.
Conoscendo molto bene fin da bambino il Francese e il Greco era stato indirizzato nell'ordine degli Amanuensi.
Aveva preso i voti entrando così nell'ordine dei Frati Benedettini e subito dopo lo stesso Montani lo aveva ricevuto in udienza e gli aveva annunciato di volerlo trasferire in un altro luogo." Andrai a Roma"- gli aveva detto - " Il buon Priore Gerardo è un mio personale amico e da tempo mi chiede due bravi Amanuensi per la sua corposa biblioteca. Martino questa volta gli aveva obbedito più per rispetto che per la reale volontà di trasferirsi.Pensò che si allontanava ancora di più dalla sua abitazione tra i monti e si chiese se mai avrebbe potuto rivederla.Il suo volto dovette assumere un'espressione di tristezza perché il suo compagno di viaggio sembrò accorgersi di qualcosa." Stai bene Fratello Martino. Siamo ormai vicini! "
Tommaso gli era stato affiancato dal Cardinal Montani. Di lui sapeva solo che era un Amanuense, specializzato nella trascrizione di testi in Copto e Aramaico. Era alto, grosso , doveva avere circa trent'anni e se non avesse scelto la carriera religiosa, avrebbe potuto vantare una folta chioma di capelli rossi.Per quanto i due non si fossero mai visti prima era bastato il tempo passato insieme in quella carrozza per porre le basi di una futura duratura amicizia.Sembrava essere colto, competente e molto informato su tutti i fatti che accadevano nel mondo.
Fin troppo pensò Martino. La vita dei frati non brillava certo per mondanità, i giorni erano tutti uguali e raramente si usciva dalle quattro mura, per fare qualche commissione.Ciò che lo colpì di più del suo interlocutore fu lo sguardo.Aveva qualcosa di fiero e misterioso e chiunque avesse dovuto giudicare il suo mestiere basandosi solo sugli occhi e sul suo aspetto fisico avrebbe citato quello del Monaco per ultimo.
Martino lo rassicurò e si sporse un poco per guardare il panorama di una città che gli era stata descritta come la più bella del mondo intero.Vide solo alberi e cespugli distribuiti irregolarmente, una vegetazione che sembrava aver infestato un luogo che secoli prima doveva essere molto diverso perché notò in lontananza giacevano abbandonati in orribile stato alcuni grossi ruderi.Non vide un solo viandante e percepì un'aria salmastra come quando ci si ferma in prossimità di uno stagno o di una palude.Questa sgradevole sensazione svanì man mano che risalivano il sentiero.  
Il Monastero era ora visibile per metà e Martino vide che più piccolo di quello in cui aveva vissuto fino ad ora ma capì dai colori e dal suo aspetto che doveva essere di recente costruzione.Al suo arrivo uno dei monaci, che diceva di chiamarsi Fratello Pietro lo accolse e lo portò in udienza dall'Abbate del Monastero.Era questi un uomo alto e magro, con l'aria saggia e i pochi capelli rimasti erano di un bianco quasi innaturale. Si chiamava Padre Gerardo.
Dopo alcune frasi di circostanza, si complimentò con Tommaso per le sue ottime referenze." Sono molto lieto di accogliervi. Il Monastero e stato costruito di recente ma abbiamo già una biblioteca molto fornita, libri di ogni tipo trasferiti qui da ogni luogo. Trascrivendoli potrete imparare molte cose. Anch'io ho avuto la fortuna di praticare questo lavoro per vari anni, quand'ero poco più di un novizio e credo che si tratti di un esperienza unica e fondamentale nella vita di un uomo di Chiesa. Ricordate però di farvi sempre guidare dalla fede , non lasciarvi confondere la mente, e distinguere in tutto ciò che leggerete la verità dalla menzogna.".Poi congedò Tommaso e rimase solo con Martino."Sono molto lieto di aiutare il Cardinal Montani. Qui potrai ricevere una buona istruzione.
Tieni presente però che la virtù principale di un monaco è l'umiltà e ogni aspirazione o desiderio personale è un pericolo per se stesso e per gli altri. Questo ricordalo sempre."Quelle fastidiose parole tornavano alla mente di Martino ogni volta che incontrava il superiore e gli dispiaceva essere stato scambiato per ciò che non era e rimproverato per qualcosa che non gli apparteneva. Maledisse l'influenza del padre e del Cardinal Montani e più di una volta si chiese se non fosse meglio lasciar perdere tutto e fuggire in qualche paese lontano.I primi tempi infatti furono molto duri e faticò a inserirsi nel nuovo Monastero, le regole e le limitazioni applicate con rigore dal superiore gli costavano molto, gli orari di lavoro e di preghiera erano massacranti. Tommaso lo aiutò molto in quei momenti così difficili e cercò di rincuorarlo e di farlo ragionare. Gli diceva che il lavoro e la preghiera nobilitavano l'anima e che una volta abituato a quello stile di vita avrebbe trovato dentro di loro una grande forza interiore che li avrebbe accompagnati per sempre e avrebbe abbattuto ogni dubbio e ogni difficoltà che avessero trovato di fronte.Inoltre cercava di convincerlo del fatto che l'Abbate non era così cattivo come voleva far credere."L'unica cosa che non gli perdono, è di avermi fatto tagliare ancor di più i miei capelli."Almeno in questo dovette dargli ragione perché anche lui cominciava a intravedere dietro la sua maschera severa un uomo buono.C'era nel convento un bambino, che era stato abbandonato da chissà chi, ed era stato trovato anni prima mezzo nudo e mezzo congelato tra gli alberi. Uno dei Monaci, Fratello Pietro, lo aveva notato per caso, di ritorno da un viaggio e lo aveva portato in Monastero. Qui lo avevano curato con grande solerzia ed erano riusciti a salvargli la vita . Doveva avere circa tre anni allora. Il padre superiore, contro ogni regola, lo aveva accolto nel monastero per un lungo periodo, finche non era riuscito a trovare per lui una ottima sistemazione.Infine il bimbo era stato affidato ad un mercante delle campagne, un uomo generoso che lo trattava anche meglio di quanto avrebbe trattato quei figli naturali che non aveva mai avuto.Giacomo, così si chiamava, non aveva mai dimenticato la sua permanenza tra i Monaci e di tanto in tanto il padre lo accompagnava a fargli visita per brevi periodi di alcuni giorni. Per lui era sempre pronta la stanza migliore del Monastero e la ventata di allegria che portava tra i Monaci valeva bene lo scompiglio che causava.Anche Padre Gerardo in quei giorni sembrava subire una silenziosa trasformazione ed appariva meno brontolone e indisponente.Ora che aveva raggiunto i dodici anni cominciava a fare domande che impegnavano i Monaci in imbarazzanti e contorte spiegazioni, non aveva però perso l'abitudine di girovagare per il Monastero esplorando le stanze, i corridoi, gli scantinati, nonostante tutti i ripetuti divieti, alla ricerca di nascondigli segreti o tesori.Agli inizi del mese di Dicembre fece una nuova visita ai Monaci e annunciò che si sarebbe potuto fermare per due settimane poiché il padre per lavoro aveva dovuto compiere un lungo viaggio verso Napoli.In uno di quei giorni Martino fu incaricato di recarsi al mercato in città per vendere alcuni prodotti agricoli che i Monaci coltivavano nei loro campi e acquistare delle merci che sarebbero servite al Monastero. Fu accompagnato da un altro monaco, Benedetto e da Giacomo che avrebbe così potuto sfuggire un po’ al monotono rito della preghiera del mattino.Partirono la mattina presto in groppa a tre grossi somari carichi di merci.
Il ragazzino, figlio di un mercante conosceva bene quell'ambiente ed era anche riuscito a smascherare un venditore di stoffe disonesto che aveva chiesto un prezzo esoso per della merce di modesta qualità.Con un rapido gesto aveva bloccato la mano protesa di Martino, già ingenuamente pronto a pagare, e si era messo a discutere a lungo con veemenza e competenza lasciando i Monaci sbalorditi fin quando le sue argomentazione e il clamore che stava attirando un capannello crescente di persone convinsero il mercante a ripiegare su un netto ribasso del prezzo.Sulla via del ritorno Martino e il suo confratello Benedetto erano impegnati in un discorso che riguardava l'organizzazione dei riti per l'imminente Natale .Giacomo che marciava in coda al gruppo osservava il paesaggio che alternava brulle spianate a macchie di verde, disseminati qua e la alcuni ruderi abitati solo da gatti e cornacchie.
Poi qualcosa attirò la sua attenzione.Dagli alberi a ovest era apparsa una macchia indistinta che muoveva lentamente in avanti.Raggiunse una piccola spianata e qui iniziò a compiere una sorta di danza fatta di volteggi roteanti, brevi pause e fulminei movimenti.Giacomo cercò di bloccare la marcia del somaro ma l'animale, per tutta risposta emise uno sbuffo e prosegui per la sua strada, allora il ragazzino con uno rapido e coordinato movimento smontò, evitando miracolosamente di cadere, e percorse a ritroso un tratto del sentiero per avvicinarsi quanto più poteva e osservare meglio la strana figura. Individuò il punto d'osservazione ideale, e aguzzò lo sguardo.Si trattava di un altro ragazzino, a giudicare dall'altezza, aveva un vestito color bianco e teneva in mano un oggetto scuro e allungato che doveva essere un bastone e che sferrava a destra e sinistra.
I suo movimenti erano molto agili e Giacomo indugiò a guardarlo per un periodo di tempo indefinito fin quando fu richiamato alla realtà dalle voci dei Monaci cariche di impeto e preoccupazione. Ritornò da loro e sì beccò una severa ramanzina ma non se la prese più di tanto rendendosi conto di aver fatto una sciocchezza.Quello che lo infastidiva però era che tutti nel Monastero lo consideravano ancora poco più che un lattante. " Eppure" - si disse - "se non fosse stato per me avrebbero pagato il doppio gli stracci di quel mercante ". 
I giorni scorrevano veloci.Giacomo passava la maggior parte del suo tempo nella biblioteca, dove si esercitava nella lettura di antichi tomi che contenevano versioni latine della Bibbia, dei Vangeli e della vita dei Santi che venivano accuratamente selezionati per lui dal priore. Li leggeva con impegno trascorrendo alcune ore ogni giorno nella stessa sala degli Amanuensi.
Quando però rimaneva solo, sul calare della sera, perché i monaci erano impegnati nelle preghiere del vespro, raggiungeva la stanza accanto , si concedeva una passeggiata tra gli enormi scaffali sovraccarichi e curiosava.Di tanto in tanto veniva attratto dalle dimensioni di uno o dalla rilegatura di un altro e tentava di afferrarlo per leggere il titolo, ma molti di essi erano posti troppo in alto, al di fuori della sua portata e altri erano così serrati tra di loro da rendere impossibile il tentativo di prenderli.Alcuni offrivano minor resistenza e Giacomo poteva così iniziare a sfogliarli, ma nuove difficoltà si affacciavano a quel punto.La redazione in lingue sconosciute o caratteri deformi e illeggibili scremavano ulteriormente il numero delle letture a sua disposizione.
Spesso si trattava poi, di noiose dispute di carattere teologico o metafisico che poco potevano attrarre un ragazzino di dodici anni.
Più interessanti erano i volumi che riportavano cronache di avvenimenti storici o biografie di antichi letterati o filosofi. Allora Giacomo poteva rimanere li immobile per delle ore, in piedi tra gli scaffali a leggere quegli avvenimenti ambientati in mondi passati e perduti.La campana suonata dai monaci, che avvertiva della cena, era così trillante da essere udibile in quasi tutto il Monastero e metteva fine alle sue attività.In fretta e furia il ragazzino rimetteva a posto il libro che aveva in mano, cercando di annotare mentalmente il punto in cui aveva interrotto, richiudeva accuratamente la porta, oltrepassava la stanzetta con i libri assegnatigli dai Monaci e si precipitava su per le scale.
Da qualche giorno però un altro pensiero occupava la sua testa.Era rimasto molto incuriosito dalla visione di quel ragazzino ai bordi del bosco, intento a giocare al cavaliere. Non ricordava nelle sue precedenti svariate visite di aver mai visto nessuno della sua età in quel quartiere così isolato e degradato della città. I pochi che bazzicavano quella zona ,oltre naturalmente ai Monaci, erano per lo più mendicanti, viandanti, donne di cui ignorava la professione e alcuni malviventi ricercati dalle Guardie Pontificie.Non aveva nulla contro i Monaci che gli volevano bene, gli insegnavano molte cose e si sforzavano di rendere meno noiosa possibile la sua residenza in quel luogo, amava leggere e parlare con loro e sarebbe ritornato anche in futuro al Monastero , ma ogni tanto sentiva la necessità di giocare con uno della sua età e quella poteva essere un'occasione d'oro.I monaci gli consentivano di uscire a giocare nel cortile del monastero ma non volevano che discendesse dalla piccola collina che lo ospitava perché nel sentiero, dicevano, avrebbe potuto incontrare qualche malintenzionato.Giacomo si diceva che ormai era abbastanza grande per badare a se stesso e , in ogni caso sarebbe ritornato prima che i Monaci potessero accorgersi della sua assenza.
Così il mattino dopo, dopo il rito della preghiera, allorché l'Abbate era impegnato in Biblioteca e gli altri frati si dividevano tra i lavori agricoli e la trascrizione dei libri, non si limitò come al solito a girovagare attorno al Monastero e i campi contigui, ma ridiscese il sentiero e raggiunse la piccola spianata ai margini del bosco. Passò qualche tempo e Giacomo cominciò a pensare che tutto era stato inutile quando udì un piccolo rumore e si ritrovò davanti il bambino vestito di bianco.Era più alto di lui, probabilmente aveva un anno di più, era snello e i capelli castani emanavano riflessi color rame. Non aveva il bastone che impugnava due giorni prima.Gli occhi erano neri e profondi. Sembrava irritato da quella inattesa presenza estranea.
" Tu chi sei? Cosa fai qui?"
" Io mi chiamo Giacomo, abito lassù al Monastero"" Tu abiti tra i monaci? Vattene via, questo e il mio territorio."
" Ti ho visto qualche giorno fa mentre andavo al mercato, giocavi con un bastone"
Lo sconosciuto non rispose e continuò a guardarlo con aria ostile. 
" Potremmo diventare amici, tu come ti chiami? "" I monaci sono tutti dei vigliacchi "
" Non e vero"
" Sono vigliacchi e si rifugiano perché hanno paura di incontrare i cavalieri"" Quelli che conosco io non sono vigliacchi e non hanno paura di nessuno."
" Sono vigliacchi e anche tu lo sei se stai con loro "
Come era prevedibile la questione finì con i due ragazzini che si rotolavano per terra prendendosi a pugni. Giacomo, nonostante fosse più piccolo si difendeva bene e dopo un po’, quando furono stanchi e ne ebbero abbastanza, si separarono prendendo ognuno la sua strada.Quello di fare a botte al primo incontro come molti di voi sapranno è uno dei modi migliori per stringere un'amicizia e il giorno dopo Giacomo si ripresentò alla stessa ora nello stesso luogo e puntualmente ritrovò il ragazzino dal vestito bianco che scoprì chiamarsi Valerio. Quanto al luogo dove abitava, gli diede solo una vaga indicazione."Oltre gli alberi"
Valerio raggiunse la cavità di un grosso tronco e ne estrasse un lungo bastone, dopodiché ricominciò la curiosa abile danza che gli aveva visto compiere qualche giorno prima.Vedendolo da vicino sembrava ancora più veloce e più abile.Giacomo si assentò per un breve periodo e dopo un po’ si ripresentò con in mano un altro bastone."Devi insegnarmi come fai"
" Tu non sei capace "
" Ti prego insegnami, io……"
 Dopo qualche insistenza i due si accordarono e Giacomo promise che in cambio avrebbe portato un giorno il suo amico a vedere il Monastero.Nei giorni seguenti Giacomo continuò a giocare con Valerio e rispose in modo evasivo alle domande dei Monaci che lo interpellavano sulle sue sempre più frequenti assenze.Giacomo diceva che si divertiva a giocare a nascondino e restava sempre nei paraggi.
Il sedici di Dicembre si ripresentò all'ora di pranzo nel cortile del monastero insieme al suo amico, e lo presentò al Monaco che era venuto a chiamarlo.Dovette insistere a lungo coll'Abbate per permettergli di entrare ma alla fine il forte ascendente che esercitava sul vecchio religioso prevalse sulle consuetudini dell'ordine.
Si limitò a tempestare di domande il nuovo venuto e benché le risposte spesso non furono soddisfacenti, si sforzo' di classificarlo come il figlio di qualche contadino della zona.Padre Gerardo però capì che Giacomo probabilmente aveva girato più del dovuto e si appartò con lui per fargli un'altra ramanzina e per dirgli che le bugie portavano dritte all'inferno.Giacomo ci rimase male, finì per chiedere scusa, e si mise a piangere.L'Abbate allora si sciolse come neve al sole e dopo avergli strappato la promessa che non avrebbe più mentito, cercò di consolarlo.Valerio partecipò con malcelata noia alle preghiere e i canti pomeridiani, attirando lo sguardo severo di Gerardo. Durante la sera, invece Giacomo ottenne il permesso di andare in biblioteca  
e mostrò all'amico i libri che i Monaci gli avevano dato. Vide che anche lui sapeva leggere bene, il che non era una cosa comune in quella zona, tuttavia non risultò essere molto interessato dagli argomenti trattati.Così il ragazzino pensò che avrebbe potuto fargli vedere altri libri che avrebbero potuto piacergli.Ricordava di avere dato un rapido sguardo a un grosso libro che parlava di un grande re britannico, invincibile con la spada, che aveva liberato il suo popolo dagli invasori, anche se non gli tornava in mente il suo nome.Si era alzato e stava già dirigendosi verso la porta che dava sulla stanza accanto quando rivide mentalmente la scena di qualche ora prima e si ricordò della promessa che aveva fatto a Padre Gerardo. Non avrebbe più voluto mentire o essere scorretto con i Monaci ed entrare segretamente nella stanza degli scaffali a guardare libri che non gli erano stati assegnati gli sembrava una cosa sbagliata.Valerio sembrava aver percepito questo repentino cambiamento d'umore e lo fissò cercando di capire cosa era successo." Dove si va entrando in quella porta" gli chiese.
" Lì non possiamo entrare, ci sono altri libri ma L'Abbate e fratello Pietro non mi ha dato il permesso di vederli" Valerio si alzò e fece alcuni passi verso di lui, la sua espressione era ritornata quella ostile del primo giorno e prima ancora di ascoltare le sue parole Giacomo provò dispiacere." Tu prendi sempre gli ordini dai Monaci, vero?".
Martino si ritrovò nella biblioteca senza capire come avesse a fatto a raggiungerla.Provava una sensazione stranissima, come se una parte dei suoi ricordi fosse stata inghiottita dal nulla. Giaceva a terra occupando per intero la lunghezza della corsia che separava le due lunghe file di scaffali. Evidentemente doveva avere avuto un svenimento.
Quando era bambino gli era capitato un paio di volte, e per un certo periodo la sua famiglia era stata molto preoccupata e non gli permetteva mai di allontanarsi da solo.Col tempo, però, quel fastidioso disturbo era sparito completamente.Almeno fino ad oggi.
Si sforzò di ricordare cosa era accaduto, rivisse il viaggio che aveva compiuto nel pomeriggio per recarsi in città a ritirare un libro per conto dell'Abbate.Subito si guardò intorno e lo trovò aperto e rovesciato dietro la sua schiena.Proseguendo riemerse dalla nebbia della sua mente l'attimo del ritorno al Monastero.Ricordò di essere rientrato con fretta, chissà perché , e di aver disceso le scale verso il sotterraneo, in direzione della biblioteca.Un suono grave e melodioso arrivò alle sue orecchio, ma non si trattava di un ricordo.Aguzzò le orecchie e gli sovvenne quale fosse il motivo del suo passo veloce.Si era affrettato per non fare tardi alle preghiere serali dei Monaci.
Si diresse verso la porta per raggiungerli al più presto ma non rinunciò a continuare a ricostruire gli avvenimenti che il suo malore gli aveva cancellato dalla testa.Più nulla.Aprì la maniglia, compì alcuni passi. Riprovò.Inutilmente.
Un nuovo impulso disturbò la sua concentrazione, un qualcosa di insolito percepito con la coda dell'occhio.Si voltò e vide in fondo alla stanza due ragazzini.Sedevano sulle sedie, ma le braccia e la testa poggiavano interamente sul legno del tavolo. Dovevano essersi addormentati.
Lì raggiunse correndo e svegliò bruscamente Giacomo che sembrava debole e stordito, poco dopo anche il suo amico risollevò la testa stirando le braccia." Anche voi siete svenuti? Cosa mai è accaduto? Giacomo, rispondimi!"Il giovane indugiò ancora per un po’, mezzo addormentato, poi di fronte ai nervosi movimentidel Monaco, che lo scuoteva ripetutamente, riuscì a reagire.Si tirò indietro per sottrarsi alla fastidiosa presa e assumendo un'aria stupita iniziò a parlare." Non sono svenuto. Stavo leggendo un libro ma devo essermi addormentato"
L'altro ragazzino, di cui non ricordava il nome, lo guardava sgomento.
Martino sembrò tirare un sospiro di sollievo e si rese conto di quanto avesse dovuto apparire stupido il suo comportamento e la sua preoccupazione.Quale forza avrebbe mai potuto stordire tre persone nello stesso momento?
Tornò al piano superiore, dove raggiunse i Monaci nella sala grande che erano ancora impegnati nei loro canti.Alla sua apparizione tutti gli sguardi si concentrarono su di lui ma nessuno dei suoi confratelli interruppe ciò che stava facendo.Tommaso sembrava il più contento e ritardò la sua entrata stonando lievemente.L'espressione dell'Abbate fu quella che lo colpì più di tutti, perché sembrava carica di sensazioni, incerta tra il rimprovero e il sollievo.Durante la cena chiarì quello che era successo suscitando stupore e preoccupazione nei suoi interlocutori.Più tardi, mentre era nella sua stanza, disteso sul letto nel vano tentativo di ricordare, ricevette lavisita di Padre Gerardo.
Non fu meravigliato, L'Abbate l'aveva osservato con aria strana per tutta la cena.
" Fratello Martino, io non sono un uomo abituato a nascondermi dietro le parole e verrò subito al punto. Sei sicuro di non aver detto una menzogna oggi. Ricorda che per un Monaco… 
" Vi giurò su Nostro Signore che ho detto solo la verità. Non ricordo come sia accaduto ne so spiegarmi il perché, è un vecchio disturbo dal quale credevo di essermi liberato molto tempo fa.Dovete credermi."
"Ora calmati, se dici la verità non hai nulla da temere. Forse hai lavorato troppo in questi ultimi tempi e non vi eri abituato lassù al nord. Credo che ti faranno bene alcuni giorni di riposo, Fratello Martino"Il giovane osservò sorpreso l'anziano Abbate." Ma come! Proprio ora che si avvicinano le festività del Natale e c'è così tanto da fare?"" Taci, la cosa più importante ora è la tua salute " - il tono e l'espressione di Padre Gerardo non ammettevano repliche - " Ho assunto precise responsabilità assumendoti qui".Nei giorni successivi Martino discusse a lungo con l'amico Tommaso di ciò che era successo, era frustrato da quell'inconveniente. Aveva intuito dagli sguardi e dai modi di fare dei suoi confratelli che qualcosa era cambiato.Sembravano considerarlo ora come una persona malata, o comunque un debole non adatto alla dura vita del Monastero. Tommaso ancora una volta l'aiutò molto e lo confortò con la sua amicizia." Quest'uomo si sta rivelando il migliore amico che abbia mai avuto eppure conosco a malapena il suo nome e ignoro tutto di lui, della sua famiglia e del suo passato."- pensava Martino, ed ogni qualvolta tentasse con estemporanee domande di saperne qualcosa di più, il compagno rispondeva vagamente o girava intorno alle parole fino a cambiava discorso, facendolo così desistere.Intanto Giacomo trascorreva gli ultimi giorni della sua permanenza. Dopo la visita al Monastero, gli incontri con Valerio si erano fatti meno frequenti, soprattutto a causa di quest'ultimo che affermava di non aver più tempo di giocare perché doveva aiutare suo padre nel lavoro.Così in quel periodo passò più tempo con Martino, che era stato dispensato dall'Abbate dai lavori più lunghi e pesanti.Il Monaco, nonostante la sua buona volontà che lo spingeva a impegnarsi in qualsiasi piccola azione utile, si ritrovava ora molti spazi vuoti all'interno della giornata, che riempiva con le preghiere e con la presenza del ragazzino.Il resto del Monastero in quei giorni sembrava un vero e proprio alveare, con gente che si incrociava con passo svelto ad ogni angolo, affaccendata in mille compiti diversi.
Il venti di Dicembre fu l'ultimo giorno di permanenza di Giacomo al Monastero.
Durante la mattinata saluto uno ad uno tutti i Monaci, che apparivano più tristi del solito.Infatti, anche se quella volta il ragazzino aveva passato meno tempo con loro a causa della presenza del suo nuovo amico, gli erano lo stesso molto affezionati.
All'ora stabilita giunse suo padre, in groppa a un vecchio cavallo.
Dopo essersi fermato per qualche minuto a discutere amichevolmente coll'Abbate, chiamò Giacomo che era rimasto in cortile. "Ora devo andare" disse Giacomo e salutò anche Martino che noto in lui una certa tristezza."Non è nulla- gli rispose- Mi dispiace solo che Valerio non sia potuto venire a salutarmi"      
"Sono sicuro che dispiace molto anche a lui. Non preoccuparti, ogni volta che tornerai da noi, potrai rivederlo"Quando il ragazzo se ne andò i Monaci ripresero i loro lavori, e al calare del sole si riunirono per le preghiere del Vespro e le prove dei canti per il Natale.
La disgrazia avvenne il giorno dopo.I Monaci avrebbero dovuto radunarsi all'alba , Padre Gerardo come al solito aveva preceduto tutti e in attesa dei Confratelli, era intento a ripulire uno dei tavoli dalla polvere, quando delle grida provenienti dai piani superiori giunsero a lui.Nonostante l'età si mise a correre, per quanto poteva, su per le scale, e a metà strada incrocio Fratello Tommaso e Fratello Benedetto che lo chiamavano da tempo a gran voce."Cosa è successo " disse il Priore , che tuttavia ascoltando nuove urla e rumori, li scansò da una parte e prosegui affaticato la corsa.Tommaso, col volto contratto dall'orrore, non riuscì a spiccicare che poche parole."Fratello Michele……è terribile! "L'anziano Abbate attraversò il lungo corridoio disseminato di altri Monaci dalle espressioni terrorizzate e costernate, e si avvicinò alla camera.Un nuovo capannello di uomini si aprì quando raggiunse l'uscio del portone d'ingresso, ma percepì che lottavano con se stessi perché avrebbero voluto trattenerlo.Quell'uomo, pensava di aver visto tutto nella sua lunga vita.
Era nato in un quartiere povero e degradato di una città di provincia, ed aveva incontrato in gioventù ogni forma di perversione e degenerazione dell'animo umano.Questo non l'aveva, scoraggiato, anzi la speranza di poter migliorare le cose, di salvare il corpo e l'anima di tante persone era stato il motivo principale che lo aveva sostenuto nei momenti di maggiore difficoltà. La sua ferma volontà, la fede incrollabile, ma anche il dono di toccare con le sue parole il cuore delle persone aveva permesso a un provinciale di umile famiglia di assumere un ruolo di grande responsabilità nell'ambito della chiesa.Pensava di aver visto tutto Gerardo, ma si chiese se quella che aveva attraversato di corsa senza pensare fosse stata la soglia dell'inferno.
Vide il corpo, ancora disteso sul letto, la sua posizione, le ferite da coltello disseminate su di esso , le macchie rosse fino al soffitto, la paura e l'orrore dipinto nei suoi occhi.
Poi una presenza dietro di lui, all'angolo della stanza, e voltandosi vide un Monaco inginocchiato che non riusciva a staccare gli occhi da quella scena.
Era Martino, era stato lui a svegliarsi per primo quella mattina, forse era stato lui a lanciare il primo grido d'allarme ma dopo quel momento si era lasciato andare ad una specie di trance e mentre i suoi compagni di stanza urlavano e correvano come ossessi, era rimasto lì a fissare il suo povero confratello.Dopo un intenso sguardo, Martino si alzò andando verso di lui.Fratello Benedetto li raggiunse.
" Padre! Il demonio è sceso tra noi ! Come è possibile che sia stato ucciso stanotte in questa maniera, e nessuno di noi, qui a pochi passi, abbia sentito niente. Eravamo in sei in questa camera, e vi posso garantire che io non ho affatto il sonno pesante e se fosse entrato qualcuno aprendo la porta l'avrei sentito". Man mano che parlava era diventato pallido e ora la voce sembrava tremolante.L'Abbate gli intimò di calmarsi, e alcuni Monaci gli si avvicinarono per tranquillizzarlo ma questo continuò a parlare in tono concitato e isterico."Satana in persona deve aver dormito qui questa notte, perché in caso contrario potrebbe essere stato solo qualcuno di noi".Mentre Tommaso e due robusti novizi lo portavano via, Benedetto indicò Martino e cominciò a urlare sempre più forte." Sei stato tu, servo del demonio! Non era mai accaduto nulla prima del tuo arrivo. 
Dici di essere svenuto e quel giorno hai disertato le preghiere del Vespro e dopo i lavori del Monastero."Mentre Martino lo guardava allontanarsi era più meravigliato che incollerito.Intanto Gerardo, dopo l'attimo di sbandamento dovuto allo shock e alla confusione si fece forza e prese finalmente in mano la situazione.
Per prima cosa fece sgomberare la stanza ordinando a tutti di tornare nei propri alloggi e di chiudere le porte.
Trattenne solo alcuni fidati collaboratori cui ordinò di trasportare il corpo in una delle celle di servizio ai piani inferiori e di controllare palmo a palmo la camera dove era stato commesso l'omicidio e riferirgli qualsiasi traccia o dettaglio insolito che potesse ricondurre al colpevole.Quindi chiamò tutti coloro che alloggiavano lì, tranne Benedetto, che era visibilmente in preda a una crisi isterica ed era stato accompagnato e rinchiuso in un'altra stanza al piano inferiore. 
Martino, Tommaso, Basilio e Donato furono sottoposti a un lungo ed estenuante interrogatorio da parte dell'Abbate e del suo braccio destro, fratello Pietro.Quest'ultimo era molto infervorato e teneva un comportamento aggressivo e provocatorio, nonostante i ripetuti richiami del Priore.
Molte volte vennero ripetute le stesse domande, e altrettante volte si ottennero le stesse risposte.
La porta era stata chiusa, ma non inchiavata, come consuetudine.
Nessuno aveva visto entrare qualcuno, nessuno aveva visto l'assassinio, ne udito voci, rumori, o urla.
La porta dunque non era stata chiusa a chiave, ma chiunque avesse frequentato quel luogo anche solo per un giorno sapeva bene che, con una media di sei Monaci per camera e quasi tutte le stanze allineate lungo lo stesso corridoio, il semplice gesto di socchiudere i vecchi scricchiolanti portoni nel cuore della notte senza svegliare mezzo Monastero era impresa impossibile.Si trattava di una sorta di piccola garanzia per L'Abbate che non aveva mai provveduto in alcun modo a rimediare a tale situazione.
Soltanto a pomeriggio inoltrato Gerardo li congedò assegnando loro un'altra camera e si recò personalmente nel luogo del delitto, dove proseguivano ancora le ricerche.Ora era direttamente Fratello Adelmo che dirigeva instancabilmente le operazioni.
Ogni possibile nascondiglio tra quelle quattro mura era stato ispezionato, le poche cose dei Monaci giacevano rivoltate per terra, ma l'Abbate si rese conto, ben prima di ascoltare le loro parole, che non avevano trovato nulla oltre al sangue.
Si accostò al portone e lo chiuse con un acuto rumore stridulo.Tutti, all'interno della stanza, interruppero le vane ricerche per fissarlo.
Con gesti lenti e accurati l'anziano religioso la aprì, ma non poté evitare di fare un certo baccano.Si rattristò di colpo come se avesse inseguito vanamente una piccola residua speranza, poi qualcosa in lui cambiò e rincuorato uscì dalla stanza.Provò a ripetere l'operazione dall'esterno, ma ancora una volta l'inconfondibile rumore aleggiò nitido nell'aria.Mentre tornava in lui la delusione, Fratello Pietro lo raggiunse.
" Padre Gerardo, sono molto addolorato ma non può essere che uno del Monastero, anzi uno di quell'alloggio"- affrettò il passo per stare dietro all'Abbate che marciava spedito lungo il corridoio - " Padre, conosco Basilio da una vita e metterei la mano sul fuoco per lui".Pietro capì che il suo interlocutore era diretto ai piani inferiori -" Padre, sappiamo entrambi che Donato non è che un uomo debole e anziano che non farebbe male a una mosca…….quanto a Benedetto……è quasi uscito di senno quando ha visto cosa era successo a Michele, che era il suo amico migliore…."Mentre avevano quasi finito di scendere le scale, dopo una breve pausa, il monaco riprese il monologo.
"Non restano che….."
"Ora taci Pietro, dobbiamo ancora ascoltare la versione di Benedetto, ora che a dire dei suoi custodi, ha ripreso finalmente il controllo di se stesso. Inoltre dobbiamo, stasera stessa, e per tutta la notte se necessario, proseguire le ricerche in tutto l'edificio."
" E cosa dovremmo mai cercare, padre!"
" Qualunque cosa. Probabilmente l'assassino ha usato un coltello o una lama."
L'interrogatorio di fratello Benedetto servì solo a far crollare l'instabile equilibrio che quell'uomo sembrava aver trovato.Iniziò a rispondere pacatamente, che non aveva visto nulla ne sentito nulla, che nessuno poteva essere entrato di nascosto, che era stato lui a svegliare tutti, cinque anni fa quando due vagabondi della campagna circostante si erano introdotti nella cappella al piano disotto per rubare i candelabri e altri oggetti di valore.Poi cominciò ad agitarsi e nonostante gli sforzi dell'Abbate, ricominciò a formulare scomposte accuse contro Martino, a suo dire, caduto preda del demonio.L'Abbate lasciò la stanza di corsa, per evitare di aggravare la situazione e pose di nuovo a guardia della cella i due Monaci. 
Calò la sera e la preghiera del vespro in quel brutto giorno fu carica di volti addolorati e intimoriti, di mormorii, richiami all'ordine e sguardi sospettosi.La gran parte degli sguardi gravava sui cinque della camera maledetta, in particolare sui
nuovi arrivati, che per chiari motivi erano i principali sospettati.
Tommaso finse di non accorgersi di ciò che accadeva, e cercò inutilmente di rassicurare l'altro.Dopo un breve frugale pasto, tutta la sera, la notte e buona parte della mattinata successiva furono dedicate alla ricerca, ma a nessuno dei quattro indiziati fu permesso di prendervi parte per paura che potessero occultare eventuali prove.
Anzi a Martino sembrò che la richiesta che avevano effettuato fosse accolta con sospetto daFratello Pietro.
Si rivolse all'amico Tommaso con voce rotta dal dolore.
" Giurami, amico mio"- disse Martino -" che mi aiuterai a trovare quel maledetto assassino"
" Lo farò."Ancora una volta le ricerche non ebbero esito, e gli indiziati, nonostante il pesante alone di sospetto che li isolava dal resto del gruppo, furono autorizzati a continuare le loro attività.Benedetto, Basilio e Donato ripresero i loro lavori agricoli, mentre Martino e Tommaso poterono tornare ai loro libri.
L'Abbate, da parte sua, era attanagliato dal gravoso problema di dover comunicare alle Gerarchie Ecclesiastiche il terribile delitto.
Si rendeva conto che era l'unica cosa da fare per evitare che un assassino rimanesse in libertà, per quanto sapeva bene lo scandalo che ciò avrebbe suscitato nell'ambiente romano e le pesanti ripercussioni cui tutto il Monastero sarebbe andato incontro. 
Così scrisse di suo pugno una lettera indirizzata a chi di dovere e di prima mattina la consegnò a uno dei Monaci perché la recapitasse nel luogo dovuto. 
Verso l'ora di pranzo, quando i monaci erano tutti radunati intorno ai tavoli un acre odore di fumo li spinse verso la cucina.Quando aprirono la porta una vampata di fumo si sprigionò dalla stanza, insieme al fortissimo odore di cibo bruciato. Fratello Pietro, correndo alla cieca verso le fiamme, per cercare di porre rimedio alla situazione, inciampò in qualcosa e finì a terra.Quando il fuoco fu spento e tornò un minimo di visibilità comparvero tre Monaci riversi sul pavimento, morti.Alfonso, Gualtiero e Donato, tre Fratelli anziani assegnati di turno al servizio della mensa erano stati certamente assassinati, per quanto non presentassero alcun segno di ferite.
Dal loro sguardo sembrava che dovessero essere morti di paura.Nessuna traccia di veleno fu trovata nella stanza e, Fratello Giuliano che aveva qualche rudimento in medicina, concluse che i poveri uomini dovevano aver avuto un infarto.Chiaramente non poteva trattarsi di una casualità.Mentre ancora tutti erano storditi dall'accaduto, un contadino locale si presentò alla porta del Monastero e chiese di parlare coll'Abbate dicendo che era una cosa molto grave.Padre Gerardo ne avrebbe volentieri fatto a meno, ma l'insistenza del contadino e una sorta di presentimento lo spinsero a dargli udienza.
Dopo pochi minuti tornò dai Monaci con un'aria di malcelata disperazione, e dopo aver tacitato con una certa fatica le chiacchiere e le discussione che avevano preso il posto dello sbigottimento, annunciò un'altra orrenda notizia." Fratello Federico, che avevo mandato stamattina in città a recapitare la lettera di avvertimento al Tribunale Ecclesiastico, è stato ritrovato in fondo a un dirupo in piena Campagna".Una nuova ondata di voci si levò per tutta la stanza.Benedetto riuscì a emergere dal mormorio generale con urla sempre più forti." Padre Gerardo, perché vi ostinate a lasciar andare impunemente i colpevoli. Dovremmo aspettaredi morire tutti. I cinque che ritenevate sospetti sono ora quattro poiché Donato è morto, e presto lo saremo anche io e Basilio finché….." Taci Benedetto".
" Finché gli emissari del demonio continueranno a girare indisturbati nelle nostre stanze"" Padre, "- intervenne urlando Martino -" mi si accusa ingiustamente"
Poi guardò l'amico e concluse " ..Io e Tommaso non abbiamo fatto altro che trascrivere per tutta la mattinata. "" E' una menzogna "- l'interruppe Benedetto e molti Monaci, esasperati, lanciarono grida di approvazione.
" Ciò che dice Martino è vero…- replicò Tommaso - " …ma poiché da qualche giorno tutti ci evitano e trovano ogni futile scusa per allontanarsi da noi, nessuno può testimoniare in nostro favore "." Padre l'avete sentito! Ammette di non avere testimoni! Insulta i suoi Confratelli!
Satana deve aver confuso anche la vostra mente se vi ostinate…."
 " Benedetto! Ora stai passando il limite.." Sbottò l'Abbate sovrastando le reazioni dei due accusati." Eccellenza!" prese rispettosamente la parola Pietro " abbiamo perso già cinque dei nostri fratelli, uomini miti e inoffensivi. Tutti conoscevamo la bontà e la generosità di Donato. Non voglio più che muoia nessuno. Gli indizi sono ormai pesanti come prove".Martino non aveva mai visto Tommaso così arrabbiato, lo vide quasi esplodere in un urlò che zitti tutti quanti." Quali indizi! Pensate forse che abbiamo ucciso di paura tre persone mostrando loro la nostra brutta faccia! "
Ormai era fatta, mentre molti Monaci gridavano e inveivano contro di lui, e Benedetto urlava come un ossesso contro la blasfemia che aveva rivelato la presenza in lui del Maligno, Gerardo sentenziò che i due fossero isolati, e dispensati dalle riunioni per le preghiere comuni.Tra la sorpresa generale però, adottò lo stesso regime anche per Benedetto e Basilio, ritenendoli ancora indiziati.L'Abbate concluse poi che si sarebbe recato egli stesso in città a cercare aiuto.Non se la sentiva di mettere in pericolo la vita di qualcun altro e senza dar loro il tempo di opporsi si preparò a partire.Benedetto e Martino furono isolati, ciascuno in una stanza degli scantinati.
Martino cercò di ignorare il dolore, la rabbia e la disperazione concentrandosi sul lavoro e finì prima del previsto la sua versione di un trattato medico di Aristotele.Chiese ai suoi custodi di ritornare in biblioteca a prendere nuovi libri, ma questi gli negarono il permesso.
" Sono forse in prigione? Che vada, allora, uno di voi a prendermi quel nuovo trattato. Si tratta di…"
 Anche questa richiesta non ebbe successo. Martino si rese conto che ogni sua insistenza avrebbe rafforzato l'ipotesi dei Monaci che volesse distrarli dalla loro guardia.Così ebbe il tempo di osservare bene la stanza dov'era rinchiuso.Era grande e spoglia con uno spesso strato di polvere che ricopriva tutto, dal pavimento, ai vecchi tavoli in quercia intaccati dai tarli, fino agli scaffali colmi di vecchi libri malridotti. Pensò che dovevano essere passati anni dall'ultima utilizzazione di quel luogo. Forse fin dalla creazione del Monastero, una quindicina di anni fa, era stata relegata a locale di deposito di oggetti ormai inservibili. Quasi tutti i testi, logori e lesionati, si tenevano insieme per miracolo.Molti presentavano frammenti illeggibili o mancanti, altri portavano le tracce di vecchie bruciature.
Lo stato pessimo in cui versavano era l'unico carattere che li accomunava.
Per il resto quella singolare raccolta differiva in tutto.
Alcuni classici greci e latini, antichi testi in antiche lingue morte che solo Tommaso avrebbe potuto tradurre con successo, biografie di Papi e personaggi politici, vecchi trattati medici e scientifici di Galeno e Ippocrate, testi religiosi pagani, cronache di campagne militari, fatti e avvenimenti profani……..     
La curiosità e la necessità di distrarsi lo portò a curiosare tra le pagine scollate e cadenti e le antiche pergamene.Dopo circa un'ora si imbatté in un vecchio grosso libro di un autore minore del trecento: " Sulle cronache popolari di Roma e della Campagna Romana".
Il libro doveva essere sfuggito a un principio di incendio perché sul margine inferiore destro, recava traccia di bruciature e una certa porzione era stata mangiata dal fuoco. 
Scorrendo rapidamente le pagine si accorse che il libro era una vera e propria raccolta di superstizioni popolari, con l'immancabile corredo di presunti miracoli, eventi soprannaturali prodigiosi, demoni e fantasmi. Il brano che chiudeva l'opera però presentava qualche elemento più interessante perché pretendeva di narrare la vera storia di Frate Anselmo da Roubais, una figura realmente esistita che Martino ricordava di aver già incontrato in qualche altro libro.A dire il vero doveva trattarsi di qualche sporadica citazione, perché non ricordava nulla di importante su di lui, a parte il fatto che era un personaggio immerso nel mistero.Iniziò a leggere cercando di individuare le parti importanti da quelle futili e dai commenti 
eclatanti dell'autore."Nato da povera famiglia di pescatori a Valmes sulle coste meridionali del Regno di Francia dimostrò fin da bambino grande predisposizione per la via religiosa e …………entrato nell'ordine dei Frati Francescani operò a Roubais prestando soccorso ai poveri e i bisognosi…………………Predicava la parola del Signore e la necessità degli uomini di sfuggire dalle tentazioni di Satana.Nell'anno del signore MCCC si recò in pellegrinaggio a Roma che celebrava il primo Giubileo per ordine di Sua Santità Bonifacio VIII………….in quei giorni gente di ogni razza e di ogni nazione veniva a visatare i luoghi Santi della Cristianità….. notando le misere condizione che opprimevano le genti dei quartieri malfamati e delle campagne, così in contrasto con la bellezza e lo sfarzo delle Corti Romane, provò gran pena………………… ottenne così di rimanere a operare in prossimità della zona di …………la fama che egli si meritò come valente uomo di fede nonché medico e la benevolenza del popolo più misero lo resero punto di riferimento di molti disperati che percorrevano lunghi tragitti per incontrarlo e reclamare il suo aiuto.Fu molto attratto dalla singolare storia di un contadino che giuravano e spergiuravano di aver veduto prodigi diabolici in uno strano luogo.Veniva egli da un quartiere periferico e raccontava una mattina nebbiosa d'essersi recato in giro per la campagna alla ricerca di funghi, e di aver sentito voci, urla e tintinnar di ferri, come suoni di battaglia, ma la bruma non permetteva di veder chi fossero i malintenzionati. I l contadino che non era un cuor di leone cercò di tenersi lontano dalla zuffa ed era in procinto di allontanarsi allorché i rumori cessarono all'improvviso e la suadente voce di una donna gli arrivò all'orecchio, chiamandolo per nome. Egli, che non aveva dimenticato il trambusto di prima, cercava di andar via e di scacciare la voce, ma fu inutile perché un diabolico impulso lo vinse. Camminò per un poco come fosse addormentato, seguendo l'infida voce che l'attirava a sé, e giunse in un luogo ch'egli non aveva mai visto prima, dove antiche rovine giacevano sparse in ogni direzione, e compiendo altri passi avanti, la nebbia si aprì un poco e lasciò vedere un enorme costruzione di pietra, come non pensava esistere.Si rese conto con gran terrore d'aver raggiunto un luogo maledetto conosciuto da molti contadini e ritenuto essere dimora di demoni e raduni di streghe. 
Si mosse così dal torpore e mentre scappava veloce come se fosse inseguito da tutti i tagliagole di Roma, senti di nuovo dietro di lui i rumori e le urla che prima l'avevano spaventato. Il Frate non diede dapprima gran credo alla questione, ritenendola una delle tante superstizione della gente misera e ignorante, nata certamente dai racconti che si fanno durante le veglie che usano fare i poveri contadini nelle sere d'estate. Quel poveraccio non aveva fatto altro che ascoltare urla e voci, forse di qualche vagabondo, o di una delle tante povere donne, costrette a vivere come meretrici.Ma egli conosceva bene il potere di Satana e delle forze occulte, e sapeva che molti uomini di fede del passato e del presente si erano trovati a dover combattere visibili manifestazione di forze diaboliche.
Nel poco tempo libero delle sue giornate prese a documentarsi, e a chiedere qua e la notizie ai campagnoli, e vide quanto radicata e profonda fosse la loro paura per quel luogo, e la credenza che ospitasse innominabili presenze.
S'informò allora da certi confratelli Amanuensi e seppe che quello era stato in passato luogo di grande e terribile orrore dove migliaia di uomini erano morti combattendosi per il divertimento del sadico popolo pagani, e dove tanti Cristiani Martiri della Chiesa avevano perso la vita sbranati dalle belve feroci.Così cominciò a dare maggior peso alla questione.Lesse e rilesse i testi dell'Apocalisse di Giovanni e di Teofilo di Nicea, e per tempo non s'occupò d'altro trascurando perfino i suoi usuali doveri.Si convinse ch'egli aveva il gran compito d'impedire il trionfo del male sulla terra. 
E volle recarsi, armato solo della sua fede e di certi antichi libri, in quel pericoloso sito.E fu gran battaglia, quella sera, con urla e bagliori che giunsero lontano, ma i contadini e i poveri mendicanti invano attesero il ritorno del Frate, che non fu più visto ne in quel luogo ne in altri.E questo è il fatto e la narrazione della misteriosa fine di Frate Francesco da Roubais." 
Martino fu molto colpito da quell'incredibile storia ambientata proprio nei luoghi che circondavanoil Monastero, si chiedeva se potesse esser vera e se potesse esserci un nesso tra quelle antiche manifestazioni sataniche e la catena di omicidi che si era verificata in quei giorni.
Conosceva quasi a memoria la Bibbia, come ogni buon religioso, ma tuttavia aprì il Sacro Testo alla ricerca di qualche possibile riferimento che avrebbe potuto interessare Frate Francesco e indirizzarlo verso l'antico Anfiteatro Pagano, ma come si aspettava non né trovò.Frugò allora nella piccola raccolta di libri sullo scaffale, alla ricerca dei testi di Teofilo di Nicea, un profeta minore vissuto nel IX secolo in Grecia, che si dicesse avesse avuto delle visioni mistiche simili a quelle di Giovanni.I suoi testi più volte analizzati dal Consiglio dell'Inquisizione avevano faticosamente passato il vaglio, sfuggendo i ripetuti tentativi di incriminazione per eresia.Tuttavia, a causa della scarsa conoscenza dei fatti relativi alla sua vita e del suo modo di scrivere giudicato a volte irrispettoso era stato dichiarato apocrifo.
Non trovò nulla e stava malinconicamente rimettendo a posto il libro, ma l'altezza dello scaffale e il peso del libro gli giocarono un brutto scherzo. Il libro ricadde pesantemente a terra e alcuni fogli liberi si disseminarono sopra lo strato di polvere che ricopriva il pavimento.Martino li raccolse, scrollandola via, e riconobbe la calligrafia di Padre Gerardo.
Gli appunti contenevano brani tratti dalla Bibbia e dal testo di Teofilo di Nicea.
Il giovane capì che l'anziano Abbate l'aveva preceduto molti anni prima in quella ricerca.La cosa lo sorprese, ma allo stesso tempo rafforzò in lui la strana sensazione che l'aveva preso fin dall'inizio della sua permanenza in quella insalubre stanza, e cioè che le sue letture non dovessero essere solo una perdita di tempo.Si approssimava ormai la sera quando Martino riprese a leggere.Giovanni
" Vidi poi aprirsi il cielo ed ecco su un cavallo bianco colui che lo cavalca è chiamato Fedele eVerace, con giustizia giudica e combatte, i suoi occhi sono come fiamma ardente, sul corpo numerosi diademi e porta scritto un nome che nessuno all'infuori di lui comprende.
Il mantello che indossa è intriso di sangue, il suo nome è verbo di Dio.E vidi la bestia insieme ai re della terra e i loro eserciti radunati per combattere il Cavaliere e il suo esercito. Ma la bestia venne presa insieme al falso profeta, furono gettati i due nello stagno di fuoco che brucia con zolfo.
…afferrò il dragone, il serpente antico, quello che è chiamato diavolo o satana, e l'incatenò per mille anni, quindi gettandolo nell'abisso, chiuse e vi pose il sigillo affinché non potesse più sedurre le genti, fino al compimento dei mille anni, quando dovrà essere sciolto ma per breve tempo.  
Teofilo"E dopo mille anni la bestia e il falso profeta brameranno, e usciranno dallo stagno di zolfo e di fuoco. Chiameranno il dragone e spezzeranno le sue catene, e di nuovo egli sarà libero di camminare per le vie del mondo e vorrà ricostruire il suo impero sulla terra.Ma avrà paura del Verbo di Dio, si nasconderà e indosserà falsi abiti, e anche la bestia e il falso profeta si occulteranno tra le genti e segretamente opereranno per lui.Ed essi avranno il potere di sconfiggere i giusti.
E i tre torneranno presso lo stagno di fuoco e di zolfo e ne faranno la loro tana e vi raduneranno i loro eserciti……"
Voci allarmate risuonarono nel Monastero, accompagnate dal forte rumore dei sandali che percuotevano il pavimento dei corridoi.
Martino raggiunse l'uscio e ascoltò i due confratelli che erano rimasti tutto il tempo a custodirlo e che ora parlavano animatamente con altri appena arrivati.Lo spesso portone di legno non impedì a Martino di udire il loro discorso, composto da quattro voci che si alternavano e accavallavano." Incredibile, Fratello Tommaso è dunque fuggito!"" Dapprima ha colpito Fratello Pietro, poi ci ha travolto e ha sfondato la porta come fosse stata di
cartapesta."
" Era dunque lui l'assassino! Cosa dobbiamo fare ora? "
" Fratello Pietro ha fatto liberare Fratello Benedetto, e insieme a un gruppo di novizi lo sta inseguendo per le campagne."
" Sono partiti con dei bastoni come briganti"
 " Taci stolto, cos'altro dovrebbero fare?"" Siamo solo dei poveri Monaci. Non è più prudente attendere il ritorno di Padre Gerardo che porterà con se dei bravi soldati ?"" Può darsi che padre Gerardo non tornì mai più. Potrebbe aver fatto la fine del povero fratello Federico."" Credi che quel furfante abbia dei complici? "
" Oltre a questo disgraziato qui dentro? Forse si… o forse no. Tuttavia non è più tempo di attendere. Abbiamo atteso fin troppo"Martino non sapeva cosa pensare. Una valanga di pensieri lo avevano travolto in quei pochi istanti, prima la sorpresa per ciò che era successo, poi la convinzione che la colpa fosse stata di quell'aguzzino di fratello Pietro, che sicuramente aveva minacciato di morte il suo amico per costringerlo a confessare ciò che non era, quindi la rabbia per essere ancora ritenuto complice dei delitti.Ma alla fine si affermò in lui il grande desiderio di uscire da quelle quattro mura e andare alla ricerca di Tommaso. Immaginava che qualora fosse stato raggiunto dal gruppo che lo braccava avrebbe rischiato di perdere la vita.Inutilmente implorò i Monaci di liberarlo poiché questi erano invece intenzionati a raddoppiare la guardia.Ma nuove urla, nuovi rumori giunsero dai piani superiori , e i quattro risalirono sbraitando le scale.
Martino si guardò intorno agitato, poi trascinò con gran rumore una piccola pesante cassapanca di legno di quercia fino ai piedi della porta, poi con uno sforzo non indifferente la sollevò e con essa colpì pesantemente la porta, in corrispondenza della serratura.Il tonfo sordo e lo scricchiolio che ne seguirono accompagnarono il doloroso contraccolpo sulle membra e sulle articolazioni del giovane Monaco. Dopo altri colpi ben assestati, riuscì finalmente a  
sfondare la porta e si precipitò lungo il corridoio e le scale che portavano al piano superiore.Mentre divorava i gradini fece finalmente caso al crescente acre odore di fumo e vide che molti Monaci erano impegnati a trasportare secchi pieni d'acqua per spegnere un incendio mentre due di loro, Basilio e Gennaro giacevano morti all'angolo della stanza.
Era chiaro che avevano un gran bisogno di aiuto.
Si interrogava sul da farsi, quando uno di loro si accorse di lui e richiamò l'attenzione degli altri.Istintivamente Martino si mise a correre e scansando la porta con una spinta raggiunse il cortile esterno.
Qui, grazie alla recente pioggia, non gli fu difficile seguire le tracce del gruppo di fratello Pietro sul terreno.
Mentre ormai aveva sceso il sentiero in salita del Monastero per riversarsi nella campagna circostante aveva rallentato l'andatura dalla corsa al passo deciso e cercava affannosamente di mettere ordine nella intricata e drammatica successione di eventi. La nebbia che stava calando sui campi sembrava riflettere quella che gli ottenebrava la mente.Una sola domanda si sollevava da tutta quella confusione.
Chi aveva potuto dar fuoco al Monastero e uccidere altri due fratelli ?
Chi era il dannato assassino che ancora camminava per i corridoi di quel luogo Santo, mentre Fratello Pietro e i suoi tirapiedi perseguitavano un'innocente.
Le tracce ora abbandonavano i campi per gettarsi all'interno di un sentiero di campagna, dapprima attorniato da cespugli, poi da alberi d'alto fusto sempre più fitti. In quel nuovo ambiente il ricco sottobosco attenuava meglio le orme, ma la miriade di rami spezzati mostravano ancora chiaramente la strada, fin quando tali indicazioni si fecero discordanti e confuse. Evidentemente gli inseguitori, avendo perso la traccia, si erano divisi.Dopo un lungo istante di incertezza riprese la corsa, con la stessa velocità di quando era scappato dal Monastero.Mentre schivava gli alberi e i rovi, i suoi piedi si levavano sul terreno accidentato e mille rametti carichi di spine complottavano per trattenerlo e gli laceravano le vesti e la pelle. Più di una volta mise il piede in fallo e ricadde pesantemente, ma mai rallentò l'andatura. Si chiese cosa fosse in quella fredda sera a guidarlo.Era solo il suo istinto, un'inconscia percezione sensoriale o un atavico richiamo di qualche forza invisibile. Buona o cattiva?
Mai seppe di preciso la risposta.
D'improvviso i suoi sensi avvertirono qualcosa, ma il rumore dell'aria che fendeva nella corsa gli impedì di distinguerlo nitidamente, quindi si fermò e d'istinto si acquattò dietro un alto fusto alla sua sinistra.Per alcuni secondi attese vanamente, ma quando ormai credeva di essersi ingannato, un suono singolare e acuto lo raggiunse.
La voce era molto strana e sembrava quella di un bambino.
Poi un altro e un altro ancora fin quando i suoni divennero sempre più frequenti e prolungati e formarono una sorta di cantilena.Fu allora che qualcosa esplose nella testa di Martino e mille schegge impazzite sembrarono dilaniargli le meningi. Se non fosse stato già a contatto con la terra fredda e umida, sicuramente vi sarebbe in quell'attimo crollato pesantemente.Poi mentre chiudeva gli occhi e si portava le mani alla tempia, il flusso di ricordi finalmente trovò ordine in lui.Si trovò impotente, come fosse l'involontario spettatore di una rappresentazione teatrale, organizzata solo per lui.Vide prima il colore grigio smorto dei gradini delle scale che stava discendendo con passo deciso e i suoi sandali bruni avvolti negli stracci per ripararsi dal freddo dell'inverno che attenuavano il rumore rendendolo piuttosto silenzioso.Doveva sbrigarsi a compiere quella commissione per conto dell'Abbate perché i Monaci si erano già riuniti al piano superiore e avevano già iniziato le preghiere del Vespro. Non poteva mancare perché quel giorno avrebbero anche iniziato a provare i canti per la festività del Natale.Teneva in mano una rara versione di un'opera di un famoso filosofo greco di nome Platone, un trattato politico di nome " Timeo".
Altro lavoro per lui,Tommaso e gli altri fratelli Amanuensi, pensò, e si affrettò verso l'anticamera della biblioteca.Man mano che si avvicinava avvertì un debole suono, continuato, strascicato, stranissimo.Capì che era lo stesso rumore, la stessa tetra cantilena, che emergendo di nuovo aveva finalmente richiamato quei ricordi che sembravano perduti. 
Si accostò alla porta socchiusa e vide che Giacomo, il bambino ospite del Monastero, era in piedi di spalle a lui.L'uomo scostò la porta e avanzò verso di lui chiamandolo ripetutamente ma non ottenne alcuna risposta.S'incamminò allora per raggiungerlo e osservava la figura immobile del ragazzino che si avvicinava sempre di più.Quando poté guardarlo in faccia notò con orrore che i suoi lineamenti erano contratti in una maschera di un'espressione a metà tra lo stupore e la paura.Ogni suo muscolo sembrava pietrificato e neppure le palpebre accennavano a dare a quella figura un minimo segno di vita.
Un fremito d'orrore lo colse e la mano che aveva dolcemente posato sul ragazzo poco prima fu repentinamente ritratta.
Preoccupato lo scosse urlando il suo nome e il ragazzo finalmente sembrò risvegliarsi un po', gli occhi si mossero, l'espressione lentamente mutò, ma nemmeno una parola delle frasi sconnesse che pronunciò fu comprensibile. Con le poche energie rimaste sollevò il braccio e indicò la porta della biblioteca, dopo qualche secondo svenne tra le sue braccia.Appena Martino si rese conto che non era morto lo adagiò sul tavolo e con fare deciso si incamminò verso la stanza accanto dal quale arrivava lo strano suono. Avvicinandosi si rese conto che era la voce di un bambino che recitava una strana tiritera in una lingua sconosciuta ma familiare, doveva essere Aramaico o forse Ebreo, si …gli pareva di aver riconosciuto alcuni termini….casa….luogo…..aprire, ma non afferrava il senso delle frasi, non era mai stato molto ferrato in quella lingua e oltretutto le parole scorrevano troppo veloci.Apri la porta e lo vide seduto con le ginocchia incrociate , lontano in fondo alla stanza, le mani protese in avanti a mezz'aria, gli occhi chiusi. Era Valerio.Sembrava quasi in trance e non reagì minimamente all'arrivo del Monaco, se non accelerando la velocità di pronuncia della sua invocazione.Sul pavimento c'era qualcosa, un grosso libro dalle pagine ingiallite.Martino affrettò il passo marciando attraverso il lungo corridoio tra le due fila di scaffali. "Cosa stai facendo delinquente? Cosa hai fatto a Giacomo?Nessuna risposta.
Il ragazzo continuava vorticosamente a macinare parole astruse e incomprensibile, fin quando terminò aprendo gli occhi di scatto e rivolgendogli un sorriso maligno.Dopo quella terribile scena ,seguì soltanto un dolore acuto dietro la nuca e il buio.Mentre Martino si risvegliava dai suoi ricordi ritrovandosi in mezzo all'umido bosco, allentò la morsa delle sue mani dalle tempie, e sentì di nuovo l'infernale cantilena di quel bambino, laggiù in lontananza.L'iniziale impulso di raggiungerlo e fargliela in qualche modo pagare, fu frenato da una terribile paura, scaturita dal pensiero di quel sorriso demoniaco.
Quale forze misteriose aveva voluto attirare sul Monastero? Perché? Come aveva fatto a pietrificare Giacomo? Chi era l'uomo che era con lui in Biblioteca che, non visto, lo aveva stordito? Era forse lui l'assassino? E come avevano fatto a provocare in lui quell'insolita amnesia?Questa volta le domande erano molte. Le risposte nulle come sempre.
Proseguì quasi carponi ancora per qualche metro, prima che il lento declivio del terreno degenerasse in un piccolo scosceso dirupo. Probabilmente se non si fosse fermato ad ascoltare il suono avrebbe rischiato di proseguire la sua corsa in fondo ad esso. Davanti a lui la vegetazione si era aperta di colpo e tra la nebbia sempre più fitta, molto insolita per quell'ora e quei luoghi, pensò, erano visibili gli imponenti contorni di una gigantesca rovina di pietra.Doveva trattarsi sicuramente dell'antico Anfiteatro Pagano in cui aveva trovato la morte, secondo la leggenda, Frate Francesco da Roubais. Mentre continuava l'infernale cantilena, il Monaco cercò attentamente il punto migliore per oltrepassare il dirupo, e trovò alla fine una zona dove la morfologia del terreno e il sostegno offerto dai robusti rami di alcuni alberi mitigavano il dislivello.Essendo ancora giovane, non ebbe particolari problemi, e spiccò un salto che lo portò ad atterrare dove aveva calcolato.Appena toccò i piedi per terra però sprofondò fino alle caviglie in un denso strato melmoso.Temendo di rimanere bloccato nel terreno paludoso si ritrasse indietro, ma delle urla e delle voci che egli sembrò riconoscere lo spinsero ad andare avanti. Con sollievo notò che il terreno non era così insidioso come aveva creduto, ma questo non gli impedì di provare un senso di ribrezzo per quella passeggiata. Era nato in campagna e non era certo schizzinoso, ma tutto in quel luogo sembrava ostile e ripugnante.
Il fango ai suoi piedi era lurido e vischioso, nonostante la totale assenza di vento il freddo era pungente e brividi di tale sensazione percorrevano di tanto in tanto la schiena e le membra di Martino. Canne e strani vegetali scheletrici erano disseminati intorno a lui e l'aria stessa che respirava sembrava essere impregnata di qualche malefico fluido.Un grave insondabile ronzio si levò da qualche parte di fronte a lui.Mentre il fango gli raggiungeva gli stinchi vide davanti a lui, per terra qualcosa di indefinibile, di un vivido colore nero. Compì ancora un passo, e un fremito di nausea lo colpì rischiando di fargli perdere i sensi. Poi si fece forza e sbracciò vigorosamente sopra quel pietoso corpo.Un nugolo di mosche si alzò e sciamò in tutte le direzioni oscurandogli l'orizzonte e tingendo di nero la nebbia.Poi dopo l'iniziale sbandamento i piccoli insetti si ricomposero in una perfetta formazione, una compatta aggrovigliata nuvola nera che sembrava riflettere la figura in un unico disgustoso animale. Quasi interamente coperto dalla melma giaceva ai suoi piedi uno dei novizi che dovevano aver accompagnato Fratello Pietro.Intanto l'urlo che aveva cacciato di fronte alla vista di quel povero ragazzo, doveva aver allarmato qualcuno perché la cantilena era cessata.Martino dimostrando un coraggio che sorprese egli stesso, aggirò l'orrenda nuvola nera e prosegui verso l'Anfiteatro, ma gli infernali esseri si sollevarono in alto e come un lungo grosso serpente mossero sopra di lui, e raggiunsero l'ingresso ricreando l'originale formazione. Martino notò con orrore che le loro fila si ingrossavano poiché da svariate direzioni giungevano nuovi rivoli di insetti.Si guardò attorno e li vide sollevarsi da piccole sporgenze che emergevano dal fango, e fu sconvolto nel trovare la tragica conferma delle sue più nere previsioni.L'intero manipolo guidato da Fratello Pietro doveva aver trovato la stessa orribile morte di quel novizio.
Eppure la disperata situazione sembrò dare maggior animo al monaco che proseguì fino ad arrivare a pochi passi dall'ingresso dove l'infido groviglio nero aveva intanto formato un muro compatto.Martino sapeva che era inutile cercare nuove vie d'accesso, poiché l'avrebbero preceduto ovunque.Intanto una moltitudine di voci, urla oscene e rumori, si levava dall'interno del colosso di pietra, sovrastate dal rumore sonante dell'acciaio, come di spade che cozzavano l'una contro l'altra.
Di tanto in tanto l'aria era squarciata dal terrificante ruggito di bestie feroci, e dal boato della
acclamazione di un'invisibile folla. Come migliaia di anime dannate.
Martino iniziò una preghiera e nello stesso istante il muro nero prese vita e assunse le sembianze di una croce rovesciata.Il monaco afferrò il piccolo crocifisso in legno di castagno, che portava al collo, e, staccandolo con vigore lo allungò quanto più poteva davanti a lui.Mentre avanzava con un groppo in gola e i denti che gli tremavano, i disgustosi esseri tornarono a formare un'impenetrabile barriera.
Chiudendo gli occhi e accelerando istericamente l'andatura si preparò al viscido contatto, ma avvertì solo un rumore, come l'avvampare di una fiamma su un legno secco.Una miriade di piccoli oggetti gli piombò addosso.Aprì gli occhi scuotendosi e urlando istericamente, ma si accorse che ciò che si levava di dosso erano solo minuscole carcasse incenerite.Chiedendo perdono per la poca fede dimostrata avanzò, rinfrancato. E si accorse che l'interno della rovina di pietra era ridotto ad un colossale stagno con numerose piante acquatiche che si arrampicavano lungo le solide tribune.Solo allora si accorse con orrore che il freddo pungente che l'aveva sferzato fino a pochi minuti prima aveva lasciato il posto a un calore afoso e innaturale che impregnava l'aria.
Nonostante il grande Anfiteatro fosse completamente scoperto e presentasse numerosissime aperture sull'esterno, non un alito di quell'aria fredda e pungente di prima filtrava all'interno dell'ampio perimetro di pietra.
 …lo stagno di fuoco e di zolfo…Mentre si arrampicava sugli spalti, per sfuggire l'acqua salmastra, notò dalla parte opposta un capannello di persone, che non distinse poiché erano coperte dalla testa ai piedi di un saio.Martino si affrettò quanto poteva per quelle rocce, ma la loro irregolarità e la viscidità dovuta all'acqua lo rallentavano alquanto.  
Le tre figure non si mossero, sembrava che volessero attenderlo, ora addirittura avanzavano lentamente verso di lui.I frequenti boati della folla lo assordivano, e i ruggiti delle bestie sembravano approssimarsi a lui, si sentiva sfiorato da più parti da mille presenze demoniache che tuttavia, non osavano trattenerlo.Il Crocifisso sembrava irrorare un tenue calore sulle sue mani.
Gli avversari si approssimavano e Martino non fu sorpreso di notare davanti a tutti colui che si era spacciato per l'innocuo ragazzino di campagna.
Fissandolo con lo stesso sorriso di quel giorno in biblioteca si rivolse a lui, irridendolo.
" Ti do il benvenuto Monaco "
Martino lo fissò con odio." Questo monaco è un mio amico, me l'ha presentato Giacomo. Che bravo bambino Giacomo, peccato che sia scivolato nello stagno ieri, quando l'ho invitato a casa mia."Martino accecato dall'ira si precipitò contro di lui, ma una forza invisibile lo staccò da terra mandandolo a sbattere contro la pietra. Stremato e dolorante rimase disteso a terra, quasi svenuto,mentre attorno a lui si concentravano urla e gemiti di invisibili presenze. Il ragazzino avanzava."
..la bestia.. 
" Non così presto, non è ancora il momento, Monaco."- indicò alcuni oggetti informi che galleggiavano sull'acqua muovendo innaturalmente verso di loro - " siete sempre così irruenti voi uomini del Signore. "Martino riconobbe le sembianze di Fratello Pietro e Fratello Benedetto.
Gli ultimi dubbi caddero dalla sua mente , e si rivolse ad una delle due figure che finora erano rimaste in silenzio. 
" Dunque sei proprio tu Tommaso, io ti consideravo un amico, che tu sia dannato!"Il grosso uomo si sollevò il cappello del saio, mettendo in mostra i folti capelli rossi incredibilmente ricresciuti, e dopo una risata, prese a camminare verso di lui." Lo sono da molto, molto tempo, amico mio! Tu non immagini neanche da quanto."
" Eri tu quel giorno in biblioteca! "- disse Martino tentando faticosamente di rialzarsi.
" Già, Già, il buon Valerio da solo non bastava, per fare certe cose bisogna essere in due, abbiamo invitato al Monastero un po’ di amici. In questo momento stanno allegramente scherzando con i buoni Fratelli rimasti. Gli piace far festa e usare i fuochi d'artificio."….il falso profeta…
" Non mi uccidesti per non creare sospetti sul ragazzino, ma fosti tu a eliminare Fratello Michele".
" Quello fu uno sgradevole imprevisto. Quell'idiota ci aveva sorpreso quella sera con il nostro libro, mentre ripetevamo il rito da te interrotto. Non si può stare mai in pace in quel Monastero.Almeno lui aveva avuto la buona creanza di allontanarsi, e noi non l'avevamo notato.
Sai, siamo molto presi quando evochiamo gli spiriti.
Mi aveva osservato da lontano, non comprendeva quella lingua, probabilmente non si era reso neanche conto di cosa era successo, ma aveva visto il bambino che, ufficialmente non doveva più essere al Monastero.Così mentre dormivamo, ecco che quel vecchio senile mi scuote il letto e mi chiede spiegazioni.Lascia perdere, dico io, e invento qualche frottola, ma quello insiste, minaccia di rivolgersi all'Abbate, e alza la voce rischiando di svegliarvi.Mi sono fatto prendere la mano, ho reso un po’ più pesante il vostro sonno e l'ho fatto fuori. Sai, non è facile per noi lasciare tracce."" Vogliamo farla finita! Comincio ad annoiarmi" - disse il ragazzino.
" Quello fu un errore " - aggiunse Martino e si rese conto che ogni rumore intorno a lui era cessato.
" Accidenti, che errore! Mandò all'aria tutti i piani, mi costrinse a improvvisare. Entrai diritto nella rosa dei sospettati. Il rito ormai è fatto, e la copertura non è più indispensabile, ma con tutti quei crocifissi in giro non mi va di essere scoperto prima del giorno dell'adunata. L'idea era : niente morti fino al gran giorno, poi me la sarei svignata poco prima dell'inizio dello spettacolo. Ma ricordi? Dal primo omicidio ci hanno guardato a vista e scappare poteva diventare complicato. Allora cerco un capro espiatorio, preparo un piano per incolpare Benedetto, che, detto tra noi, qualche segno di squilibrio l'aveva mostrato, ma l'Abbate ha la brillante idea di mandare uno dei vostri a chiamare i rinforzi. Valerio deve farlo fuori lungo la strada e come se non bastasse i ragazzi dell'oltretomba , stuzzicati dalla smania parareligiosa di Benedetto, cominciano a farsi irrequieti e aprono i giochi mezza giornata prima del dovuto.Fanno fuori i tre cuochi, sai che soddisfazione! Quei vecchi malandati sono morti non appena li hanno visti. Purtroppo l'aspirante Giovanni Battista lì, e i cari compagni di stanza hanno alibi di ferro , e chi sono gli unici a non averlo? I due poveri Amanuensi.Mi rinchiudono in quella stanzetta e per tutto il pomeriggio quel bastardo di Pietro mi tempesta di domande con la grazia di un inquisitore.
Ma ormai cala la sera e per me è ora di dirvi addio, in questa forma non ho grandi poteri, ma liberarmi di qualche Monaco e scappare non è stata un'impresa.Poi vengo a sapere che il solito Abbate è ripartito alla carica alla volta del Vaticano…Il ragazzino l'interruppe col solito ghigno diabolico -" Quel vecchio aveva della stoffa, devo riconoscerlo. E' stato molto più difficile della prima volta. Doveva saper qualcosa di tutta questa storia, ma non ne era convinto. Solo quando mi ha visto deve aver capito con chi aveva a che fare, ma era troppo tardi".…Ed essi avranno il potere di sconfiggere i giusti.. 
Il grosso uomo dai capelli rossi, apparve lievemente infastidito dall'interruzione e riprese subito la parola." Il Fedele Pietro, da parte sua, con tanto di mazze e bastoni, ci viene a trovare.La conclusione e che ancora prima dell'inizio ufficiale della festa mezzo Monastero è già sottoterra, e ai nostri amici rimasti tra le quattro mura sono rimasti appena gli avanzi."" Martino era allo stremo delle forze, le gambe appesantite e doloranti non ne volevano sapere di sollevarlo, si sentiva così stanco e disperato che non riusciva più a provare neanche la rabbia per quegli ignobili assassini. Fissò attentamente la terza figura, immobile, con il volto ancora coperto dal saio e poteva sentire nitidamente il male che la pervadeva e si sprigionava da essa alimentando tutto l'ambiente circostante che ora era tornato ad animarsi di urla, suoni metallici, gemiti, e ruggiti.L'acqua dello stagno, scura e torbida, sembrava ribollire e sottili strie di fumo si levavano da molti punti. Poi tornò con gli occhi a Benedetto."Perché avete cominciato proprio da noi? "" Mio caro Martino, hai forse mai visto un pentacolo dentro una cattedrale?"Il vostro Monastero è più o meno la stessa cosa.Quando ci siamo liberati qualche anno fa ho provato ribrezzo per quell' orrore in cima alla collina
Questa è casa nostra da secoli. Finalmente siamo liberi, oggi abbiamo radunato il nostro esercitoe marceremo sul mondo. Ma prima c'era da sbrigare la vostra piccola formalità. Ora scusaci, ma si sta facendo tardi: è quasi mezzanotte. Lo so, non siamo molto originali…ma che vuoi? Ci teniamo alle tradizioni."Mentre i due demoni si avvicinavano a lui Martino riprese in mano il piccolo Crocifisso di legno e lo strinse fino a ferirsi lievemente una delle mani. I due cambiarono espressione e si arrestarono.
"Stupido Monaco, un uomo dovrebbe capire quando è sconfitto. Butta via quell'oggetto! "Martino si rivolse allo sconosciuto che continuava a restare inerte dietro di loro e gli gridò con rabbia." Tuuu ! Chi sei? "
" Sacerdos Christi , cur me derogas? Tu scis me esse diabolum."
……il dragone, il serpente antico……
Quella voce…Gli ricordava qualcuno…
Con un gesto lento e teatrale sollevò anch'egli la sommità del saio.…si nasconderà e indosserà falsi abiti …Martino sgranò gli occhi e lasciò cadere il crocifisso nel riconoscere il volto del Cardinal Montani.Prima che potesse riprendersi dal grande stupore e rendersi conto dell'errore commesso, i due demoni più vicino a lui approfittarono immediatamente della situazione e con rapidi gesti delle mani scagliarono in fondo allo stagno ciò che era ormai tornato ad essere solo un manufatto di legno.La falsa identità assunta dal terzo componente della trinità satanica, fece capire a Martino quale fosse il reale pericolo che si profilava per tutta l'umanità.Nemmeno si accorse che gli altri due lo avevano raggiunto e lo attaccavano.
Mentre un'invisibile morsa gli serrava la gola, poteva sentire le ultime parole irridenti di colui che aveva conosciuto come Tommaso."Il Nostro Cardinale è un uomo di futuro avvenire, però quel misero saio scuro non è adatto a lui…."La pelle si deformava e la cartilagine mandava sinistri scricchiolii.
"Sai, credo che gli doni di più il bianco."Il ragazzino gli si era avvicinato, non parlava ,ma la guardava con la sua consueta orribile espressione, peggiore delle parole di Tommaso
….La chiesa ha bisogno di un uomo moderno,che riunifichì la Cristianità, che apporti radicali riforme, dovresti sentire che bel programma di politica estera abbiamo per lo Stato Pontificio. Credo che stavolta il Santo esercito non verrà sconfitto. Abbiamo dei mercenari molto bravi."Ogni tentativo di sfuggire a quella presa era vano, e il Monaco sentiva che le forze lo abbandonavano.Chiuse gli occhi e all'improvviso non percepì più alcun suono.Dopo un istante che sembrò lunghissimo avvertì di nuovo voci, ma non erano le stesse di prima. Sembravano dolci e amichevoli, ed erano sempre di più.Nonostante avesse gli occhi chiusi vide chiaramente una piccola abbagliante sfera di luce scendere dal cielo su di lui. Tante altre seguirono lungo l'itinerario tracciato dalla prima prodigiosa entità, mentre altre presero a sollevarsi dalle acque nere e dense dello stagno e salire sopra la sua testa. 
Tramite una stranissima sensazione i suoi sensi addormentati percepivano il Grande Anfiteatro di pietra riempito da scie di bagliori accecanti, e lo smarrimento e la paura dei tre demoni che pervadeva l'aria.Un’altra sensazione, molto più nitida cresceva in lui, era pura forza, fervore, e senso di giustizia.Ricordò la squallida formazione degli insetti che gli avevano sbarrato la via, e capì quello che stava succedendo.Come un’infinità di gocce d’acqua si uniscono per trasformare un sottile rivolo in un torrente dirompente, la volontà di una moltitudine di esseri buoni rinfrancava la sua.Avvertì infinite presenze dentro di lui, come se da un istante all'altro attraversasse fugacemente l'anima di una miriade di persone. O forse erano quest'ultime ad attraversare la sua.Mille voci,mille immagini.
Non era solo in quell’inferno, c’era l’Abbate Gerardo, Giacomo, Donato, Michele e un infinità di altre persone che lo sostenevano, e ricorrente era l’immagine di un Frate con barba e capelli bianchi, che non conosceva.Dalle acque nere e dense dello stagno vide sollevarsi altre sfere che sfrecciavano verso di lui,
e riconobbe le anime di tanti sventurati , Martiri cristiani che avevano trovato la morte in quel tempio Pagano, trafitti o divorati dalle bestie feroci.I tre demoni si avvicinarono per congiungere le loro forze, compirono gesti arcani, e la moltitudine infernale rispose con urla e ruggiti, colpi di spada e acclamazioni.
Nuove presenze, provenienti dal Monastero, affollarono il ristretto ambiente.
….e vi raduneranno i loro eserciti….
Ma Martino non aveva più paura, anzi era sollevato dall'aver tolto l'assedio ai suoi confratelli, sentiva dentro di se la forza, enorme e scalpitante.Il grande torrente pressava sugli sbarramenti.
Ancora quel Frate misterioso gli apparve, lo incitava e lo chiamava con uno strano nome.
…ma di nuovo il Verbo di Dio scenderà dal cielo, salirà dalla terra…Martino protese in avanti la mano.
…e di nuovo sarà gran battaglia …Nonostante il suo corpo fosse immobile e senza vita, strangolato diversi minuti prima dai demoni, Martino era nel mezzo di una terribile battaglia, molteplici forze gli si paravano contro e tante altre lo sostenevano alle spalle.
Poi sentì le forze del male indebolirsi e frantumarsi di fronte a lui, come l'argine che cede di fronte alla furia delle acque.Un bagliore accecante attraversò l'aria e si sollevò verso il cielo, gli urli di mille anime dannate si unirono in uno solo, e i tre infernali esseri che avevano capeggiato quell'esercito si dissolsero in polvere. Poi il silenzio più assoluto tornò in quel luogo, ma durò solo un istante, perché subentrò il rumore del vento, un vento gelido che spazzò presto via la nebbia, e muoveva lo stelo delle piante acquatiche, che ora non sembravano più mostri scheletrici.I grilli, gli uccelli e mille piccoli animali tornarono a far sentire il loro canto che emergeva dalle acque dello stagno, ora colorate di verde.I corpi dei monaci erano scomparse, come pure le carcasse incenerite delle mosche.
Il corpo di Martino rimase ancora un po' disteso ai suoi piedi, con gli occhi chiusi e l'espressione serena. Martino lo vide scomparire lentamente.
Gli apparve ancora l'immagine del Frate Francescano che aveva combattuto al suo fianco durante la lotta. Capi che era Francesco da Roubais. Ora gli sorrideva e gli indicava qualcosa con la mano alle sue spalle. Voltandosi vide un varco oscuro che si era aperto alle sue spalle, un’ incredibile profonda nera cavità che sembrava estendersi all’infinito. Non aveva più paura e varcò quella soia.   
Nel farlo percepì per un istante un misterioso fulmineo bagliore.Proseguì perché sapeva che era la luce in fondo al tunnel e non l’ultimo bagliore quando penetri l’oscurità.