Racconti Fantasy

Quando cambia il vento
 

Quando cambia il vento, succedono strane cose nelle terre centrali. Quando, in primavera,  l’umido vento dell’Est lascia il posto al secco vento dell’Ovest, nelle grandi pianure verdi al centro dell’ex Reame di Camrinien cala un’atmosfera magica, per poche ore elfi, folletti, fate e tante altre creature escono allo scoperto per festeggiare la nuova stagione. Per poche ore ogni persona si sente il cuore in pace, è presa da un incontenibile buon umore, ogni guerra è sospesa. In quelle poche ore accadono i miracoli più straordinari. Ma solo per poche ore.

La storia che vi sto per raccontare narra proprio di un miracolo.

 

Erano ormai tre anni che Lucas, un giovane proveniente da Ak-ràm, la capitale del principato di Kramh, aveva lasciato la sua città natale. Nessuno aveva capito quel suo gesto. Era figlio di un ricco mercante, non gli mancava niente, aveva amici a volontà ed era benvoluto da tutti. Stava per completare la scuola d’armi e sarebbe stato nominato campione a giorni se solo avesse proseguito. Forse non sapeva neanche lui il perché. Un giorno, così, di punto in bianco, aveva preso un cavallo, neanche il migliore, una spada, un po’ arrugginita e ammaccata, un mantello pesante per l’inverno e aveva lasciato la città. A che gli chiedeva dove avesse intenzione di andare, rispondeva con voce triste:

- Mi farò portare dal cavallo. - e continuava per la sua strada, lasciando l’interlocutore incapace di ribattere.

Aveva cominciato così a girovagare per le grandi pianure, che costituivano la maggior parte del Principato di Kramh, senza una meta precisa, semplicemente seguendo le strade, i sentieri o le piste, fino a che non trovava qualcosa ad ostacolarlo. Molto spesso, quando si trovava davanti a immensi prati, lasciava il cavallo libero di decidere cosa fare, oppure seguiva la direzione del vento.

Spesso era costretto a dormire all’aperto, che fosse inverno o estate, che piovesse, nevicasse o ci fosse la luna. Quelle poche volte che trovava riparo, raramente la costruzione in cui alloggiava era abitata da uomini. Quando bussava ad una porta e qualcuno gli rispondeva, spesso il padrone di casa non era altro che un semplice contadino, ma era capitato più volte che gli aprisse il servo di un padrone dal cuore gentile o, ancora più spesso, dal cuore bastardo, che non aveva esitato a cacciarlo senza tanti complimenti. Ma aveva anche alloggiato insieme a bande di briganti, a cui aveva promesso favolosi tesori in cambio di un tozzo di pane. Comunque, tutti rimanevano ugualmente sorpresi quando, una mattina, trovavano il letto dell’ospite vuoto. Per la maggior parte delle volte era fuggito così di nascosto perché si era accorto che stava sconvolgendo la famiglia nella quale era capitato, ma non di rado, così facendo, aveva evitato una pugnalata a tradimento. Il suo percorso poteva essere segnato su una mappa grazie anche alla scia di cuori infranti di giovani fanciulle che si era lasciato dietro in tutto il suo vagabondare. Molte di esse avrebbero dato qualsiasi cosa perché quel misterioso cavaliere solitario mettesse le radici a casa loro, ma egli pareva avere un cuore incorruttibile, quasi come un monaco, o, secondo alcune, pareva proprio non averlo.

Se aveste chiesto di lui, nei posti in cui si era fermato, non vi avrebbero saputo raccontare altro che la sua descrizione, il suo strano fascino, ma niente di più. Non diceva mai a nessuno il suo nome, né da dove venisse, né che intenzioni avesse. Aveva fatto così fino ad allora, ed era deciso a persistere.

 

Se lo era appena ripromesso sulla riva di un fiume, mentre ripensava a tutte le sue avventure e aspettava che un pesce gli capitasse a tiro. Un rumore sospetto lo fece sussultare, ma quando si girò per controllare l’origine di quello spavento, lasciò cadere il ramo appuntito che usava come arpione con un’imprecazione, e osservò furioso ma impotente la scena che gli si presentava davanti. Una serie di spade arrugginite e poco affilate era puntata contro di lui, e all’altra estremità di ciascuna vi erano degli omacci nerboruti, scalzi, alcuni vestiti solo con un sacco da mugnaio, dal sorriso sdentato e l’alito ammazza-cavalli, che però non era niente al confronto del tanfo che emanavano quella serie di cosi neri e pelosi che qualcuno, con molto coraggio, avrebbe definito delle ascelle. In parole povere, era stato attaccato da una banda di ladroni. Che in condizioni normali non avrebbe avuto difficoltà a sconfiggere, se solo avesse avuto in mano una spada. Ma la sua era ormai al sicuro, insieme al cavallo e al resto delle sue cose oltre quel maleodorante muro.

Analizzò la situazione in pochi decimi di secondo e valutò possibili tre alternative:

a) lasciarsi catturare e fuggire al momento opportuno con tutte le sue cose;

b) darsi alla fuga tuffandosi nel fiume, seguire da lontano i banditi e riprendersi tutto appena possibile;

c) sperare nella buona sorte.

Fu praticamente costretto a scegliere l’opzione c, perché una pattuglia di soldati dalle sgargianti uniformi scarlatte sbucò dal nulla e arrestò tutti quelli che erano presenti sulla scena, senza fare distinzioni.

 

Lucas sbuffò per scacciare la penetrante puzza di sudore in putrefazione che gli stava assalendo le narici. “Ma questi non si lavano neanche quando piove? Mi sa che l’ultima volta che si sono fatti un bagno, è stato quando sono nati” pensò, mentre cercava di carpire un po’ di aria pulita da dietro le sbarre della porta.

- Devo proprio stare insieme a questo carico d’immondizia?- chiese stizzito alla guardia che cavalcava accanto al carro prigione dentro il quale era rinchiuso.

- Kosì impari a skonfinare. - gli rispose quello- La prosima folta che entri nel Dukato, pasa per i kancelli della docana, forse afrai un’acolienza miliore. E poi non sapiamo dofe tenerti. Kapisci ke non posiamo fidarci a darti un cafallo. Komunque, non ti preocupare: tra un paio di ore saremo ala kaserma, e prometo che ti farò metere in una cella difersa dalla loro. - Il soldato scoppiò in una fragorosa risata. Lucas lo scrutò con odio da dietro le sbarre. Già a guardarlo in faccia, si capiva che non era affatto simpatico, e se poi gli si aggiungevano tutti i difetti di pronuncia, gli accenti completamente sbagliati e le “r” mosce, tipiche del dialetto orientale, diventava una persona veramente odiosa. Per la prima volta, Lucas desiderò  di non essere mai partito da casa.

 

- Capitano, le ripeto che io non avevo la minima idea di aver sconfinato. Sono cinque giorni che non incontro anima viva, come facevo a sapere di essere così vicino ai confini del Ducato?- Era come minimo la diciottesima volta che ripeteva la stessa cosa, ma il Capitano delle guardie doganali di frontiera del Ducato di Mhork non aveva nessuna intenzione di credergli.

- E io come faccio a sapere che non mi stai imbrogliando?- scattò adirato il Capitano - Come faccio a sapere se è vero che sei una semplice vittima di quei ladroni? Tutti loro hanno affermato di non conoscersi l’un l’altro, eppure stavate tutti nello stesso posto, in mezzo alla foresta, che tra l’altro è proprietà privata del nostro signore, il Duca Mhorkay, e quindi l’accesso vi è consentito solo a lui. Tu poi, che stavi pescando di frodo, ti sei già guadagnato tre mesi di galera. - lo minacciò.

- Ma non avevo ancora preso niente!- si difese disperatamente il giovane.

- Ma avevi in mano un arpione, fatto con il legno di un albero della foresta, reato punibile con altri tre mesi! E non mi interrompere mentre parlo!…-

- Ma non avevo nessuna idea di essere in una proprietà privata! Gliel’ ho già detto…- il Capitano lo fulminò con uno sguardo così esplicito che Lucas si sentì ridotto in cenere, quando lo fissò negli occhi. L’ufficiale ordinò con un sibilo di portarlo via, trattenendosi a stento da strangolarlo all’istante.

Saranno state come minimo le due di notte, ma nella caserma sembrava mezzogiorno, tant’era in fermento. Si vedevano soldati in uniforme dappertutto, e nessuno sembrava essere stanco. Lui, invece, si sarebbe fatto volentieri una bella dormita.

Lì nel Ducato dovevano avere una strana concezione dello spazio, perché nelle celle, che misuravano circa sei metri quadri, venivano alloggiati anche cinque detenuti. Per fortuna lo misero insieme ad un solo carcerato. Questo era un vecchio, di forse settant’anni, vestito con degli stracci dal colore indefinibile, che in quel momento stava dormendo, disteso su una delle panchine di legno attaccate al muro, ma si destò non appena la chiave fece scattare la serratura e i cardini cigolarono sui perni. Si mise a sedere e restò a guardare il nuovo venuto che entrava, poi appena i passi dei soldati si furono allontanati abbastanza, chiese:

- Allora, che hai fatto di bello per venire a farmi compagnia?- Aveva la voce simile a quella di una cornacchia che ha appena imparato a parlare.

- Sono stato attaccato da un gruppo di ladroni mentre pescavo nella foresta, e intanto sono arrivati anche i soldati, che mi hanno scambiato per uno di loro. - Sintetizzò seccatamente il giovane, ma si pentì subito di quella confessione così affrettata: non era da lui aprirsi subito ad un perfetto sconosciuto. Contemporaneamente però si sentì anche la coscienza più leggera, e capì al volo che se non diceva qualcosa, rischiava di scoppiare. Non si confidava più con nessuno da ormai tre anni, e aveva talmente tante cose dentro che se non svuotava un po’ la riserva, gli sarebbero uscite tutte in un colpo. Si promise, comunque, che avrebbe usato una certa prudenza nel parlare.

- E tu? Che ci fai in un bel posto come questo?- chiese a sua volta, sarcastico.

- Io ho l’abitudine di procurarmi le cose da solo, non so se mi capisci. - cominciò quello con il tono di chi racconta una storia - Però mi sono sempre accontentato solo dello stretto indispensabile per sfamarmi. Ma con il sopraggiungere della vecchiaia mi sono accorto che non riuscivo più a vivere scappando e nascondendomi. Così ho deciso di cominciare ad accumulare qualcosa per vivere quel poco che mi rimane in maniera decente. - Fece una pausa, e ricominciò con un tono di voce che adesso era più simile alla tristezza malinconica- Sai, è per colpa delle donne che mi sono ridotto così. Fu una ragazza, tanto bella quanto bastarda, che mi promise il suo amore e io, stolto com’ero, mi sono lasciato portare in giro. Ho speso tutta la mia fortuna per farla contenta, e quella mi ha abbandonato all’ultimo momento. È stata una donna, che ho cercato di derubare, che mi ha spedito qui dentro. - e così dicendo, tirò fuori da chissà dove un medaglione di un colore simile a quello dell’oro, che si mise ad osservare malinconicamente. - Aveva solo questo addosso. Non valeva la pena di finire dentro per così poco. Non è neanche d’oro. - lo mise in mano al compagno, che lo osservò dapprima svogliatamente, poi sempre più incuriosito. Che strano… aveva qualcosa di familiare quell’oggetto…Il vecchio notò l’espressione di Lucas.

- Che hai, ragazzo?- chiese incuriosito.

- Che coincidenza… feci fare un medaglione simile cinque anni fa per una ragazza. Ma quello aveva anche…- mentre parlava, faceva scorrere il dito lungo il bordo, e questo ad un certo punto scattò e si aprì, rivelando altre due facce interne dove vi era dipinta una miniatura e incise delle parole. L’espressione del ragazzo cambiò da curiosa a stupita, fino a trasformarsi in incredula.

- È lui…- bisbigliò estasiato.

- Lui chi?- s’incuriosì il vecchio.

- Non ci credo… è proprio lui…-

- Ma lui chi?- insisté.

- Feci fabbricare questo medaglione cinque anni fa- spiegò euforico il giovane- per una ragazza di nome Sarah. Vedi,- disse mostrando la miniatura- questi siamo noi due… “Da qualunque parte spirerà il vento, il mio pensiero riuscirà sempre a raggiungerti, dovunque tu andrai, il mio cuore sarà sempre con te”… si, è proprio lui. Queste frasi le ho composte apposta per lei.- il vecchio prese il medaglione che gli porgeva il ragazzo eccitato. Su una faccia vi erano raffigurati i visi di un ragazzo e una ragazza che si guardavano e sorridevano, mentre l’altra era quasi interamente occupata da alcune righe scritte in alfabeto runico. Era una lingua che non si sentiva in giro da forse due secoli, si era estinta ancora prima che venisse messa al potere l’ultima dinastia imperiale. Bisognava chiedere a qualche storico che conoscesse le lingue arcaiche o a qualche essere pluricentenario per scrivere quelle frasi. Il vecchio si concentrò sulla miniatura, poi diede uno sguardo alla finestra dalla quale aveva cominciato a tirare una leggera corrente d’aria. Un gufo lanciò il suo verso due volte.

- Ragazzo, mi pare di aver capito che oggi non è gran che come giornata per te, vero? Per questo ti do una buona e una brutta notizia, invece di una sola brutta: la buona, è che la ragazza a cui ho fregato il medaglione è esattamente quella della miniatura- il viso del ragazzo si illuminò tanto che la cella sembrò rischiarata a giorno- la cattiva è che io me ne vado adesso, per cui scordati ulteriori particolari.- Appena ebbe finito di parlare, l’intera parete nella quale si apriva la finestra venne completamente asportata. Nel piccolo locale si formò un vento fortissimo, tanto che Lucas non riusciva a tenere aperti gli occhi. In mezzo al vorticare dell’aria, udì il vecchio che lo salutava.

- Addio, ragazzo! E buona fortuna per la tua ricerca!- Lucas si arrischiò a guardare la scena attraverso una fessura delle palpebre. Il vecchio ladro si stava legando alla vita una corda che pendeva dall’alto. Evidentemente lo erano venuti a prendere con un grifone. Mentre lo guardava, Lucas realizzò all’istante che non poteva lasciarsi sfuggire un’occasione del genere, esitò per un centesimo di secondo, poi, mentre il chiasso dei soldati nel corridoio si faceva sempre più vicino, prese la rincorsa controvento e si aggrappò all’ultimo metro di corda che pendeva ancora dal cielo. I complici del ladro non dovevano aver previsto di caricare un altro peso, perché il grifone ebbe sussulto e fu lì lì per precipitare rovinosamente, ma per fortuna riuscì a tenersi in quota, anche se con molta fatica, e si dileguò nel buio.

 

La pietra di cui era in gran parte composta la grotta scelta come rifugio dai fuggiaschi continuava a restare fredda e umida, nonostante il fuoco ardesse ormai da diverso tempo e spesse coperte separassero il terreno dalla pelle degli uomini. Erano circa tre ore che erano entrati in quel profondo buco nella roccia, ma ancora nessuno aveva rivolto la parola a Lucas, si erano limitati a lanciargli occhiate fulminanti, segno della loro disapprovazione. Il giovane non ne poteva più di sentirsi addosso tutto quell’odio senza che esso venisse sfogato. Continuava a spostare lo sguardo nervosamente su ognuno dei suoi tre compagni, senza osare guardarli in faccia. Oltre al vecchio, c’era anche un uomo sulla cinquantina, dal viso abbronzato e con molte rughe intorno agli occhi a mandorla, e un giovane, massimo trent’anni, di bell’aspetto, e che aveva l’aria di avere gli occhi di un falco. Stava per cedere ad una crisi isterica, quando il suo ex compagno di cella gli rivolse la parola.

- Ma che ti è saltato in mente? Volevi farci ammazzare tutti?- lo rimproverò con lo sguardo di chi è arrivato ad un passo dalla morte in faccia e sapeva che poteva benissimo evitarlo. – Spero che tu abbia dei motivi più che validi per rischiare la tua vita, quella di altre tre persone e di un grifone. Lo sai che chi uccide uno di questi animali, volontariamente o no, viene immediatamente giustiziato?- il ragazzo assentì debolmente con la testa. Finalmente le accuse venivano formulate, e poteva concentrarsi sui sensi di colpa che lo attanagliavano, senza più preoccuparsi di essere ucciso a tradimento. Si sentiva terribilmente in colpa, era la prima volta che infrangeva la legge coscientemente, e per di più per uno scopo futile come il suo. Si, adesso che ci pensava bene, l’obbiettivo di quel suo viaggio, per il quale aveva sofferto ed aveva fatto soffrire, era davvero effimero, per non dire stupido.

- Mi dispiace.- fu tutto quello che riuscì a dire. I tre uomini che gli stavano davanti lo guardarono attraverso le fiamme del piccolo falò come si guarda un traditore pentito, ma non alzarono un dito, né tantomeno gli dissero niente.

Dopo una lunga pausa, il più giovane del gruppo ruppe il silenzio che rischiava di diventare eterno.

- Bene o male, adesso siamo tutti fuorilegge, e da queste parti non sono molto comprensivi, soprattutto con i recidivi. Ormai la frittata è fatta, e non possiamo fare altro che scappare. Tra poco tutti i boschi brulicheranno di soldati del Ducato, e se ci vedono un’altra volta non ce li staccheremo più di dosso. Il nostro piano iniziale prevedeva una rapida fuga con il grifone, ma grazie a te- e lanciò un’occhiataccia a Lucas, che ritirò la testa ancora più dentro al mantello- ora siamo costretti a fare a meno di Flior, visto che i cieli, a quest’ora, saranno pattugliati da stormi di volatili. Non ci resta che andare a piedi. Come punizione, meriteresti di essere lasciato qui a marcire dentro ad un sacco, ma noi non siamo bastardi fino a questo punto e abbiamo deciso di tenerti, nonostante tutto. A patto di non combinarci altri casini, ovviamente. Al prossimo fallo, sei fuori: puoi considerarti morto.- il tono più che esplicito dell’uomo fece assentire Lucas in modo automatico, e nello stesso tempo promise a se stesso di non fare mai più niente di avventato. Quando gli animi si furono un po’ calmati e l’atmosfera un po’ distesa, il vecchio sospirò sonoramente, poi attaccò a parlare, con tono quasi allegro.

- Se non sbaglio, tu hai rischiato di farci ammazzare tutti per quella storia del medaglione, giusto?- Lucas lo guardò stupito. È vero, lo aveva seguito per sapere qualcosa di più sull’ex proprietaria di quell’oggetto, ma come faceva lui a saperlo?- Non ci vuole molto- riprese il ladro leggendogli nel pensiero- chiunque avrebbe sfruttato il buco nel muro per scappare verso il bosco, oppure, ritenendosi innocente, sarebbe rimasto lì, come avresti dovuto fare tu. Invece mi sei venuto dietro perché vuoi sapere di quella ragazza. O no?- Lucas assentì, arrossendo.

- Si, in effetti ti sarei grato se mi dicessi qualcosa in più sulle circostanze in cui glielo hai fregato.-

- Ti piacerebbe, eh? Prima però dimmi tu qualcosa di lei.- lo ricattò il vecchio.

- Si chiamava Sarah- attaccò quello senza starci a pensare troppo su. Ogni buon proposito di riservatezza sul suo passato si era polverizzato di fronte alla promessa di informazioni sulla ragazza.- ed era una delle mie migliori amiche. Ci siamo conosciuti da bambini, quando si trasferì con la sua famiglia nella capitale, e da allora non ci siamo più lasciati. Suo padre era un diplomatico, lavorava alla corte del Principato, per il Principe Cludomìr, per questo si erano trasferiti in città. Cinque anni fa, suo padre fu incaricato di fare una specie di censimento degli alleati, dei nemici e dei neutrali, allo scopo di riorganizzare l’esercito regolare. Partì portandosi dietro tutta la famiglia, dicendo che avrebbe completato il compito entro due anni. Fu in quell’occasione che le regalai il medaglione. Aspettai due anni interi, e anche più, poi decisi di andarli a cercare. Conoscevo bene il padre di Sarah: se si prefiggeva un termine, portava a termine il suo obbiettivo entro quel lasso di tempo a meno che non incontrasse difficoltà più che grandi. Se non era ancora tornato, voleva dire che gli era successo qualcosa di grave. Siccome non sapevo da che parte cominciare, mi sono messo a vagare senza meta per le terre centrali. Per tre anni non ho fatto altro che andare da un paese all’altro in cerca di informazioni, ma per tre anni… niente. E ora, finalmente, posso sapere qualcosa di concreto.- concluse, e guardò speranzoso il vecchio, che gli restituì un sorriso. Poi, dopo un bel sospiro, cominciò la sua parte della storia.

- La prima e l’ultima volta che la vidi, fu circa un mese fa. Ero nella capitale, Beher-Morkia, perché speravo di beccare qualche grosso malloppo senza troppi rischi. La presi come bersaglio perché aveva l’aria del classico ingenuo con il portafogli pieno, e ad una certa distanza quel medaglione sembrava fatto d’oro. Puoi immaginare la mia delusione quando scoprii che aveva solo quello, e valeva quanto un cucchiaio di rame. Quando me ne accorsi, ormai ero già lontano, e pensai di restituirlo, ma quella mi fece trovare al suo posto un drappello di soldati. Oramai sono passati più di trenta giorni, non ho la minima idea di che fine abbia fatto. Mi spiace, non so dirti altro.- Lucas lo ringraziò calorosamente lo stesso. Almeno ora sapeva che era viva, o che lo era fino ad un mese fa, e che non era molto lontana dal Ducato. Era più di quanto sperasse. Appena fosse riuscito a uscire da questa disgraziata situazione, si sarebbe messo sulle sue tracce, ed era più che sicuro che ne avrebbe trovate tante.

 

Lucas fermò il cavallo giusto in tempo per non finire addosso al vecchio, che aveva appena inchiodato con la sua cavalcatura a pochi passi da lui.

- Ma che diavolo fai?- si irritò il giovane.

- Ssst! Ascolta! – gli ordinò quello.

Lucas si calmò, e tese le orecchie. Per qualche attimo cercò di sentire ciò che il vecchio Cassius pareva ascoltare con grande attenzione, poi fece per chiedergli qualcosa, ma l’altro lo precedette e, con uno sguardo lo fece tacere.

- Il vento…- mormorò.

Lucas si concentrò allora sull’arietta che gli soffiava tra i capelli. Era un vento estivo, caldo, secco, che soffiava quasi incessantemente da Est. Lo conosceva bene, si era fermato tante volte ad ascoltare le notizie che gli portava l’aria. Ma ora c’era qualcosa di diverso. Si sentiva che il vento stava perdendo la sua naturale forza, che si stava calmando.

- Oggi è l’equinozio d’autunno!- si ricordò all’improvviso, tanto che il silenzio parve rompersi come un bicchiere di cristallo. Infatti, a poco a poco il vento si calmò e smise del tutto. Nella piana calò una calma quasi magica, le facce dei cavalieri che gli stavano accanto si rilassarono e addolcirono, Lucas sentì il peso di tutti i problemi che aveva sulla coscienza ridursi fino a scomparire. Perfino i cavalli che montavano, di solito irrequieti e restii a eseguire i comandi di una mano debole, diventarono docili e pacifici, e alzarono la testa, stanca per la lunga galoppata, per annusare quell’aria nuova.

- Come si fa a continuare a scappare, in un momento come questo?- domandò con aria beata Kham Shin. A guardarlo in viso pareva che gli si fossero distese la metà delle rughe.

Scesero tutti dai cavalli, li legarono ad alcuni alberi, e si stesero sull’erba della piccola collinetta, a godersi quel momento di pace.

- Non pensi che così ci raggiungeranno?- domandò dubbioso Lucas.

- No- rispose svogliatamente Flitch, il più giovane dei suoi compari- questa è una giornata sacra per loro, non si permetterebbero mai di accanirsi contro altri, soprattutto se rispettano le tradizioni, come stiamo facendo noi adesso.- e dicendo ciò si rilassò completamente, chiudendo gli occhi e cadendo in una specie di catalessi.

- Quali sono i programmi per il futuro, sempre se ne abbiamo?- chiese con tono calmo Lucas.

- Dovevamo congiungerci con il resto del nostro gruppo due giorni fa, ma ora, grazie alla tua furbizia, dovremo posticipare di altri due o tre giorni, se tutto va bene. - gli rispose Cassius, con tono altrettanto rilassato. - Continueremo a cavalcare verso ovest, fino a che non raggiungeremo i confini del Ducato. La ci aspetta il resto della banda. Se siamo fortunati, eviteremo di attraversare l’ultima parte della foresta. Non mi fido a passarci in mezzo. Se ti beccano un’altra volta lì dentro,- scherzò rivolto a Lucas- rischi come minimo l’ergastolo, e poi sarà difficile passare inosservati. Speriamo solo che non abbiano già messo delle guardie a sud della selva, o saremo costretti a deviare nel deserto. -

- In poche parole, non ci rimane che sperare. - concluse il giovane, con aria poco preoccupata. Quel momento dell’anno era davvero speciale. Faceva sembrare tutto così insignificante, anche i problemi più importanti si riducevano a piccole ombre che non riuscivano ad oscurare quello splendido sole.

Nelle tre ore che rimasero fermi a riposare, ebbero il tempo di vedere tre giovani fate, talmente piccole che potevano stare accucciate nel pugno chiuso di un uomo; e in lontananza un stormo di aquile giganti. Gli passarono accanto persino alcuni elfi silvani a cavallo, un’apparizione che lasciò tutti senza fiato per la magnificenza e lo splendore di quegli esseri. Reazione simile la suscitarono anche un gruppetto di ninfe, creature tanto splendide quanto schive, che passeggiava tranquillamente a pochi passi dal margine della foresta.

“Se tutte le donne umane fossero belle la metà di quelle creature divine, non sarebbe un problema per le ragazze trovare marito” pensò quasi ironicamente Lucas.

Quando, tempo dopo, si rialzò l’umido vento dell’ovest, il cambiamento fu così repentino da cogliere tutti di sorpresa. Insieme alla nuova brezza, arrivò anche lo stridente urlo di un grifone a cui viene impartito un ordine troppo brusco. La conclusione era logica: li avevano avvistati.

Risaliti in fretta e furia sui cavalli, si lanciarono al galoppo verso un bosco distante circa mezzo chilometro da lì. Ma nessun destriero, per quanto veloce possa essere, è in grado di eguagliare un grifone, che infatti raggiunse i fuggitivi in poco tempo. Appena la distanza lo permise, dalla groppa dell’animale spuntò la testa di un soldato, che cominciò a scoccare frecce sui cavalieri.

Fu solo per pura fortuna che nessuno di quei dardi colpì uno dei quattro compagni, che riuscirono a raggiungere incolumi il riparo degli alberi. Oramai però erano stati individuati, e tutti sapevano bene quanto veloce ed efficiente fosse l’esercito del Ducato. Che potevano fare? Erano riusciti a sfuggire alle sue grinfie già una volta, e per miracolo, non l’avrebbero fatta franca ancora una volta.

Nel piccolo consiglio che tennero quel pomeriggio, in una piccola radura al riparo da occhi indiscreti, si ripeté una scena simile a quella di qualche giorno prima, dove fecero il punto della situazione e avanzarono le proposte per rimanere in libertà.

- I nostri compagni ci aspettano oltre il confine, a circa tre giorni di viaggio da qui verso Est. - cominciò il vecchio Cassius - Anche se galoppassimo dall’alba fino al tramonto, non ce la faremmo mai a raggiungerlo prima dell’esercito ducale. Inoltre, se riuscissimo a evitare tutti gli agguati che ci tenderanno, il confine sarà sicuramente presidiato. Questa è la situazione, forza, sentiamo cosa proponete. - si sentiva nella voce un sottile velo di stanchezza, probabilmente perché erano diversi giorni che dormivano poco e cavalcavano tanto. Se non trovavano una soluzione al più presto, ci sarebbe stata una crisi di nervi senza precedenti, Lucas ne era sicuro.

- Ci potremmo dividere, e cercare di raggiungere il confine ognuno per conto proprio. Così dispersi, ci faremmo sicuramente notare di meno, e eluderemmo più facilmente la sorveglianza che in gruppo. - propose Kham Shin.

- Ciò che dici è sensato, ma se non ce la facessimo tutti? Cosa dovrebbero fare gli altri?- con poche frasi, Cassius aveva smontato la tattica, e l’abbronzato volto dagli occhi a mandorla del compagno si rabbuiò.

- Semplice: una volta che il primo riesce a raggiungere i vostri complici, si aspetta un altro po’ di tempo. Se non arriva nessun altro, il luogo dell’appuntamento si sposta in un altro posto, dove si può aspettare tranquillamente. - con altrettanta semplicità, Lucas aveva rimesso in piedi la strategia di Kham Shin che venne subito adottata all’unanimità, in assenza di piani migliori.

Stettero un altro po’ a discutere sul posto di ritrovo, ma ad un certo punto Flitch fu assalito da un dubbio e chiese:

- Ma, ora che abbiamo detto cosa fare in futuro, cosa facciamo adesso? Da che parte si dirigerà ognuno?-

- Calma, ragazzo, calma.- lo bloccò Cassius- Oggi non abbiamo ancora pranzato, se non ricordo male.-

- Cassius ha ragione.- intervenne Lucas- Siamo tutti molto stanchi, e abbiamo bisogno di almeno di un pasto e una dormita come si deve prima di rimetterci in cammino. Io suggerisco di rimanere insieme almeno il tempo di un pasto.- il consiglio fu accolto con un po’ di borbottii, ma alla fine ognuno scoprì di essere veramente affamato, e così ritardarono il momento della dipartita.

 

- Un ululato.. lupi! Maledizione, ci si mettono anche loro, adesso…- ansimò Lucas. La lunga corsa gli aveva completamente bruciato ogni traccia di energia, i fianchi gli dolevano e non riusciva quasi più a respirare la gelida aria mattutina. In lontananza, insieme ai sinistri ululati, gli arrivavano i rumori degli stivali calzati dall’esercito ducale che facevano scricchiolare il sottile strato di brina che, puntualmente, ogni mattina ricopriva il suolo umido.

Si concesse qualche minuto per riprendere fiato, dopodiché riprese di nuovo a correre nella direzione opposta ai rumori che gli giungevano. Ad un certo punto si arrestò e si eresse in ascolto.

- Cani! Oh maledizione, hanno i cani!- dedusse con disperazione, sentendo i latrati dei bracchi al guinzaglio che trascinavano i loro padroni sulle sue tracce. Cercò di capire da che parte arrivassero, poi riprese a scappare. Era tutto l’inverno che scappava. Non ne poteva più. Era un miracolo che non l’avessero ancora preso, dopo tutti gli agguati che gli avevano fatto. Adesso sì, che desiderava essere a casa sua, al calduccio, circondato da persone amiche. Quanto gli mancava quella sensazione di benessere, di familiarità e di calore che solo la sua casa era in grado di dargli, e che ora era distante centinaia di chilometri.

Maledisse per l’ennesima volta dentro di se il momento in cui si era diviso dai tre compari, il momento in cui era partito da casa, tre anni prima, il giorno in cui la persona che più amava lo aveva lasciato. Maledetti, maledetti i politici, maledetti i re, i duchi, i principi e le loro terre, maledetta la sete di potere, l’avidità, la cupidigia, maledetto l’inverno…

Era così immerso nelle sue maledizioni che non si accorse che era uscito di botto dalla foresta, e stava correndo in mezzo ad un prato. Fu letteralmente riportato sulla terra da una crepa, nella quale infilò un piede e che lo fece finire con la faccia nel fango. Quando si rialzò, capì finalmente di essere uscito allo scoperto, ma non diede troppa importanza alla cosa e si concentrò sulla caviglia dolorante. Non era slogata, per fortuna, ma non era una sensazione piacevole. Decise di aspettare fino a che il dolore non si fosse attenuato. Approfittò di quella spiacevole pausa per cercare di riprendere la cognizione del tempo. Aveva smesso di contare i giorni da quando si era separato dal resto del gruppo.

“Vediamo, quello era l’equinozio, il giorno dopo ci siamo divisi…ho incontrato i soldati… una settimana dopo, mi pare… Flitch l’ho rivisto che era ormai dicembre… forse verso la fine… si, era il primo dell’anno quando abbiamo pranzato con quel buonissimo coniglio… che saporino che aveva! Poi, dunque, quando mi hanno fatto il primo agguato si era ormai sciolta la neve… direi febbraio, probabilmente. Contando che mi hanno attaccato circa ogni due volte a settimana, per tre… caspita, è quasi primavera!” Quest’ultima considerazione la fece quasi a voce alta, tanto che il suono delle proprie parole, in mezzo a quel silenzio, lo fecero sobbalzare e ritornò bruscamente alla realtà. Spaventato, si acquattò tra la bassa e rada erba per paura che di essere stato sentito. Si sentiva solo il suono del vento, un suono ritmico, quasi un respiro, affannoso come il suo… Ci mise un attimo a capire, e quei pochissimi istanti gli salvarono la pelle. Rotolò di fianco, mentre nel terreno al suo posto si conficcava la lama di una spada, affondando di qualche centimetro nel fango. Si alzò in piedi, pronto a scattare dove vedeva un varco tra i nemici, ma non fece neanche un passo che si sentì mancare la terra sotto i piedi e cadde in un crepaccio.

Riuscì ad appigliarsi ad alcune sporgenze rocciose che gli graffiarono impietosamente le mani, ma non mollò la presa e tenne duro. Da sopra sentì imprecare qualcuno, ma non gli sembrava che fossero in molti. Ripresosi d’animo, raccolse le forze e tentò una lenta risalita. Più in alto, la fenditura si stringeva, tanto che poteva toccare le due pareti con le braccia allargate. Dopo cinque minuti, si arrischiò a mettere fuori la testa. Ciò che vide gli fece quasi sfuggire una maledizione alla sua vigliaccheria. Sdraiato sull’erba vi era un soldato ansimante, stanco e vecchio. Se non fosse fuggito subito, avrebbe potuto affrontarlo e batterlo senza problemi. Decise quindi di prenderlo di sorpresa e, scattato fuori dal crepaccio, gli si gettò addosso. O almeno ci provò, perché nella foga inciampò nel bordo della spaccatura e si ritrovò di nuovo colla terra bagnata in faccia. L’altro si mise a ridere.

- Quando ci si mette, il fango è una vera seccatura, vero?- detta questa frase, riprese fiato. Doveva essere veramente a corto di energie anche lui.- Mi ha fatto lo stesso scherzo prima, quando ho cercato di ucciderti. Se non fossi scivolato, a quest’ora non ti troveresti a grufolare come un porco nella melma.- Lucas si girò con la faccia verso il cielo. Queste ultime parole lo misero K.O.

“Basta” decise “ se vuole ammazzarmi, che lo faccia. Ne ho abbastanza di tutte queste fughe.” Aspettò così il momento in cui il soldato avrebbe sollevato la spada sulla sua testa, ma attese invano. Visto che non succedeva niente, si volse verso l’altro uomo, ma quello stava sdraiato a contemplare le nuvole col fiato grosso.

- Béh? Che intenzioni hai? Mi ammazzi subito oppure quando ti sarai riposato?- gli chiese con stizza. Il soldato si lasciò andare in una risata così allegra, che mise di buon umore anche il giovane.

- Ho fallito con l’attacco a sorpresa, che speranze avrei di vincere un corpo a corpo con un ragazzo robusto come te? Calmati, giovanotto, e vieni a stenderti qui con me, che la terra è più asciutta. Non preoccuparti, non ho nessuna intenzione cattiva verso di te. Non più. E poi cosa ci guadagnerei? Non hai niente addosso che possa interessarmi. - Lucas, un po’ rincuorato, si trascinò vicino al mancato carnefice, tenendosi però ad una certa distanza. Era vero, lì il terreno era più asciutto.

- All’inizio mi sembravi un ladro che scappava dopo un bel colpo, per questo ho tentato di ucciderti. Sono un disertore, non un vero soldato. Saranno anni che mi nascondo tra la foresta e queste crepe. E, a quanto pare, il tuo destino non è molto diverso, vero?-

- Si, ho avuto dei problemi con l’esercito ducale e non me la sono sentita di risolverli civilmente. Saranno sette mesi che non entro più in una casa.- E che non parlava più con nessuno. Cominciava a pesargli di nuovo la solitudine tipica della vita del vagabondo.

Rimasero un po’ a chiacchierare guardando le nuvole, poi, all’improvviso, Lucas si ricordò dei suoi inseguitori. Considerando che la sua nuova conoscenza era un disertore, non sarebbe stato piacevole per nessuno dei due essere presi. Avvertì l’amico che presto quei dintorni sarebbero stati pieni di gentaccia, poi si preparò a ricominciare a correre. L’ex soldato però lo bloccò, e volle per forza regalargli la sua spada, come ricordo di quell’incontro. In cambio, il ragazzo, gli diede il suo mantello, tanto ormai il clima si sarebbe riscaldato rapidamente.

Con quel nuovo peso sulle spalle, tornò nel bosco, tentando di non inoltrarsi troppo.

 

Non erano passate tre ore, che all’improvviso sentì abbaiare ferocemente dei cani, vicini, troppo vicini. D’istinto si lanciò nella direzione opposta, ma così facendo si accorse che stava andando verso il margine della foresta. Cercò di deviare: troppo tardi. Sentì che gli inseguitori erano riusciti ad accerchiarlo, non aveva altro scampo che uscire all’aperto.

Stavolta era veramente perduto: davanti, dietro, dappertutto. Vi erano soldati ogni dove. Smise di correre solo perché si accorse che davanti a lui si apriva un’altra di quelle maledette crepe, solo che questa era dannatamente più grande, ma in compenso aveva un ponticello che l’attraversava. Dall’altra parte, lo aspettava un esercito al completo. Arcieri, fanti, cavalieri, grifoni, pareva che dovessero scontrarsi contro un reame intero.

Infatti, chi aspettavano quelle truppe era dietro di lui. Stessi arcieri, fanti, cavalieri, grifoni, cambiavano solo gli stemmi e i colori degli stendardi.

L’inizio di una guerra, e lui stava proprio in mezzo.

Disorientato come un pesce su un sentiero d’alta montagna, fece un paio di giri su se stesso per cercare di capire se aveva ancora qualche speranza. Si accorse che era calato il vento invernale, ma il suo cervello registrò il fatto come “senza importanza” e lo accantonò in un angolo, senza far scattare il meccanismo di deduzione che lo avrebbe portato a capire che quel giorno era l’equinozio di primavera.

Osservò per un attimo i soldati che gli stavano di fronte: gli stendardi e le bandiere rosse, con un imponente cervo rampante al centro, le armature tutte uguali, portate da uomini pressoché identici che stavano fermi in una riga drittissima, con la disciplina tipica di chi è stato addestrato nel Ducato di Mhork, famoso per la rigidità e l’efficacia dei suoi sistemi.

Dall’altra parte, avvolti nei loro mantelli da guerra, i nobili kramhiani, suoi illustri compatrioti, guidavano ognuno il proprio gruppo di soldati più o meno numeroso. I portastendardi, in quell’occasione, si erano visti raddoppiare il peso delle bandiere perché, oltre allo stemma della casata del proprio signore, dovevano portare anche quello del Principe Cludomìr, uno scudo con sopra incrociate una spada e una lancia in campo blu. Anche se ogni soldato aveva un’armatura diversa, nel complesso costituivano un bello spettacolo, che contrastava con la monotonia degli avversari.

Lucas strinse d’istinto la mano sull’impugnatura della spada. Era in una situazione che non gli piaceva affatto, e aveva la curiosa sensazione di non essere estraneo a quel casino.

Il sospetto si faceva sempre più atroce ogni momento che passava, e fu finalmente confermato quando fu chiamato per nome da un soldato dalla corazza semiarrugginita, che sostava sotto una pesante bandiera blu. Si diresse con qualche esitazione verso quell’uomo e scoprì che era più giovane di quello che sembrava. Guardando meglio il volto sotto l’elmo, riconobbe un suo compagno d’infanzia.

- Karl! Sei proprio tu!- i due vecchi amici si abbracciarono, felici di essersi rincontrati. In quel momento, la gioia che procuratagli da quel diversivo lo distrasse da tutti i suoi problemi, tanto che l’ufficiale che lo stava chiamando dovette alzare la voce per farsi ascoltare.

- Giovanotto, mi vuoi ascoltare quando parlo?- lo rimproverò. Lucas si voltò verso il suo interlocutore. Era un capitano di ventura molto famoso ad Ak-ramh per la sua astuzia, ma in quel momento gli sfuggiva il nome.

- Sei tu Lucas, quello che è entrato clandestinamente nel Ducato, è stato arrestato  per caccia di frodo, è evaso ed è in fuga da sette mesi?- Lucas annuì, pronto a subire la ramanzina che era sicuro che gli sarebbe arrivata a momenti.

- Complimenti, ragazzo. Nemmeno io, se mi fossi impegnato, avrei saputo creare così tanti fastidi a quei bastardi. Veramente molto bravo. Quando questa faccenda sarà sistemata, vedrò di mettere una buona parola presso il Principe. – e, detto ciò, lo salutò con una pacca sulle spalle. Il fuggiasco non credeva alle sue orecchie! Lo stava trattando come un eroe, non come un rinnegato, come si era aspettato e come effettivamente si sentiva. Gli aveva appena fatto la lista al completo dei suoi più gravi crimini come se si trattasse delle imprese eroiche di una giovane e promettente recluta. Lo guardò allontanarsi verso l’improvvisato Stato Maggiore, poi si volse verso il ritrovato amico per farsi spiegare come stava realmente la situazione.

- Circa sei mesi fa ci è arrivata la notizia che eri stato catturato dai soldati ducali, ma non ci hanno voluto dire che cosa avevi combinato, così hanno mandato un ambasciatore per saperne di più. Era parecchio tempo che non avevamo tue notizie, e ci sarebbe piaciuto sapere che diavolo avevi combinato in questi anni, ma non hanno permesso all’ambasciatore di avvicinarti. Quando ha provato ad insistere, lo hanno minacciato ed infine è stato “gentilmente invitato a oltrepassare i confini del Ducato”, i pratica lo hanno buttato fuori a calci. È stato allora che sono cominciate le ostilità. -

- E in sei mesi siete riusciti ad arrivare ad una guerra tra due stati per causa mia? Complimenti!- Ancora non riusciva a credere che quel pandemonio fosse stato originato dal suo sconfinamento involontario.

- Se avessero permesso all’ambasciatore di parlarti, non sarebbe successo niente. È colpa loro se adesso siamo qui. – si difese Karl.

- Come facevo a parlare all’ambasciatore, se sono evaso la prima notte di prigione? -

- E perché non ci hanno detto che eri fuggito? Se lo avessero fatto, tutto si sarebbe sistemato. Sono stati zitti, peggio per loro! -

- Se non solo non avessi seguito quel maledetto vecchio…-

- Di che diavolo stai parlando?-

- C’era un vecchio, nella mia cella. È grazie a lui e ad alcuni suoi compagni che sono evaso… maledizione, perché l’ ho fatto?-

- Forza, ormai non si può più tornare indietro, combattiamo fino a che non rimarrà in vita nessuno di quei bastardi. -

Lucas annuì poco convinto. Stava per entrare in guerra, guerra da lui stesso causata. La guerra implica per forza morti e feriti, quindi sofferenze, non solo ai soldati ma anche alle loro famiglie. Se poi va per le lunghe, ci vanno di mezzo gli innocenti. Non sopportava veder soffrire chi non c’entrava niente. Peggio di una guerra c’è solo una guerra lunga, questa era una delle lezioni fondamentali che aveva appreso alla scuola d’armi. Non poteva permettere che centinaia di persone soffrissero a causa dei capricci amorosi di un ventenne.

- No, non posso. – mormorò e, senza voltarsi, prese una lancia da terra, strappò un pezzo di stoffa bianca da un lenzuolo e ve lo legò all’estremità. Poi si avviò verso lo stretto ponticello che univa le due parti del crepaccio, senza ascoltare  gli ordini di tornare indietro degli ufficiali.

Dall’altra parte, quel gesto creò un po’ di confusione, ma i nemici si riorganizzarono con la rapidità prevista dalla loro inflessibile disciplina, e immediatamente si avvicinò un altro messo. Doveva avere un certo grado, perché indossava l’armatura leggera e ricca di fregi tipica degli ufficiali e sulle spalle aveva il mantello di seta rossa che pochi avevano oltre a lui. L’unica cosa che lo distingueva dagli altri in modo particolare era il drappo scarlatto che gli copriva il volto, lasciando intravedere solo gli occhi.

Quando furono uno di fronte all’altro, alle estremità opposte del sottile collegamento tra le sponde scoscese del baratro, si scrutarono a vicenda. Osservando il corpo dell’avversario, Lucas ebbe un sussulto. Le mani delicate e quasi candide, i capelli così morbidi e lisci sotto l’elmo, il portamento aggraziato e le due sporgenze dell’armatura in corrispondenza del petto don lasciavano dubbi:

“Una donna!” pensò atterrito. In quel momento ripassò in un colpo solo tutte le lezioni della scuola d’armi. Gli avevano insegnato come usare qualunque tipo di arma, come atterrare giganti con un pezzo di spago, come uccidere draghi solo con un pugnale, come domare grifoni selvatici con una spina nel becco, come espugnare castelli arroccati su uno scoglio in mezzo ad una tempesta, ma non come combattere contro una donna.

Decise di tentare ugualmente, nonostante tutto, cercò le parole per iniziare il discorso, ma non gli veniva in mente niente. Intanto non riusciva a staccare gli occhi da colei che gli stava davanti. Sotto l’armatura doveva avere un corpo niente male. Quando la fissò negli occhi per la seconda volta, non riuscì più a smuovere lo sguardo da lì.

La sua avversaria stava sorridendo sotto il velo, allora Lucas si concentrò meglio e si accorse che quella ragazza aveva molti tratti familiari. I capelli castano chiaro, gli occhi grigio-verdi-azzurri, quell’aria di derisione che aveva nello sguardo come quando, qualche anno fa, architettava quei giochetti di parole per prendere in giro la gente senza che se ne accorgesse. Gli tornarono in mente alcune immagini di loro, bambini, che giocavano a rincorrersi nel fango, e le corse per non farsi raggiungere dalle rispettive madri arrabbiate per l’aver rovinato il vestito della festa, le scorribande con la banda di ragazzini negli orti e nei frutteti rincorsi dai contadini furibondi, i bagni estivi nel lago… In quel momento si rialzò il vento caldo dell’Est, portandogli una boccata d’aria e di idee al cervello. L’improvviso afflusso di ossigeno lo fece quasi ubriacare, tanto che cominciò a vacillare. Si avvicinò lentamente alla ragazza, ma quella sembrava allontanarsi ogni passo di più. Prima di cadere completamente, riuscì finalmente a far funzionare il suo apparato vocale.

- Sarah!- chiamò. Prima di perdere conoscenza, riuscì a sorgere per un attimo lo sguardo stupito della donna che lo osservava e intuì che gli era corsa vicino. Dopodiché, il buio lo avvolse.

 

Quando riaprì gli occhi, il cervello riprese a lavorare sotto gli stimoli esterni così bruscamente che cominciò a fargli male la testa. Si trovava in una tenda, probabilmente di un qualche ufficiale, vista la sontuosità. Intorno a lui c’era un gran baccano, e appena si voltò per capire da che parte dell’inferno era finito, tirò un sospiro di sollievo: alcuni ufficiali vestiti di rosso stavano discutendo con altri vestiti di blu. La battaglia non c’era stata.

Subito gli si avvicinò la ragazza. Si era tolta l’armatura ed ora aveva addosso solo la tunica rossa degli ufficiali che, per quanto ampia, non riusciva a nascondere le forme del suo corpo. Caspita, era ancora più bella di come se la ricordava.

I due si fissarono per un attimo, poi lei lo abbracciò piangendo.

- Certo che la vita a volte è proprio strana…- mormorò lei tra le lacrime – è incredibile quello che il destino può farti capitare. -

- Già, davvero incredibile…- fu l’unica cosa che riuscì a dire, mentre la stringeva forte tra le braccia, e le lacrime di lei gli bagnavano il vestito. Quando si furono calmati entrambi Lucas chiese, con una certa curiosità:

- Ma dimmi, come hai fato a diventare generale di fanteria? Da quello che ricordo, eri contraria alla guerra. -

- Ho deciso di arruolarmi quando mio padre è stato ucciso durante le trattative con un nobile piuttosto bellicoso. -

- Non lo sapevo, mi spiace. Ma il resto della tua famiglia che fine ha fatto? -

- Oh, la mamma è tornata da diverso tempo ad Ak-ramh con… ma tu non sapevi che sono sorella maggiore! La mamma ha partorito un maschietto, Sian, saranno si e no tre anni fa!-

- Complimenti, ma ancora non mi hai detto come sei riuscita a ottenere il comando di un’inera unità di fanteria. Non dovrebbe essere facile per una ragazza ventenne, neanche se figlia di un ambasciatore, in un paese straniero, poi. -

- In effetti ho dovuto sborsare anche un bel po’ di moneta, ma alla fine sono riuscita a convincere il comando supremo. Sai, mi sono state molto utili quelle mosse che cercavi di farmi imparare in tutti i modi da bambini, ricordi? Soprattutto quando i soldi non bastavano come convinzione. -

- Ma perché ti sei arruolata? In un paese straniero, poi. -

- Hai mai visto delle donne nel nostro esercito?- chiese sarcasticamente.

- Non mi pare che abbondino neanche in quello ducale. –  Ribatté Lucas. Sarah non ci fece caso.

- Comunque la vita che facevo nel Principato non faceva più per me, non c’era più nessuno che potesse renderla come era prima della mia partenza…-

- C’ero io! Bastava che spargessi la voce, e io non ci avrei messo molto a tornare da te!-

- Mio avevano detto che eri morto, Lu! Prova a metterti nei miei panni: non avevo più nessuno stimolo a continuare la vita che facevo prima. Pensa che ho addirittura venduto il medaglione…- A queste parole, il giovane estrasse da sotto la camicia una catenella con un ciondolo.

- Questo?- la fanciulla sgranò gli occhi.

- Come hai fatto a ritrovarlo?-

- C’e lo aveva un vecchio, i cella con me, un certo Cassius…-

- Cassius? Cassius l’alchimista?- a quell’esclamazione, Lucas si stupì.

- Lo conosci?-

- Cassius è uno dei più potenti e vecchi alchimisti dell’intero Reame! È a lui che ho venduto il medaglione. Ma come diavolo è finito nella cella di una delle caserme più squallide dell’intero Ducato?-

- A me aveva fatto credere che eri stata tu a farlo arrestare per il furto del medaglione!-

- No, assolutamente, non mi sarei mai permessa…- all’improvviso le si illuminò lo sguardo, e si mise a ridere di cuore.

- Che hai?- chiese un po’ risentito. Dopo tutte quelle disavventure, non era piacevole sentirne ridere proprio da lei.

- Ora ti spiego. Diverso tempo fa Cassius si è unito ad un gruppo di cavalieri erranti, seguendo il figlio Devil. Oltre a loro ci sono due gemelli, Jordie e Sianna, un mezzo gigante, Taurus, Flitch, che credo sia il più giovane, e Kham Shin, una specie di monaco guerriero. Da allora non fanno altro che risolvere situazioni come la nostra. Una volta mi sono fatta raccontare un paio di storie, e ti assicuro che quelli sono capaci di tutto, anche di finire in galera senza che se ne accorga nessuno. – Lucas ci rifletté su un attimo. Lui ne aveva incontrati solo tre, evidentemente gli altri erano quelli che lo aspettavano dopo il confine… ma ora che ci pensava bene, erano davvero là ad attenderlo? O lo avevano seguito per tutte le sue avventure, vegliandolo giorno per giorno? Che fossero proprio loro a indirizzarlo nella giusta direzione?

In quel momento entrò nella tenda un giovane soldato che gli ricordava in modo impressionante Flitch, il compagno di fuga. Consegnò un messaggio a Lucas, poi salutò e se ne andò.

Il ragazzo srotolò la pergamena e lesse ad alta voce:

- Mi raccomando, ragazzo, ora che l’ hai ritrovata, non fartela sfuggire di nuovo, o ti dovrai arrangiare per trovarla. I sette erranti. – Lucas accartocciò il foglio e lo gettò in un angolo della tenda, ridendo. Poi chiese ai soldati presenti se potevano cortesemente lasciarlo solo con la ragazza, e chiuse la tenda alle loro spalle.

 

Due giorni dopo, quando ogni esercito ritornò nella propria terra, tutti rimasero sorpresi vedendo due figure che si allontanavano a cavallo. Sia Lucas che Sarah, dopo tutte quelle tribolazioni, si erano visti riconoscere il valore dimostrato, e fu perdonata loro ogni colpa di cui si erano macchiati, avevano inoltre ricevuto dai rispettivi eserciti molte proposte vantaggiose, ma le avevano declinate tutte, tra lo stupore generale. Nessuno dei presenti si sarebbe infatti sognato di rifiutare un posto di Generale o di Consigliere Militare, ma loro si erano difesi sostenendo che ne avevano abbastanza di guerre, e preferivano stare un po’ in pace, in tutti i sensi.

Così si erano accontentati di due cavalli, qualche vettovaglia e un po’ di provviste, e, salutati tutti i commilitoni, si erano diretti verso nord, lasciando di stucco un giovane soldato, rimasto affascinato dalla loro storia, che gli aveva chiesto:

- Dove andrete, ora?- al che si sentì rispondere:

- Mah, seguiremo il vento. -

Sulla loro sorte non si sa niente di preciso, tranne che avevano ripreso a vagabondare per le pianure centrali, spesso spingendosi oltre i confini del Principato, ma stavolta curandosi di passare per la dogana. Ogni tanto facevano ritorno ad Ak-ràm, per andare a trovare la madre di Sarah e il piccolo Sian, poi ripartivano per l’ignoto. Si narra che, in una notte tempestosa, trovarono rifugio in una locanda, in un paesino di frontiera. Appena entrarono, l’oste, il classico uomo grasso e barbuto, gli si avvicinò e chiese se erano loro Lucas e Sarah. Alla risposta affermativa, egli consegnò loro una busta di carta, dicendo che l’aveva lasciata per loro un vecchio partito poche ore prima. Quando aprirono la busta, vi trovarono un biglietto, su cui era scritto “Vedo che la tua attenzione non è migliorata molto. Se non hai più cura di te stesso, invece di pensare sempre a chi ti sta accanto, finirai col perdere anche la testa.” Nella busta c’era anche un medaglione, colorato di finto oro.

 

 

 

Sir Angus