Racconti Fantasy

Cronache della Macchina

 

«La Maschera su Abdenar»
frammento dal diario di Ibrahim Mar’Chad 

 

Malis, capitale di Abdenar: un inno alla bellezza e un esempio di genialità architettonica e amministrativa, una città ricca e accogliente, dove tre milioni di Cittadini accolgono il doppio di pellegrini e povera gente che regolarmente affollano i sobborghi magnificamente ideati della città.
Il flusso di merci e persone dalle altre contee è incessante: Malis pare in grado di accogliere e gestire un numero sempre crescente di mercanti, farabutti, pensatori, marinai, nobildonne, mercenari, ladri, cavalieri, e quant’altri.
Il Granduca di Abdenar non risiede a Malis: il piccolo castello Granducale dove lui, la corte e il Governo vivono si trova molto più a sud della capitale, in una regione di Abdenar relativamente più povera e spoglia.
Il Granduca risiede a Grokkon: arida teoria di colline rozze e spazzate dal vento che, a ridosso del Mare del Sud, mutano in uno strapiombo vertiginoso. Ci vuole mezza giornata a cavallo per raggiungere Malis e una giornata intera per il cammino inverso… Infatti, mentre la sagoma della fiorente Capitale è ben riconoscibile anche da grandi distanze, il minuto e grigio castello Granducale pare nascondersi tra le sabbie sollevate dai venti e i viaggiatori si fanno più guardinghi nel procedere verso di esso, timorosi che si tratti di un miraggio.
Ma il vero miraggio risiede dentro il castello: il vero miraggio sono i paggi e le ancelle di corte, i cibi che vengono preparati nelle cucine, i vestiti rammendati dalle sarte, la guarnigione di armigeri, i componenti il Governo Granducale, le dame e i nobili che abitano la magione.
Per fino i turni di guardia, il rimbombare dei passi nei corridoi, la luce che illumina le sale o le ombre che coprono le segrete (per quanto si tratti di oggetti apparentemente meno concreti di persone in carne e ossa) non sono altro che miraggi… Miraggi facenti tutti parte di quell’unica cosa chiamata «Granduca»: si tratta di appendici della sua esistenza, zone morte cui egli appone le maschere che più gli aggradano, perché gli altri vedano le maschere e non ciò che sta sotto.
Il Granduca è un virus, una malattia, un essere incapace di fare altro che espandersi e omologare tutto a se stesso e dotato di un'unica arma contro eventuali vaccini: mimetismo. Il Granduca cela le sue sembianze di morbo inarrestabile sfruttando il semplice fatto che, in una visione di insieme, nulla intorno a lui è cambiato: l’erba continua a piegarsi sotto il vento, gli alberi crescono sul terreno, le persone sorridono o parlano o piangono. Ma la normalità apparente è completamente artefatta: ogni singolo elemento di tale normalità è creato ad arte e mantenuto in piedi dal Granduca stesso. Egli assorbe interi pezzi di realtà dal di dentro, li svuota e ne lascia solo l’involucro, privandoli di ogni sostanza, poi ne scimmiotta il comportamento dall’interno, come un burattinaio celato dentro le sue stesse marionette.
I particolari solo l’unica cosa che può salvarci: la Maschera rischia di estendersi su tutta Abdenar e da lì al mondo intero, ma può essere fermata se sappiamo dove guardare e cosa cercare. Il Granduca è un virus e in quanto tale è gioco-forza un essere che basa tutto sulla semplicità e sulla ripetizione: muove i suoi pupazzi con fili di argilla, per quanto invisibili tali fili siano ed è incapace di innovare o reagire con fantasia, quindi dobbiamo puntare su questo suo difetto.
Tutte le azioni del Granduca saranno improntate alla ripetitività e alla conservazione, ma tali caratteristiche saranno ben evidenti solo quando la sua crescita sarà ormai troppo vasta per essere fermata: è necessario prevenire e attaccare prima che il punto di non ritorno venga superato.
La Maschera ha un numero limitato di comportamenti, questo è certo, ma all’inizio della sua crescita tale numero è sufficiente a sviarci: essa controlla una piccola porzione di realtà ed è quindi facilmente in grado di gestirla a pieno, continuando a danzare la sua folle danza di distruzione mentre i suoi lineamenti ne celano i passi. 
In questo momento dovete concentrarvi su tutto quello che in genere tralasciate, dovete fissare l’attenzione sul fuggevole e sul paradosso, intraprendere mille ricerche nei campi più angusti e improbabili… Dovete braccare la Maschera nei più infimi recessi del quotidiano.
Essa non commetterà errori, poiché si limiterà a seguire la propria natura, ma voi, invece, dovete sforzarvi esattamente di sbagliare, di cadere in fallo, di prendere volontariamente la strada sbagliata: solo così arriverete a un punto in cui riuscirete ad anticipare la Maschera e vederla per quello che è. Qui si cela la seconda difficoltà, e sarà un ostacolo spaventoso: dovrete rimanere costantemente attaccati al vantaggio appena guadagnato e stare sempre un passo avanti alla Maschera.
Vi ritroverete isolati dalla realtà e dalla finzione, sospesi su una porta che non potete né aprire né chiudere e dotati di un enorme potere o di un enorme giogo: su quella soglia i valori saranno paritari e solo la vostra volontà deciderà l’esito dello scontro, poiché la Maschera non ha volontà, ma procede semplicemente secondo la sua natura, assimilando e imitando tutto.
Io raggiunsi quella soglia nel momento in cui, come ministro degli esteri della Contea di Alrena feci visita al Granduca.
Grokkon si estendeva davanti ai miei occhi e la mia attenzione era tutta rivolta alla pergamena che stringevo in pungo: in essa il mio Scriba aveva elencato in dettaglio gli oscuri avvenimenti che cinque notti prima avevano portato alla morte di quattro dei miei sottoposti.
Uno straniero si era presentato in piena notte nella Sala delle Udienze a Liddar, il Castello residenza del Conte di Alrena ed io ero stato svegliato in fretta e furia per accogliere il nuovo arrivato: non appena mi fui reso presentabile scesi ad accogliere il viandante e qualcosa nel suo aspetto macilento mi convinse subito a fare un cenno ai miei aiutanti che tenessero pronte le armi. L’uomo non profferiva parola, qualunque domanda gli rivolgessi, e ben presto mi accorsi che doveva aver ricevuto un qualche tipo di ferita, visto che dopo poco il pavimento sotto i suoi piedi era coperto di sangue. Un sangue scuro e denso, simile più a quello di una carogna che non a quello di un uomo: feci cenno di sorreggerlo a due dei miei attendenti e come questi gli si avvicinarono un suono orrendo di disfacimento provenne dal suo corpo, mentre egli crollava a terra piegato in due dal dolore.
Un urlo disumano, simile a mille voci straziate, si levò dalle sue labbra , tanto che l’intero palazzo ne venne praticamente svegliato. Il Conte apparve sulla soglia della Sala, con la scorta personale, gridando ordini a destra e manca pensando di essere sotto assedio; al suo avvicinarsi mi chiese spiegazioni ed io non seppi fare altro che indicare il moribondo a terra. Ordinai quindi che venisse immediatamente sottoposto a cure e così il medico di corte, anch’egli accorso dopo il gran trambusto, chiese che quattro dei presenti sollevassero il poveretto e lo portassero nei suoi laboratori.
Fu un grande errore: non appena lo toccarono, si udì netto il suono delle ossa delle loro braccia spezzarsi e una serie impressionanti di bubboni iniziò a comparire sulla loro pelle. Alla vista di qualcosa di ben riconoscibile (la peste è un male terribile), era chiaro il da farsi: i cinque appestati furono inchiodati a terra con lance e speroni, poi noi tutti ci allontanammo e venne dato loro fuoco.
Tra le fiamme, mentre ancora in testa mi risuonavano quelle voci che noi tutti avevamo scambiato per l’urlo del misterioso visitatore, vidi distintamente che la pelle dei cinque era istoriata da un'unica icona ripetuta fino all’ossessione. L’icona riproduceva il volto del Granduca di Abdenar.
Nei giorni seguenti non ebbi pace e chiesi al Conte di mandarmi in ambasceria presso il Granduca: mi inventai di aver riconosciuto nell’uomo un nobile di corte di Malis e che quindi dovevamo informare il Granduca della sua morte e soprattutto del pericolo di contagio che correvano lui e le sue genti. Fui creduto e mi venne ordinato di partire immediatamente, in mano una pergamena con il sigillo della Contea recante la minuziosa ricostruzione degli eventi.
Durante la cavalcata verso Abdenar e la successiva traversata dell’inospitale Grokkon le urla dell’invasato continuavano a tormentarmi: in gioventù mi ero sempre diletto di indovinelli e giochi di parole e ora la mia mente allenata mi stava dischiudendo un abisso di follia. Ero ormai certo che, nei suoi ultimi istanti di vita, l’appestato avesse parlato invece che urlare e che le sue parole fossero state l’incipit del De Veritate, un testo risalente al reame di Illirium: “La Maschera è sopra di noi”. Il De Veritate è un libro di enigmi e indovinelli, famoso nell’antichità per essere il primo testo di studio dei saggi di ogni terra; io combinai l’incipit con il volto del Granduca che istoriava i corpi dei cinque appestati la notte seguente ai fatti nefasti e da quel momento fui certo che il vero pericolo (ma di che tipo di pericolo ancora non ero capace di dire) fosse non la peste, ma il Granduca di Abdenar.
Adesso le memorie dell’incontro con il Granduca si alternano alle visioni folli che mi circondano: la Maschera ha imparato, si è evoluta ed ha appreso dagli esseri umani, da lei stessa svuotati, l’arte di adattarsi. Il nemico è più pericoloso che mai: io sono caduto nella sua trappola immediatamente… Il Granduca si è presentato a me con il volto coperto da una maschera d’avorio priva di lineamenti e quello era esattamente il punto di rottura che cercavo per snidare l’illusione, ma la cosa era preparata. L’esca era pronta da tempo e io vi sono caduto: ciò che la Maschera ha fatto è stato scoprirsi volutamente per farsi prima raggiungere e poi gettarmi in un abisso senza fondo pieno di assurdità ed eventi impossibili.
Sono l’unico ad aver scoperto il segreto del Granduca, ma adesso mi muovo come una marionetta ai suoi comandi e la mia mente è costretta a vivere nella consapevolezza del falso ma senza la forza di rendere partecipi altri della sua scoperta.
Credo, adesso, che Ibrahim Mar’Chad sia ricercato per un’infrazione a una qualche legge ideata dal Granduca stesso: è una sorta di gioco (la Maschera si è realmente evoluta…), in cui io osservo me se stesso fuggire per motivi a me non del tutto noti, mentre la fine è certissima. La fine è la vittoria della Maschera: non so se riuscirò a mettervi in guardia, flebile voce rinchiusa nelle lontane profondità di queste mie prigioni; se sarò capace di gettare un messaggio da dietro il velo dell’illusione, così come l’appestato ha fatto, il corpo ricoperto dall’icona del Mentitore; se i miei consigli e ammonimenti arriveranno a voi…
Voi dovete combattere, dovete riuscire dove io ho fallito: la Maschera si evolve e presto sarà ovunque.
Dovete fermarla.

Philippe LeMarchande